Pezzi di giorni e notti nati per caso, parole rosse
C’è la volta in cui ti siedi e hai tutto in testa. Tutto, insomma, più o meno: hai l’idea della scrittura, un abbozzo di impressione o trama, un’intuizione piovuta chissà da dove che non si cancella, non va più via. Oppure è capitato che la storia ti sia venuta in mente e le mani stuzzichino il bisogno, si muovano da sole nell’attesa di tirare fuori le parole. Poi. C’è la volta in cui hai il vuoto in testa, e mai penseresti di scrivere. Ti succede solo all’inizio, però, di percepire il vuoto e pensare che non scriverai, perché quando diventi un po’ furbo, e l’esperienza si accumula sulle spalle e nei pensieri, capisci che il silenzio è denso di parole. E ti siedi, anche in quel caso, consapevole che qualcosa verrà fuori.
Come adesso. Ho ricevuto un messaggio di posta elettronica che chiedeva una correzione per un pdf, un articolo da rivedere con la solita, notissima urgenza. Quando lo schermo è diventato bianco e l’articolo in pdf è ripartito per destinazione diversa, la calma ha tirato fuori la voglia di scrivere. Ho trascorso ore, oggi, su un capitolo del romanzo che da ieri è lì che si cucina: lungo, breve, intenso o scipito, non ne vengo a capo. E questa sera, molle della decisione di non intestardirmi per evitare di sciupare tutto (che brivido chi rivede un manoscritto in pochi giorni), ero tentata dalla lettura di tre o quattro libri portati a casa da Equilibri di via Farneti, la libreria di Milano dove mi sento a casa. Invece. Sono qui e scrivo, mi fotografo, dipingo, ritraggo, specchiata nello schermo grande del computer con riflessioni e ricordi recenti che non voglio condividere. Forse.
Non mi aspettavo una giornata così. Non immaginavo la gioia, le telefonate e l’amore. Non aspettavo la nostalgia e la rabbia, credevo avrei solo mangiato chilometri tra Milano e Pisa e ritorno, visitato persone e rimuginato un po’ al tempo della musica mp3 attaccata al cavo nero che entra nel cruscotto. Invece il viaggio è stato un volo lieve, il rumore dell’autostrada che strinava le ruote si è diluito in decine di messaggi e chiamate e novità. Novità. Da poco, per chi si desse la pena di ascoltare. Da molto, per me che non ho l’intenzione di condividere. Non questo, non ora.
Poi. Questa sera, arrivata a Milano, ho fotografato il Duomo. Ho escluso l’albero di Natale dalla fotografia perché era eccessivo, troppa luce troppa gioia troppo tutto. E fotografato il Duomo. Chissà perché, di tanti ricordi remoti e recenti uno solo ritorna cattivo e tagliente: quello di una sera, al termine di un incontro d’amore, una passeggiata da sola con la nostalgia di lui. Fa male il ricordo quando tutto finisce, fa male soprattutto sapere come sia finita. Perché non credo che sia indifferente, il modo in cui una storia finisce. Eppure, nella mia sera di passi e squilli continui del telefono piatto intasato di sms, il male non c’era, non per lui. Non per l’uomo del ricordo di piazza Duomo. Difficile da spiegare, e non spiegherò. Dovrei dire che poi, ore dopo, ho letto un articolo in cui qualcuno racconta di sè: quel sè che conosco e ho amato, anche quello, un sè fuggito perché “sono un pensiero troppo forte”.
Un pensiero troppo forte. Una donna impegnativa. Ormai lo dico da sola, davanti allo specchio: non sono come il colore nero, che è elegante e non impegna, mi sento un rosso vivo che offende, eccita, tortura, ripugna. Il rosso della passione e dell’eccesso, del sesso che butta fuori le lenzuola dal letto, dell’odore di corpo e profumo e sudore, della passione che sradica e non trova requie e della gelosia tremenda, del gesto urlato per strappare lacerazioni gementi e degli abbandoni brutali, che offendono il pensiero di essere stati vivi. Rosso, il rossetto che porto in borsa e tiro fuori solo nel tardo pomeriggio. Rosso, il colore che secondo l’uomo per cui sono diventata un pensiero troppo forte mi dona. Rosso, il furore accecante del 2009 che ha cambiato tutto. Tutto nella mia testa, e nel teatro rutilante della vita. Rosso, è il lampo che vedo quando mi guardi da lontano, e sorridi trattenuto perché non ti aspettavi che ci fossi. Rosso, la voglia di sentire l’odore della tua pelle quando mi avvicino per il solito bacio cortese, urbano, amichevole. Rosso, il desiderio feroce quando ti vedo timido e muto, serio e severo. E sussurro: “Frena l’entusiasmo”.
Rosso. Come l’sms arrivato adesso, strappandomi una risata. Perché l’uomo per cui sono un pensiero troppo forte ha vibrisse da primo amore, sente il mio desiderio deviare e, da lontano, recupera metri nel ricordo, rosso, delle notti prima delle streghe. La strega delle mie notti, finché non sono stata troppo “forte”.
Rido. Ho scritto dal vuoto in testa, dal silenzio dopo un pdf corretto e rispedito. Andrò a toccare i libri, adesso. E, con la penna in mano, scriverò appunti che un giorno diventeranno qualcosa.
Rosso, per una notte con l’unica quiete che conosco.