il calendario da tavolo
La osserva in silenzio. Con la mano destra sfoglia un calendario da tavolo, afferra uno a uno con le dita i fogli bianco crema e li solleva, come se volesse spiare lo scorrere del tempo.
– Hai scritto qualcosa?
Scuote la testa.
– No. Il computer si è bloccato a metà di un racconto, non ha salvato niente. Ho perso ciò che stavo scrivendo, non c’è stato modo di recuperare.
Tace. Ha capito l’umore, il cambiamento improvviso e la testa ostinata e china sul calendario da tavolo.
Era sdraiato sul letto, nel pieno della rilettura di una storia da consegnare, con la nebbia fuori dalla finestra e il ticchettio di lei nello studio, a pochi metri. Una parte della testa la sentiva, ne percepiva la presenza oltre il muro: la sapeva quieta e concentrata nella scrittura. Poi il silenzio è diventato muto, la densità l’ha colpito. Si è accorto che da lei non arrivava più vita. Ha posato il computer portatile di lato, sopra il piumone bianco e il lenzuolo blu, si è alzato e l’ha raggiunta. L’ha trovata con gli occhi fissi su qualcosa che dalla porta non è riuscito a vedere, l’espressione chiusa e persa che ormai sa riconoscere.
– Gianna.
Ha lanciato il suo nome, certo che non avrebbe risposto.
– Gianna, cosa c’è?
Si è avvicinato, l’ha sfiorata con il corpo e le ha accarezzato la testa. I capelli morbidi e disordinati, profumati di shampoo e della crema al limone che lui usa per le mani, gli hanno accarezzato il palmo. Per un momento l’ha ricordata calda e sudata, un paio di ore prima: quando è dentro di lei il piacere è un mistero, sa penetrare una dimensione che altrimenti resta proibita, impossibile da indovinare. Era felice e appassionata, disinibita dalla voglia di averlo e dalla fissazione per le sue mani: le succhia e bacia e tiene strette quando fa l’amore, gli chiede di usarle ancora e ancora, come se fossero più importanti di tutto il resto. Più importanti dei baci e del sesso che guarda come se fosse nuovo, e ama da vicino fissandolo lenta, pigra. Ci pensa spesso quando è in viaggio da solo per gli spettacoli: pensa a lei che, abbandonata sulle sue gambe, accarezza il sesso e lo bacia, lo guarda e ci gioca. Lo sfiora a lungo, accompagna le mani con le labbra, con il respiro, con la pelle liscia e tenera del volto. E’ un giocattolo, per lei, un oggetto d’amore unico che vuole solo per sé.
– Non so decidere tra lui e le mani.
Ha detto ridendo, e ha voluto entrambi. L’ha accontentata bevendo gli sguardi irrefrenabili misti a rantoli e respiri, ai morsi che, travolta, nemmeno sa di dare alle sue spalle forti e ancora un po’ abbronzate.
Adesso, però. Adesso è fissa su un calendario da tavolo e non si muove. La mano sui capelli che la accarezza piano le ammorbidisce le rughe sottili accanto alle palpebre, la voce la riscalda.
– Perché guardi quel calendario?
– Non so, l’ho messo qui e non mi serve. Però mi ricorda che tra poco ho quarant’anni.
– Io li ho superati da un pezzo! E’ un’età bellissima.
– Dite tutti la stessa cosa, mi sembra una nenia autoconsolatoria. Perché dovrebbe cambiare qualcosa? A me fa paura pensarci.
– Non è affatto una nenia autoconsolatoria, non dirmi che hai voglia di ritornare indietro.
– Proprio per niente. Anzi, sono felice di essere qui, adesso.
– Allora? Vedi che ho ragione? A quarant’anni e oltre sai chi sei e cosa vuoi. Eccetera, non ripetiamo ciò che abbiamo detto ieri sera a cena.
– Quaranta. Accidenti. Qua-ran-ta. Santo cielo.
Parla molle, emette suoni brevi e pacati, distanti. E’ distratta da un pensiero che probabilmente non riconosce.
– Non dirmi che sei una di quelle che detestano invecchiare. Proprio tu! Ma dai, per favore.
– Le tue donne hanno tutte trentacinque anni.
– Non ho altre donne.
– Sì, le hai.
– No, non le ho. Ti fa comodo immaginare che le abbia perché puoi torturarti di gelosia, e torturare anche me. Ma non ho altre donne, non ti tradisco. Lo sai. Se sei onesta lo ammetti.
Il discorso è caduto nel niente. Ha continuato a fissare il calendario e sfogliare le pagine.
– Non hai scritto niente, su quei fogli c’è solo la data e niente altro, a cosa ti serve tenerlo lì?
– Non so, mi dà l’idea del tempo che arriva. Mi corre addosso. Non accelera, non si ferma, spavaldo supera ogni barriera e se ne frega. Mi travolge, cammina su di me e tira avanti.
– Hai scritto qualcosa?
E ha risposto che il computer si è bloccato. Ha sentito la sua rabbia, l’ha condivisa: quando succede a lui chiude gli occhi per non imprecare, per non mettersi a urlare. Gianna invece reagisce in modo diverso ogni volta: strepita, grida parolacce, ride, butta il computer sul pavimento, picchia la scrivania con le mani, se la prende con lui. Oppure tace. Come adesso.
– Senti. Scriverai dopo, sai che non hai il problema della pagina bianca.
– Volevo un racconto erotico. Si è spezzato, non posso ricominciare. Non c’è più tensione.
– E’ vero, forse non puoi ricominciare. Scriverai altro, lascia stare l’erotico per ora.
– Forse non riuscirò mai più a scrivere.
Vorrebbe ridere, ma trattiene il fiato per non scatenare la sua rabbia. Sa che è pronta a ferirlo con una scusa qualsiasi, anche se poi chiederà scusa. C’è qualcosa che da giorni le rimescola i pensieri, un’ansia che viene fuori nel sonno e nei gesti distratti, nella foga bestiale quando fanno l’amore. Non ha voluto chiedere, sarebbe inutile e la disturberebbe ulteriormente. Prima o poi ritroverà la calma, oppure esploderà e non riuscirà a tacere. E’ capitato spesso da quando stanno insieme: a volte sono i commenti delle fan piazzati senza filtro sul suo sito internet, oppure telefonate di persone che ha chiuso nel passato e non riescono a tacere, o qualsiasi altro motivo plausibile per la perdita della serenità precaria con cui convive.
– Sono una donna complicata.
Ha detto due o tre giorni dopo il loro primo incontro. E’ vero, è complicata, ma quello non è il peggio. E’ tormentata e ipersensibile, ecco cosa davvero crea la sua arte, cosa la disintegra nel pulviscolo di dettagli che gli altri neanche notano. Riempie le ore di energia e irrefrenabile attività, gioia e risate, ma le succede di cadere. Anche se combatte come un leone, anche se si è rialzata dalle peggiori sconfitte trasformandole in vittoria luccicante invidia altrui. E’ sufficiente una parola detta male, una carezza mancata. E le si spezza l’anima.
– Cosa fai, allora? Resti qui a fissare il calendario o vieni di là con me?
Sa cosa ha detto, ha calcato di proposito il tono della voce. E’ consapevole di piacerle, conosce il desiderio che suscita nei suoi sensi infantili e tremendamente adulti. C’è un solo modo per strapparla a se stessa: deve travolgerla di passione e prendere da lei la meraviglia del tuono, la dolcezza infinita di un amore che solo lei sa dare. E offrire, deve offrire il suo sudore e la forza, la protezione dei gemiti e delle frasi sputate mentre prende il suo corpo e la vuole di più, più in fondo. E’ il linguaggio che Gianna conosce, l’unico che funzioni davvero quando il cortocircuito le impedisce di sottrarsi a ragionamenti che si avvitano su se stessi e le tolgono la voce.
Alza gli occhi, finalmente.
– Hai voglia di me?
Prende tra le dita le sue labbra.
– Ho sempre voglia di te. Adesso più di sempre.
Gli stringe la mano, si alza. Le sue labbra lo baciano, i seni si schiacciano contro il torace.
– Sì, voglio questo. Subito. Anche io.
Lo eccita la voce che diventa roca. La spinge verso la camera da letto. Ascolta i passi sul parquet e pensa che, dopo, butterà via il calendario da tavolo che la perde di angoscia.