la visita
– Prego, accomodatevi…
Indicò alla coppia due sedie di fronte alla sua scrivania. Si sedette a sua volta, dedicando un lungo silenzio all’osservazione dei volti dei due visitatori.
L’uomo era Paolo. Il suo amante. Uno psichiatra di vent’anni più vecchio di lei, con il quale da mesi aveva una relazione. Non aveva bisogno di studiarne i tratti: li conosceva molto bene. Ciò che non aveva mai visto di lui era la “faccia coniugale”, il suo essere marito e, lo apprendeva in quel momento, padre affettuoso.
La donna era Valentina. La moglie di Paolo. Aveva l’aria spaventata, gli occhi verdi, lunghi capelli castani. Era seduta con le gambe accavallate e la mano sinistra in grembo al marito, che la accarezzava lievemente.
– Vostra figlia non c’è?
Parlò guardando Valentina. Non era ancora certa di volersi rivolgere direttamente a Paolo. Fu però lui a risponderle.
– Preferiamo conoscere la situazione senza che Laura sia presente. Vogliamo chiederle di essere sincera con noi, dottoressa
Aveva detto “dottoressa” con una sfumatura implorante. Silvia provò una sensazione di vaga tristezza: la voce era la stessa che le dichiarava passione, amore a volte, ma il tono era di un uomo che, accarezzando la moglie, le chiedeva di essere solo un medico capace di guarirgli la figlia. Provò a dimenticare di avere mai incontrato Paolo: disse a se stessa che avrebbe dovuto immaginare di vederlo in quel momento per la prima volta. Forse era davvero così.
Paolo era ritornato dagli Stati Uniti prima del previsto: il suo viaggio di lavoro avrebbe dovuto durare venti giorni, per una serie di conferenze sui suoi studi di psichiatria forense. Durante il viaggio le aveva mandato moltissimi messaggi e l’aveva chiamata spesso: nei progetti c’era che arrivasse a Milano e dormisse a casa di lei, per poi ritornare dalla moglie il giorno dopo. La malattia improvvisa della figlia l’aveva costretto a un rientro improvviso e probabilmente turbolento. Aveva telefonato a Silvia in piena notte e aveva detto: “Sto arrivando in Italia, mia figlia sta male e voglio che tu la operi, se necessario”. Silvia aveva fatto in tempo a rispondere: “Ti aspetto domani alle diciotto”. Non avevano avuto altri contatti.
Silvia esaminò gli esami, controllò più volte le radiografie sul diafanoscopio. La situazione era molto grave: Laura, che aveva diciassette anni (la data di nascita fu la prima cosa che Silvia lesse sui documenti), aveva una rara forma di tumore in stadio avanzato.
– E’ vero, probabilmente dobbiamo pensare a un intervento chirurgico
Quella frase era un’alterazione della realtà: ciò che avrebbe voluto dire era “dobbiamo tentare un intervento”, ma nel tentativo sarebbe risultato implicito il suo scetticismo. Come avrebbe potuto dire a Paolo in quel momento…?
Lui si sporse verso di lei.
– E’ molto grave?
Il tempo si fermò. L’aria stessa sembrò non filtrare più dalle finestre, dalle bocche, dai polmoni. Silvia aveva la risposta esattamente davanti: un gigantesco e definitivo “Sì”, che non riusciva a dire.
Si limitò ad annuire, e Paolo abbassò la testa mentre Valentina scoppiava in lacrime.
Dopo qualche secondo Paolo, che aveva abbracciato la moglie e le circondava la testa con un braccio come capitava spesso che facesse anche con Silvia, chiese:
– L’intervento può salvarla?
L’enormità della situazione fu chiara a Silvia solo in quel momento. Si trattava di una ragazza di diciassette anni, figlia unica (lo aveva visto da una cartella clinica), le cui probabilità di guarigione da un tumore molto aggressivo erano scarse. I genitori erano di fronte a lei, disperati. Ci volle qualche minuto di silenzio, interrotto soltanto dai singhiozzi di Valentina, perché a Silvia diventasse evidente ciò che avrebbe dovuto fare.
Alzò la testa con espressione decisa. Fissò Paolo.
– Dobbiamo intervenire. La malattia è grave, ma la mia intenzione è fare tutto il possibile per aiutare vostra figlia. Portatela da me domani mattina in ospedale, inzieremo subito le procedure per il ricovero
Aveva parlato con un tono di voce fermo, quasi aggressivo. Paolo la guardò con gli occhi spalancati, poi il viso si aprì in un debole sorriso.
– Grazie…
Il resto del colloquio fu facile. Paolo non era più Paolo. Era il marito di Valentina, padre di Laura.
Quando la coppia uscì, Silvia rimase a lungo al buio, fissando le proprie mani sulla scrivania.
Il telefono squillò circa trenta minuti dopo. Lei rispose meccanicamente.
– Pronto
– Sono io
Paolo.
– Ciao
Silvia si rese conto della propria voce lontana, quasi metallica, ma le sembrò l’osservazione di qualcun altro in un posto diverso da quello.
– Silvia, non so come dirti grazie…
Improvvisamente lei si rese conto della pesantezza del proprio cuore. Un dolore inguaribile aveva preso possesso di qualche spazio ignoto all’interno della sua anima. Sospirò.
– Paolo, non dire niente. Domani inzieremo le terapie. Adesso vai da lei
– Certo, ma… Tu… Io… Non possiamo vederci?
Non capì il senso della proposta, ma in fondo era irrilevante.
– Ci vedremo domani
– Perché non questa sera? Ho bisogno di te
Le costava sempre più fatica ascoltare e rispondere.
– Sono il chirurgo che opererà tua figlia. Pensa a questo. Buona notte
Chiuse la comunicazione, spense il cellulare e andò a casa.
Nei mesi precedenti aveva pensato qualche volta a come sarebbe finita la sua storia con Paolo. Adesso lo sapeva.