confessione di un’anima tagliata
Da ragazza e giovane donna tagliava la pelle con il bisturi che rubava dall’armadio dei ferri di suo padre. Vorrebbe dirglielo mentre lo guarda allontanarsi con il passo sciolto e la giacca che pennella la vita stringendosi appena sotto la schiena.
– Parleremo lunedì, oggi c’è il sole e non voglio ascoltare.
Sono state le parole che la appiccicato in faccia, senza sorridere. Si è trattenuto, probabilmente avrebbe preferito picchiarla o gridarle addosso che non si vedranno più. Poi si è voltato ed è andato via, lasciandola lì in piedi, in piazza di Spagna. Il sole la acceca e il freddo penetra, si infila nelle maniche della giacca e nel collo aperto della camicia che lascia intravedere un pezzo dei seni. La gente non bada a lei, non bada ai passi e alle frasi che le muoiono in gola. Siede, ride, fa fotografie oppure passeggia e sospira, senza vederla. Senza accorgersi del suo corpo magro che occupa uno spazio e dei capelli biondissimi, tanto da sembrare bianchi. E’ niente per tutti, anche per Giulio che non vuole più restarle accanto.
– Da ragazza mi tagliavo di nascosto, avevo maglie a maniche lunghe per nascondere le cicatrici. Anche d’estate tenevo le maniche lunghe per coprire le cicatrici bianche come collane. Alcune si notano ancora, vedi questo filo bianco sotto la piega del gomito? E questo, questo lo vedi? E’ nel mezzo dell’avambraccio, sembra un bracciale portato troppo in alto. Sono colpi di bisturi. Quando incidevo non sentivo dolore: era una sensazione immediata di anestesia e bruciore, un bruciore sottile e fulmineo appena prima che le gocce rosse di sangue sgorgassero e le leccassi per berle e non permettere loro di abbandonarmi. Mi tagliavo, sai? Osservavo il tragitto del bisturi con gli occhi fissi e lenti, senza sbattere le palpebre. Lo facevo per punirmi, me l’ha spiegato uno psichiatra. Giulio, ritorna indietro. Sto tagliando anche te.
La gola è un nodo impastato, le labbra serrate non dicono. Lo segue, vede che non rallenta e non tenta di guardarla, cammina spedito verso via del Babuino e se ne va. Va via da lei.
La giornata era bella, quando l’ha incontrato il bacio l’ha emozionata. I suoi baci la emozionano sempre, sono pieni e affettuosi come gli abbracci che mai ha ricevuto così. Belli, se l’aggettivo non fosse abusato e banale. Giulio sa baciare e, soprattutto, sa come abbracciarla. La tiene e la avvolge, un tramonto rosa o un’alba fresca piena di promesse. E la fa ridere, anche quando non riesce a vedere la luce. In effetti, Giulio è il regalo che la vita le ha fatto quando sembrava che l’amore fosse un sogno crollato e impossibile: si è materializzato come per scherzo e le ha scaldato il desiderio morto. Insomma, è il pensiero di luce colorata che ogni giorno la sveglia e di notte la accompagna a dormire, è l’argomento dei racconti erotici e di quelli dove riesce a infilare poesia. Però riesce a tagliare anche lui.
Tagliava se stessa negli anni malati. Prendeva in mano il bisturi e lo affondava nelle braccia. Non lo fa più, l’hanno guarita, ma adesso taglia la felicità appena ne sente l’odore. Taglia le cose belle perché dice sempre il contrario di ciò che ha in testa. Vorrebbe che lo sapesse, eppure non c’è mai il tempo per dirglielo. E non c’è senso, forse. Il passato è nascosto e oscurato da un presente che sanno riempire di tenerezza. Quando vogliono. Quando Giulio sa regalarle una carezza.
Quella giornata. Ci ripensa e non sa fermarsi. Dopo il bacio, dopo le risate di due battute perfette la rabbia ha rovinato tutto. Non sa perché e nemmeno come. Ha pensato a qualche telefonata di una donna che lo conosce e vuole a ogni costo che lei si allontani, a ricordi e assenze, al niente di scuse che la sua mente ha affastellato una sull’altra per metterle in mano il bisturi e scatenare la distruzione. L’ha aggredito. Ha tirato fuori parole inutili e fuori tempo, fuori luogo, fuori logica. L’ha ferito, per tagliarsi la pelle e la carne e succhiare il proprio sangue gridando di dolore. Ha fatto male a lui per ferire se stessa e disintegrare la felicità che rischiava di fermarle il cuore.
Ogni tanto gli manda qualche fotografia con il cellulare, ci mette dentro l’emozione che vorrebbe succhiargli dalle labbra e il desiderio del suo corpo, della voce sussurrata nell’orecchio; oppure, se ce la fa a fermare le parole, tenta di dirgli che sta male e basterebbe un suo messaggio, la sua mano alzata sui capelli per fare evaporare la furia cieca di un abbandono che l’ha sporcata da bambina. Ma la donna traumatizzata non piace, l’ha capito e per questo mangia ogni confidenza, la mastica per sputarla da sola, lontano. Deve essere forte e sana e allegra e più intelligente degli altri, deve nascondere le piaghe come nascondeva i tagli con le maniche lunghe anche d’estate. A Giulio, poi, tenta di regalare l’immagine che forse gli piace, restituisce le risate che da lui riceve e manda baci densi di passione. Non vuole che se ne vada, le hanno insegnato che per tenere un uomo si deve usare strategia. Nella melma nera di ciò che ha dentro costruisce immagini intrise di magia per trovarla sul serio, quella strategia. Ma poi, poi cade. Come pochi istanti prima, nella piazza con il sole a picco e il freddo che intasa il respiro. Non ha saputo tacere, l’ha insultato e non ha capito perché, mentre la testa urlava che sarebbe bastato un abbraccio. E un sorriso pieno dei suoi. Per cancellare l’orrore.
– Mi tagliavo, sai. Ora sto tagliando te, non lasciarmelo fare.
Sono troppe le cose che vorrebbe dirgli. Il suo corpo alto, sensuale, non si vede più. Lo immagina tra altre braccia meno complicate. Braccia che non hanno cicatrici bianche che assomigliano a fili. Scuote la testa. Forse è meglio che altre braccia lo prendano, con lei non saprebbe altro che tormento.
C’è chi nasce per la solitudine, e se la felicità lo sfiora va tagliata con il bisturi rubato dall’armadio dei ferri chirurgici.