la favola
Un giorno lei mi ha detto “Ti amerei di più se fossi povero”.
Ricordo ancora la sensazione di quel momento: pensavo di non avere capito, mi chiedevo se quella donna un po’ strana mi stesse augurando il fallimento eppure speravo che parlasse sul serio e vedesse me – solo me e non i miei soldi – seduto in quel bar poco pulito e pieno di mosche del centro di Roma.
Mi fissava e sorrideva.
Era felice.
Sembrava che fosse felice della mia presenza lì in quel momento, della mia esistenza in vita, dei respiri uno dopo l’altro vicino al suo viso. A pensarci bene è sempre stata felice che io esistessi, anche quando ero ricco e il tempo era a gocce rapidissime che non si riuscivano a stringere in mano. C’erano giorni nei quali avrei giurato che mi lasciasse per la mia assenza, i silenzi, il nervosismo e l’ostinazione di negarle il più piccolo segno di affetto: anche in quei giorni lei mi amava ed era felice, diceva “Non preoccuparti” e ostinatamente mi riempiva di silenziose premure.
“Ti amerei di più se fossi povero”, ha detto, e ha sorriso.
Io le ho domandato perché.
“Vorrei che un giorno tu arrivassi da me e mi dicessi che hai regalato a qualcuno i tuoi soldi, le tue aziende, le tue case, la tue macchine di lusso. Vorrei che mi dicessi che non hai più niente e sei libero”.
“Mi manterresti tu?”, le ho chiesto ridendo. Mi sono reso conto tardi che forse la stavo offendendo, eppure la domanda era uscita talmente veloce che non potevo più ritirarla. Lei ha continuato a sorridere, e il suo sguardo era ancora più convinto.
“Certo! Non fraintendermi: vorrei che realizzassi tutti i tuoi sogni, ma ti amerei di più se non avessi niente. Ti accoglierei e ti vorrei sempre con me. Sarei tanto felice!”.
Ricordo di avere pensato, per una frazione di secondo, che si poteva fare. Non in quel momento, in quell’anno, forse in quella vita, ma si poteva fare. Regalare tutto e partire. Avrei potuto ricominciare da capo, inventarmi una vita lontano da Roma. Lontano da tutto.
“Ti amerei di più se fossi povero”.
La cosa incredibile era che le credevo. I suoi occhi dicevano che sarebbe stata veramente felice se io fossi andato da lei senza possedere più niente: avrebbe vissuto per anni solo con le risate che sapevo strapparle e le emozioni che diceva di riuscire a provare con me.
Quando ci siamo alzati dal tavolino sporco di quel bar l’ho abbracciata e l’ho guardata allontanarsi verso casa sua.
E’ stato molti anni dopo che ho deciso. Ero ancora più ricco di quando lei era rimasta seduta in quel bar a fissarmi con la gioia negli occhi, ancora più soddisfatto del mio successo. Tante donne mi avevano accompagnato nel mondo, sempre più belle.
Un giorno che neanche ricordo con precisione ho venduto tutto. Senza pensarci troppo, senza neanche provare un minimo di nostalgia per ciò che avevo costruito e ora allontanavo da me come se fossi diventato un uomo diverso.
Ho venduto la mia vita, così come giorno per giorno l’avevo inventata e realizzata per decenni, credendo che quello fosse l’unico modo per essere felice.
Sono andato da mia moglie e dai miei figli, ho dato loro tutti i miei soldi.
Sono uscito.
Ho camminato lentamente fino a casa sua.
Quando ho suonato alla sua porta ho avuto il dubbio che lei non mi riconoscesse, che fosse sposata, che nemmeno ricordasse quel nostro incontro al bar tanto tempo prima.
Ha aperto la porta.
Mi ha guardato con quel sorriso che avevo sempre tenuto negli occhi.
Si è spostata dalla porta e ha fatto un solo cenno:
– Finalmente! Pensavo non arrivassi più! Entra, ecco casa tua!
Vorrei fare l’avvocato del diavolo: te la sentiresti di scrivere un altro racconto, altrettanto bello e poetico, sui sentimenti che hanno provato la moglie e i figli, quando hanno visto il proprio marito e padre andarsene? Così, tanto per avere anche il rovescio della medaglia. Ho apprezzato sinceramente il tuo racconto, ma ti rilancio questa provocazione che vuole essere uno stimolo.
Orso (provocatorio e stimolante ) Marsicano
P.S.: sei mia amica. E’ un onore, grazie. Ma sul tuo blog manca l’email. E’ voluto, o è una dimenticanza? Ciao
è un lapsus calami quello dell’ultima riga?
é straordinario quel “penavo non arrivassi più… “
Caro Orso Marsicano, le lacune strutturali nel mio blog sono dovute a inesperienza totale nell’uso di questo fantastico strumento comunicativo…
Quanto al racconto, lo scrivere volentieri: è che quando le situazioni sono talmente vicine al mio vissuto da scatenarmi sentimenti non riesco a essere incisiva. Un marito che abbandona la moglie mi è tristemente noto.
Questo racconto mi ha un pò scosso e l’ho letto tre volte. Sarà mica vero?
pinguino caldo, ti pare che possa essere vero????