e sia burrasca

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Certo. Diventare burrasca. Sciogliersi nel vento che piega gli alberi e strappa, striglia, mastica le foglie ancora verdi e sposta le auto al centro della strada. Mi piacciono le burrasche, anche se trovarsi nel mezzo della ribellione assoluta del cielo e del mare, delle rocce di montagne pronte a rotolare a valle, di tronchi d’albero che si inclinano senza certezze scoperchia la patina di controllo che serve a ridurre al silenzio i miei tormenti. La burrasca non ha controllo, recide gli ormeggi e porta via. Mi sono sempre immaginata con le mani strette, i muscoli tesi a disegnare il profilo sulla pelle e le unghie conficcate in una porta di legno, svolazzante nell’uragano, decisa a non lasciarmi trascinare via. Comunque. A Milano sembra che il vento celebri la mia vita nuova con una burrasca imprevista. Mentre scrivo, sollevo una carta buddhista (ne ho un mazzo sulla scrivania), e leggo:

“Tutti gli esseri tremano di fronte alla violenza

Tutti hanno paura della morte

Tutti amano la vita”

Tutti. Dice così. Violenza e burrasca, ancora. E morte e vita.

Una manciata di ore tra domenica e oggi. Sono uscita con due borse nelle mani e il divertimento segreto di quattro parole in croce sputate in messaggi email a muovere il sorriso, ho camminato rifiutando mezzi protettivi e veloci. E, passo dopo passo, ho raggiunto il solito tavolo tra le solite mura nella solita invidia fatta crepuscolo. E scrivo. Ma no, non scrivo. Sono.

Il violino che ho ascoltato sciogliendomi di emozione a Pisa, le parole che erano musica e rabbia e passione, la stanchezza di notti insonni emotive pesanti dense e stridenti hanno ricostruito l’anima sgretolata, ma solo per un po’, dalla mancanza d’acqua. Dall’arsura di stanze pettegole e vuote, sostituite da altre dense di scrittura e volti finalmente simili ai miei. E le mani, anche, il sorriso di Marco nelle pieghe dell’incontro con i lettori, i discorsi scambiati nei corridoi stretti tra i libri. E’ stata una ricostruzione strana, con sorprese stupende e la constatazione di avere perso una parte di me, la peggiore, la più inutile.

I minuti perfetti tolgono polvere agli angoli che hanno ospitato cadaveri decomposti da tempo.

Non ho obiettivi con questo lento scivolare delle dita sulla tastiera, ho solo sensazioni che vorrei tradurre perché si potessero condividere. Sento le foglie, immagino i rami piegarsi e sfiorare la finestra. Ho una valigia aperta che aspetta che butti dentro qualcosa, il gatto che gioca e copre lo schermo del computer, un colloquio con un editore che mi dondola in testa. Ho ore nuove, che forse mesi fa non avrei voluto, ferma in un’illusione di amore e bellezza che è bastato un attimo a sgretolare: sono ore che adesso diventano tutto, e odorano di libertà. Quella vera. Come abbia potuto rinunciare al vuoto terrificante della libertà, come mi sia incatenata a un dipinto che niente aveva di reale è stupore, quando mi permetto di pensarci.

Insomma. Non posso trascinare oltre cristalli istantanei di emozioni, di evidenza che forse solo una fotografia sfocata e buia potrebbe mostrare. Vento. E burrasca. Uscirò di nuovo, un racconto erotico da scrivere e il manoscritto in tasca per non perdere le gocce della storia che preme.

Così sia.

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