Il ranocchio rosso

 In Racconti, Racconti Brevi

E’ un ranocchio rosso e porta una corona: se ne sta seduto impettito sulla scrivania, alla destra del computer bianco enorme che uso per scrivere e in mezzo a cianfrusaglie con un significato ignoto per chi guarda, assoluto per me. Vicinissimo, a sfiorarlo, un pezzo di rudere marrone, una statua tagliata a metà che qualcuno ha ereditato poi passato a me, e qualche fotografia dei nonni, di me bambina, di un abbraccio con mia madre. Cose che riempiono e svaporano lo sguardo: ogni tanto le accarezzo, ho piccoli riti segreti e odori che percepisco quando l’umore si alza o affonda, o quando l’equilibrio regge per più di due ore. Ma è il ranocchio a guardarmi, sono le sue pupille aperte e feroci, ironiche e sospettose.
L’ho avuto da un’amica scrittrice, avvolto in una carta preziosa con un biglietto che sapeva di mistero: “Aspetta la mezzanotte, appartati e apri, poi…”. Poi qualcosa che non posso dire, anche se la fantasia dovrebbe avervi già detto cosa abbia dovuto fare con il ranocchio un istante dopo la mezzanotte dell’ultimo dell’anno. O del primo, se preferite: c’è sempre chi ama il passato, e chi invece ha la faccia immersa nei giorni futuri.
Insomma, ero in montagna con amici, a casa di persone che ridevano e accendevano fuochi per i bambini, e mi sono appartata sul serio: ho tirato fuori dalla borsa, occhieggiando la neve, la scatola con scritto “fragile”, ho ripiegato la carta dopo averla strappata e aperto il dono dell’amica scrittrice.
Il ranocchio rosso, grande quattro pugni chiusi e seduto impassibile a guardarmi, ha riempito le mie mani e sembrava ridere. Uno scherzo, un’allusione a turbolenze d’amore che nella mia vita non mancano mai, una compagnia muta per le ore lunghe strappate al delirio di voci e dedicate ai romanzi che fluiscono difficoltosi o sciolti, lenti o pieni dalle dita che picchiettano i tasti. Il ranocchio, mi piacerebbe che foste qui a vederlo: due belle zampotte palmate in avanti, appoggiate salde sul ripiano della scrivania, il corpo eretto e comodo, il sedere largo e le zampe dietro rilassate e gonfie di energia che, prima o poi, tirerà fuori con un salto destinato a sorprendermi. E in testa la corona con quattro punte, un pallino tondo su ogni punta. Le labbra sottili piegano appena in su ai lati, gli occhi aperti mi guardano ovunque sia, in ogni punto della stanza. E pensano, quegli occhi: sono lì pronti a cogliere ogni tentennamento, ogni errore d’amore che rischio di commettere. Perché è dalla mezzanotte dell’ultimo dell’anno (o del primo, fate voi) che una sentinella rosso fuoco mi scruta dalla scrivania e non molla un istante. Ha preso sul serio la missione, questa rana maschio con la corona in testa: scruta e comprende, indovina nomi ed età, perfino lo stato civile, è severissima con la voce che si flette nelle rare telefonate che accetto di ricevere, implacabile nelle nenie storte di canzoni che accompagno danzando negli spazi stretti tra la scrivania e le librerie sovraccariche di libri. Ho l’impressione, a volte, che un radar colga i miei passi zoppicanti e gli effimeri sentimenti che mi infiammano e raggelano nello spazio di un mattino. In più, sono abbastanza sicura che il ranocchio riferisca all’amica scrittrice i miei flirt abbozzati e gli amori rimossi o bagnati di tormento: chissà come, da quando ho il ranocchio in casa lei indovina tutto prima che abbia l’onestà di raccontare. Che l’animale tozzo e rosso saltato fuori da una scatola con scritto fragile abbia una telecamera nascosta? Che sappia accendere il mio enorme computer bianco quando sono fuori casa e mandi email e fax per aggiornarla? Non ho dubbi che il mio curriculum sentimentale richieda un granello di attenzione, ma addirittura una guardia del corpo in forma di rana…
Certo non è un ranocchio vorace: se anche si muove quando non lo vedo evita accuratamente di lasciare tracce, e soprattutto non mangia i pezzi di marzapane ricoperto di cioccolato che disperdo sulla scrivania per i riti di gratificazione; quando termino un romanzo, quando compio quarant’anni (che trauma, è accaduto una settimana fa e non mi sono ancora ripresa), quando succede che mi innamori festeggio con il marzapane. Mi siedo, scarto la castagna marrone con lo strato spesso di cioccolato che profuma di proibito e assaggio piano. A piccoli pezzi. Mentre il ranocchio mi guarda. E dice niente. Secondo me si chiede perché perda tempo a mangiare, non capisce che queste trasgressioni saltuarie sono la gioia del segreto, microscopici dolci istanti che inframmezzano i giorni di scrittura e lavoro e pensieri accavallati a silenzi.
L’amore, ritorniamo all’amore. Il ranocchio è qui per questo, ne sono certa. L’amore! Ride, adesso che l’ho scritto. L’amore. Ma certo!
Tutti i ranocchi rossi regalati dalle amiche la notte dell’ultimo (o del primo) dell’anno badano all’amore, si trasformeranno nel principe che scuoterà le vesti, solleticherà il naso con un bacio impolverato e cercherà al parcheggio il cavallo bianco. Eh, come ride, ride ancora di più! Ranocchio adorato, so cosa farai per me. Ti ho liberato dalla scatola con scritto fragile e riportato in città dalla neve di montagna, ti ho protetto dai colpi e dalle insidie delle passeggiate del gatto tra le mie cose accatastate sulla scrivania. Parlo con te, ogni tanto, e so che conosci il nome di chi stropiccia i miei neuroni. Ma sarai tu a decidere chi, e se, e quando. Intanto mi fissi, e sorridi mentre mangio pezzi di marzapane dopo avere scritto l’ultima frase di un romanzo.

Questo è il racconto pubblicato su PuntoeLinea di marzo 2010, in occasione della Festa della Donna.

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