Binge eating disorder – Il disturbo alimentare

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Occupare troppo spazio, è questa la sensazione. Come se esistesse un limite accettabile oltre il quale il corpo non deve andare, per non offendere la sensibilità altrui, il senso estetico dei “normali”. Normalità e anormalità, di questo si tratta: quando il corpo occupa uno spazio eccessivo, si espande senza riuscire a fermarsi, la normalità sfugge e si diventa anormali. Si cambiano anche i termini dei discorsi: si parla di vestiti per persone normali, sedie strutturate per normali, aspetto fisico normale. Tutto ciò che è diverso da sé, ciò che non si è permesso di esagerare con lo spazio occupato, diventa normale, opposto al sé che, invece, è brutalmente anormale.
Non so se vi sia mai capitato di cadere all’improvviso perché la sedia si rompe e non regge il peso, o se, entrando in un negozio di abbigliamento, la commessa vi abbia subito avvertiti che per la vostra taglia non esiste niente, senza porsi il dubbio che foste entrati per dare un’occhiata o cercare un regalo per qualcuno. Non so se vi abbiano mai colpito frasi come: “Sei tanto intelligente, possibile che non riesci a controllarti sul cibo?”, con variabili linguistiche e di tono che dipendono dall’educazione e dalla familiarità; e i silenzi, quei silenzi pieni di sguardi significativi nel mezzo di chiacchierate piacevoli con amici se si sfiorano (incautamente) argomenti estetici o alimentari, sapete come bruciano? Non so, insomma, se siate mai entrati nel concreto del disturbo alimentare chiamato binge eating disorder: mi auguro per voi che non sia capitato, spero che la vostra conoscenza dei disturbi alimentari sia accademica o letteraria, basata su poetici racconti di donne esangui che rifiutano il cibo per amore o dignitosissima depressione. La versione reale del binge eating disorder è spesso il contrario del romantico concetto di inappetente tormento: si ingrassa a dismisura, ci si confronta con un consumo di cibo esagerato e senza controllo, si è perfettamente consapevoli di ingurgitare male e quasi senza masticare chili e chili di roba messa insieme a caso, magari nemmeno scongelata o qualche volta scaduta, per riempire un vuoto nero piazzato da qualche parte. E si sa perfettamente di fare male a se stessi, di peggiorare il disagio a ogni cucchiaiata o manata di cibo mandato giù, ma si sa anche che, da soli, non ci si ferma. SI invidiano gli anoressici e i bulimici, ci si augura che, prima o poi, si diventi capaci di vomitare o assumere lassativi o sfinirsi di attività fisica per bruciare l’enorme conteggio calorico in eccesso.
Si è grassi, di solito, che orrore! Quando si ingrassa si manifesta il disagio, ma anche, e questo è l’aspetto curioso della faccenda, la propria inadeguatezza sociale. Chi pesa tanto, proprio tanto, chi supera la taglia 50 e osserva allo specchio cosce e braccia gonfie e orrendamente coperte di pieghe o bozzi che deformano i vestiti va contro l’immagine socialmente accettabile: in metropolitana occupa più di un sedile, ha bisogno di divise da lavoro conformate, non uscirebbe mai e poi mai da un finestrino di emergenza di un aereo, deve ripiegare su negozi di abbigliamento appositamente pensati per taglie forti dove, nonostante l’impegno lodevole di alcuni stilisti, i tessuti sono ampi (e peggiorano la situazione), sformati e scuri, e se cade fa fatica a rialzarsi, procurando ai soccorritori un fatica immane che traspare dai gesti e dalle smorfie a malapena mascherate. Chi è grasso fa impressione e suscita sconcerto. Niente poesia o esangue tormento: bianchi e rossi, floridi e paciosi, i grassi non solo non ispirano comprensione o tenerezza, ma riescono ad attirare una lieve repulsione. Fidatevi, è così. Anni di sguardi addosso con l’imbarazzo di mossette a destra e sinistra per sorvolare, nessuno toglie dalla mia testa che ci vogliano sensibilità acutissima e grande impegno per accettare che, a volte, chi diventa tanto grasso è malato. Il binge eating disorder, se è reale (con i disturbi psichiatrici è sempre necessaria cautela), è una malattia che va curata grazie all’intervento professionale di più figure, principalmente gli psichiatri, ma è difficile da accettare per chi ne soffre perché è arduo ammettere di avere bisogno dello psichiatra, e ancora più difficile per familiari e amici perché, in fondo, si continua a pensare che il cibo sia solo una questione di buona volontà.
La buona volontà. Il paradosso è che adesso credo anche io che abbia un ruolo. Ho affrontato anni di terapia e delusioni, vittorie e periodi oscuri di incertezza, tuttora seguo abbastanza diligentemente un percorso di psicoterapia: nel tempo ho capito che essere consapevoli di soffrire di un disturbo codificato dalla medicina aiuta a non sentirsi soli, ma non deve spingere ad abbandonare l’impegno personale. La buona volontà, appunto. Cambia il modo di intendere questa buona volontà: non si tratta di esercitare un controllo volontario e impossibile sul cibo, ma di aderire al programma di terapia e fare qualche sforzo per affrontare miglioramenti e ricadute.
“Ho una malattia, ma se collaboro con i medici posso guarire”, questa è la frase cardine della rinascita. Per uscire dal bozzolo di grasso che avviluppa e protegge, soffoca e crea distanza dal mondo è necessario prendere coscienza del bisogno che si ha degli altri, soprattutto di chi ha gli strumenti professionali per dare una mano, ma è anche utile capire che la terapia non è totale abbandono della buona volontà, non si delega ad altri ciò che sta in sé: si partecipa al cammino terapeutico in forma attiva sostenuti, capiti, aiutati, ma mai sostituiti nel processo attivo di cooperazione. Ogni terapia funziona se trova la collaborazione del Paziente. Guarisce chi vuole farlo.
Il binge eating disorder insegna molte cose: negli anni peggiori ho imparato a non giudicare le persone a priori, basandomi sull’impressione fisica e sull’apparente sicurezza o insicurezza di sé. Ho imparato a non lasciare uscire dalla bocca commenti le cui conseguenze potrebbero essere devastanti per una psiche ipersensibile, a non contribuire alle discussioni cretine sulla linea e sul cibo con considerazioni altrettanto cretine che banalizzano un problema complesso e profondamente radicato nell’immagine di sé e nella società. Ho imparato, purtroppo, a percepire le sfumature e il non detto, e gli sguardi di pietà o rimprovero o biasimo: per fortuna la psicoterapia sta scardinando la voglia di interpretare gli sguardi perché, in realtà, non è affatto utile per sopravvivere. Potrei andare avanti, tutto ciò che ho imparato e scoperto grazie e per colpa del disturbo alimentare crea un teorico elenco che riempie pagine e pagine: un giorno, forse, prenderò la briga di stilarlo davvero, questo elenco, ma non adesso. Mi interessa di più concludere con la certezza che di binge eating disorder si possa guarire, riducendolo a un compagno di viaggio sostanzialmente innocuo con qualche recrudescenza saltuaria. Si possono perdere trenta o quaranta chili di peso, si può riscoprire una forma fisica “normale” occupando meno spazio.  La cosa davvero importante è farsi aiutare, e ripetere a se stessi la frase cardine della rinascita: “Ho una malattia, ma se collaboro con i medici posso guarire”.

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Showing 18 comments
  • Gino

    penso che lasciare un commento sia superfluo, visto che, forse chi non ha o avuto questo tipo di disordine alimentare, se non è un buon medico,non può avere commenti. Si quando mi è capitato di vedere persone simili, il mio primo istinto è stato di commiserarLi, ma quando ho letto un racconto di uno di loro, dove stava vivendo, la terapia, più come dolore fisico che mentale, ma la forza gli veniva, “IO UN GIORNO SARO’ IO
    il racconto di questa sua avventura, mi ha attirato,ed incuriosito,ma alla fine, forse non sono riuscito ad immedesimarmi, nella sua storia.
    Con questo voglio dire, che solo chi vive o ha vissuto tale disturbo, può capire ciò che veramente ti fa male, se gli sguardi di quelli come me, oppure, il vederti allo specchio,o odiarti per quel corpo che rifiuti, e ti colpevolizzi di take malattia

  • uno che passa

    Questo scritto è di una pochezza imbarazzante e dimostra di non conoscere assolutamente il problema preso in esame.
    L’arroganza è anche benevola “Ogni terapia funziona se trova la collaborazione del Paziente. Guarisce chi vuole farlo.”, ma vuota dentro una veste bianca.
    Ci sono le linee guida per la diagnosi e enon per la cura del ministero e così altrove, per il resto sono macerie tritate.
    Gli approcci sono diversi alla malattia – sì il BED è probabilmente l’unica malattia reale e chimica a differenza dell’anoressia e della bulimia – basta cercare un po’ in giro e leggere per sapere che per il momento è pieno di persone sul pasto a riepmpirsi la pancia, ma pochi a cui frega veramente e che dovrebbero fare ricerca. Con i pazienti magari… “Ogni terapia funziona se trova la collaborazione dei Medici. Cura chi vuole farlo.”
    Torni a vedere il finale di “Caro diario”, grazie.

    saluti annoiati

    • MariaGiovanna Luini

      Esistono punti di vista e io ne ho dato uno. Lo stesso fai tu, è un tuo punto di vista, anche se non ti firmi e questo ovviamente fa perdere importanza a un parere che invece ho giudicato subito interessante. Firmati, che male c’è? Dai un tuo punto di vista, non sei qui a insultare. Se davvero vuoi confutare qualcosa che è tanto importante per la gente metti anche volto e nome, come faccio io.
      Non serve ritornare a vedere qualcosa che è finzione, come finzione è ogni rappresentazione letteraria o cinematografica. Modi di vivere la malattia, modi di uscirne oppure no, modi di pensare. Per fortuna esiste lo scambio. No, non concordo sulla natura esclusivamente chimica del BED. E non concordo da medico, non solo da paziente che, con grande difficoltà, insiste nel portare messaggi di speranza a chi sta tanto male.
      Le linee guida sono, appunto, linee guida. Sai bene, credo, che non possono esaurire gli argomenti complessi della medicina. Lo stesso vale per le linee guida oncologiche che, consapevolmente, tentano di dare una visione globale senza riuscire a coprire le differenze.

  • Luigi

    Cara Maria Giovanna,

    grazie per il tuo blog. Sapere di non essere soli ci fa sentire meno incompresi.

    Luigi

  • MariaGiovanna Luini

    Condividere a volte aiuta. Non sempre, non credo che la condivisione sia a priori un approccio positivo. Però sapere che altri comprendono bene cosa si provi, come si stia quando si è dentro un problema che difficilmente si riesce a spiegare fino in fondo può alleviare il senso sconfortante di isolamento e irrimediabile impossibilità di risolvere.

  • TIZIANA

    Ciao,
    sono binge da sempre; da piccola parlai di Bulimia al generico ma non fui creduta e non riuscii più a parlarne con nessuno per tanto tempo…Sono stanca di entrare ed uscire da questo tunnel e dopo l’estate mi farò aiutare…Io non so se se ne esca mai davvero, ma ci voglio provare seriamente….Il mio problema non è fare le diete, perchè so farle, bensì di sapere che prima o poi l’incubo ricomincerà…Credevo che con l’età sarebbe passato, ma adesso che ho 39 anni, non credo che sia imputabile solo ad un fattore di “maturità”….L’unica cosa che so è che mi butto giù di morale e la tristezza mi assale e dico sempre…Questa volta è l’ultima, non lo farò più…L’incapacità di assaggiare un cibo gustoso senza che si scateni una delle mie abbuffate….è pazzesco.
    CIAO,
    Eli per sempre

  • Anna

    Ci riprovo… non mi ha salvato il commento…

    Brevemente vorrei dire che il problema e’ noto solo a chi ci e’ passato (o ci passa!) Qualcuno in gamba e bravo c’e’ ma occorre prima di tutto RICONOSCERE il problema!
    Dari da fare! COMBATTERE!

  • MariaGiovanna Luini

    Il disturbo alimentare induce sfiducia in se’ (o e’ basato su questo?) e depressione. Si cerca e trova aiuto, ma, e’ vero, quando il problema sembra non migliorare oppure ricade la sensazione e’ una tremenda sconfitta

  • thee

    I am relieved I found your current http://www.mariagiovannaluini.it/blog/2010/04/10/binge-eating-disorder-il-disturbo-alimentare/ via a weburl on tweets. The usual blogposts I find are gibberish although as well as for once I’m incorrect. Thank you to take your time for you to write with regards to Binge eating disorder – Il disturbo alimentare | Il blog di MariaGiovanna Luini I certainly appreciate it.

  • Cristina Farzh

    Incredibile. Sebrava parlassi di me.

  • Cristina Farzh

    Cerco aiuto ma non posso permettermi una terapia per ora. Sono una studente e mia madre, bhe, credo riderebbe solo del mio problema. Conosci chi può aiutarmi sul web? Un blog un sito, qualunque cosa. Mi sarebbe incredibilmente d’aiuto.
    Grazie 🙂

  • MariaGiovanna Luini

    Cara Cristina, non sono sicura che tua madre rida, o forse è la mia speranza. Che non rida, non c’è da ridere. Anche a me succedeva di sottovalutare, di pensare che la mia richiesta di aiuto avrebbe creato indifferenza o ilarità: poi non era così, in effetti. Comunque hai visto che i siti internet sono tanti, il primo che vedi con google è http://www.bingeeatingdisorders.com/ che contiene addirittura un ebook di autoaiuto. Ma ci sono tanti link, e non sono sicura che tutti siano certificati e validi. Forse la cosa migliore è verificare se alla tua ASL ci sia la possibilità di accedere a un servizio di psicanalisi (il medico di Medicina Generale è la persona di riferimento per questo), oppure puoi scrivere email ad alcuni siti che trovi su internet e verificare di persona le proposte. In linea generale, il disturbo alimentare vero è da trattarsi con l’aiuto di un’equipe o quantomeno di uno psichiatra e/o psicoterapeuta. Esistono anche gruppi, cioé terapie collettive che hanno dato una mano a tanti. Ci si trova in gruppo e l’analisi (la terapia) è di gruppo. Stessa cosa rispetto agli Alcolisti Anonimi, funziona.

  • Caterina

    Quel sito sull’Internet ho visto, anche la proposta per la terapia, ma al momento è troppo costoso per me, poi non mi piacciono le cose così impersonali. Preferirei una terapia di gruppo. Qualcuno sa per caso se a Bologna esiste e dove dovrei rivolgermi? Grazie

  • Alessia

    In questo tuo scritto mi sono riconosciuta. Ho riconosciuto il mio dolore e la mia sofferenza quotidiane. Purtroppo io non ho ancora avuto la forza di accettare l’aiuto di uno specialista e inoltre non ho mai avuto il coraggio di parlare ai miei famigliari ed amici dei miei problemi. Sì, soffro di BED da una vita, da quando sono piccolissima. Ora ho quasi 19 anni. Da un anno circa il mio disturbo è sfociato nell’anoressia (almeno credo dato che come ho già detto non ho contattato nessun medico). Solitamente digiuno e circa una volta a settimana mangio ogni cosa mi capiti davanti. E’ dolorosissimo, non solo fisicamente. E il cibo per me è diventato una droga…

  • MariaGiovanna Luini

    Cara Alessia, questo tuo messaggio non e’ forse una condivisione che nasconde una richiesta di aiuto? Il più e’ fatto, hai chiesto aiuto qui. L’hai detto, e io ti sono accanto. Si esce da questo incubo, magari con fatica ma si esce. Manda avanti questa tua richiesta di aiuto, parla con chi ti può sorreggere e guidare professionalmente nel cammino verso la salute piena.

  • P.

    Ho pensato e provato le stesse cose anch’io più e più volte. Ho letto alcuni scrivere che solo chi c’è passato o ci sta passando può ben capire; non sono d’accordo. Come per ogni malattia, è normale che ci sia una particolare empatia tra quelli che ne soffrono, è normale che solo chi vive una certa situazione possa “rivivere” attraverso gli altri un dolore che in qualche modo (anche solo per pochi istanti) sembra smezzarsi. E’ normale ed è bello, ma c’è un problema di fondo secondo me, ed è l’ignoranza generalizzata che dilaga quando si parla (e quando se ne parla?) di Binge Eating Disorder. Se non se ne parla quasi mai è normale che questo disturbo sia così sottovalutato e, a molti, addirittura del tutto estraneo. Perché non parlano del BED anche nelle scuole, quando medici e associazioni vanno più volte l’anno a “fare prevenzione” per alcol, droga, sessualità e addirittura anche disturbi alimentari senza neanche mai citare questa malattia? Perché non ne parlano in tv, sui giornali, alla radio? Ho quasi vent’anni. Convivo con questa malattia da quando ne avevo sette e solo di recente sono riuscita a darle un nome, per il semplice fatto che non se ne parla MAI. Ci insegnano che malattia è digiunare, che malattia è mangiare e vomitare. E basta. La lezione finisce qui. Nel frattempo ti culli e convivi con quel buco nero dentro al cuore che ingoia tutto quello che capita a tiro, perché non sei più tu, perdi il controllo e non capisci se la causa è il cibo in sé o se è il mostro dentro di te che ti fa perdere la testa e divora il mondo, e sai che qualcosa non va ma non hai validi motivi per ammetterlo. E gli altri bambini sono cattivi, anche quelli che ti sono amici, e tuo fratello maggiore si vergogna di te. Lui vede tutto e sta in silenzio, e gli fai schifo e ti fai schifo. E la vergogna! La vergogna di dire “sai papà, credo che dovrei farmi curare perché quando uscite tutti di casa svuoto il mobiletto delle merendine”. E gli sguardi di tutti puntati addosso, anche quando invece non ce l’hanno con te, diventi paranoica, un peso che si muove. Ho un’amica bulimica, da quando me l’ha detto non riesco a pensare ad altro, e mi sento un mostro perché non faccio che invidiarla. Dimagrisce, dimagrisce a vista d’occhio. Si sta uccidendo come me e riesco a provare solo invidia per la morte che ha scelto. Negli ultimi sei mesi ho vissuto facendo la spola fra il frigo e la tazza del wc, provando a spingere due dita in gola, abbastanza a fondo da riuscire a vomitare il mondo che ho dentro, ma non ce la faccio, e il fallimento di portare a compimento quell’ennesimo gesto malato non fa che suscitare altra frustrazione e invidia. E’ una malattia di serie B, penso. Ed io sono la mia malattia, penso. Hai ragione, hai ragione su tutto. E’ una malattia sottovalutata ma ne soffrono molte più persone di quanto immaginiamo, è veramente bello vedere che qualcuno ne scriva pubblicamente. Spero di avere lo stesso coraggio un giorno. Di scriverne, di farmi aiutare. Ti ringrazio. Scusa se non mi firmo.

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