Nemesi di un destino qualsiasi – Capitolo 4 – LAURA

 In Nemesi di un destino qualsiasi, Romanzi

Soffitto, pareti, fotografie. E la finestra aperta sugli alberi del giardino. Lo sguardo vagava cercando il profilo di Luca. Che non c’era.

Laura si era sdraiata sul letto per dormire dopo una doccia calda che le aveva arrossato la pelle: il sonno le era sembrato pesante, tanto da volerla risucchiare, ma si era perso rapidamente quando i fantasmi delle ore precedenti avevano iniziato la loro danza.

Clara sarebbe morta. Non era necessariamente vero che della sua malattia si morisse, tante persone riuscivano a guarire, ma tutto ciò che era accaduto, il tempo trascorso prima che rivelasse la presenza di quella massa orrenda, l’aspetto, l’odore, la difficoltà che c’era stata nei gesti chirurgici (quasi il tumore non volesse andarsene da lei, la mangiasse con gusto malevolo per bucarle l’anima) la condannavano. Non avrebbe mai detto una cosa del genere a Luca, ma a Lidia sì. L’avrebbe detto in altri tempi, secoli prima, quando Lidia era stata la sua analista e avrebbe potuto reggere qualsiasi cosa perché era pagata per farlo; adesso non era che una madre disperata, una moglie confusa e tradita, una donna che non avrebbe saputo reggere ulteriori, traumatiche verità. Tutto era cambiato e non c’era stato il tempo per adattarsi. C’era una giovane donna dal destino sbriciolato dal cancro, e c’erano i suoi genitori. Spaventati. Confusi. Dipendenti da lei come tutti i genitori di ragazzi ammalati. Lidia non era più pagata per ascoltare i suoi tormenti, per sopportare ogni cosa, e forse Luca non avrebbe più diviso con lei le notti e la follia di un figlio da immaginare.

Fissava il soffitto con la braccia allargate in fuori, il tatto ottuso non riusciva a percepire la consistenza delle lenzuola. C’era una macchia gialla nell’angolo accanto alla finestra: aveva margini irregolari e sbiaditi, non l’aveva mai notata, sembrava vecchia. Pensò a quante volte era rimasta ferma a guardare il soffitto mentre Luca l’amava: ricordò, sentì il corpo pesante e atletico sopra il suo, dentro il suo, e l’eccitazione la colpì in pieno. Le capitava spesso di restare ferma a guardare il soffitto perché i movimenti di Luca le entrassero più in fondo, perché potesse prendere da lui tutto ciò che il suo corpo sapeva dare. Lo vide, mentre il respiro accelerava. Vide Luca ansimante, nudo e sudato, e il soffitto sopra la sua schiena, una nube confusa di bianco nelle urla del piacere. O ancora, Luca crollato su di lei con il sesso ancora a penetrarla e lo sperma caldo e vischioso che colava tra le cosce. E il soffitto mai del tutto nitido e fermo nelle convulsioni che terminavano l’orgasmo.

Poi pensò alla finestra, le vennero in mente gli alberi che dondolavano al vento. Molte volte si era affacciato per guardare, commentando la bellezza dei fiori che lei amava coltivare. Lui, ancora, e ancora il desiderio di quel corpo che aveva visto quasi ogni sera in giro per la stanza, o sdraiato sul divano con i fogli delle lezioni da preparare sparsi sul pavimento. Il corpo di Luca. L’aveva condiviso con Lidia  senza saperlo, aspettandolo con le cosce umide di desiderio e strappandogli i vestiti senza aspettare che si chiudesse la porta alle spalle appena arrivato. Luca e lei. Luca e Lidia. Sentì la pelle strizzarsi di brividi cattivi, e una tensione tra le gambe che non volle ascoltare. Lidia e Luca facevano sesso, ne era sicura: lo conosceva abbastanza da non avere dubbi. Si chiese quante volte le fosse accaduto di sfiorarlo, baciarlo, leccarlo, accoglierlo dentro di lei dopo che Lidia aveva fatto lo stesso. O immediatamente prima. Li immaginò insieme, a gemere in una stanza simile alla sua tra lenzuola buttate di lato. Si agitò nel letto. Qualcosa di quelle immagini la disturbava: c’erano nausea e repulsione, e gelosia. Ma non era così facile. C’era anche eccitazione sgradevole e sporca, voglia di guardare Luca e Lidia che scopavano ignari di lei, voglia di toccare e possedere i loro corpi bollenti.

– No!

Gridò alzandosi a sedere.

Doveva smettere di pensare. Quel sapore di sesso sbagliato e irresistibile era il motivo della psicanalisi con Lidia. L’incesto, la bestia puzzolente e fascinosa che la seguiva dai primi anni di vita, da quando suo zio le aveva insegnato a infilare la mano nei suoi pantaloni. E lei aveva tre anni.

Lo zio e la zia, i genitori e i cugini. E la finestra sugli alberi, da dove i ricordi sarebbero fuggiti.

Lidia e Luca, e Clara, con il corpo devastato da lei. Quando Clara si era spogliata, pochi giorni prima, aveva fissato incredula la massa tumorale dura, grigia, disordinata, con croste nere di sangue rappreso su ciò che restava della pelle, e per qualche secondo non era riuscita a trovare le parole: sapeva che se quella massa fosse stata più piccola, se Clara avesse chiesto aiuto in tempo le cose sarebbero andate diversamente. Ma aveva aspettato, vergognandosi o temendo la verità. “E’ la differenza tra la vita e la morte”, ripeté in silenzio due o tre volte assaggiando ogni volta qualche goccia di dolore in più.

– Ce l’ho da qualche mese, non l’ho detto a nessuno. Cresce in fretta, si può togliere?

Aveva detto, e a lei era mancata la forza. Le aveva sorriso, aveva toccato quel mostro abbarbicato sul torace troppo giovane di Clara e aveva detto:

– Certo, la togliamo. Non preoccuparti. Possiamo fare entrare tua madre?

La porta si era aperta e lei aveva raccolto energie chiamandole dagli angoli più bui per fare capire la verità a Lidia senza spaventare Clara. E Lidia aveva capito. Lo dicevano il pallore repentino, la voce secca e stentorea, lo dicevano gli occhi persi come non le aveva mai visto.

Aveva posato la punta del bisturi su Clara scacciando la consapevolezza che fosse la figlia di Lidia. L’aveva immaginata estranea, figlia di ignoti, per non rischiare errori. Aveva accolto con la solita freddezza i complimenti dei colleghi per l’intervento difficile. Era uscita dalla sala operatoria preparandosi a ritrovare Lidia, la sua analista ora solo mamma di Clara. E aveva trovato Luca.

Luca. Il padre del bambino che stava cercando di concepire. L’amante appassionato e presente che le aveva riempito la vita. Il compagno di viaggi, giochi e confidenze. Il marito di Lidia.

Il telefono squillò, distogliendola dai pensieri.

– Pronto.

– Laura, sono io.

La voce di Luca fu una sorpresa.

– Ciao, cosa succede? Qualcosa non va?

– Tutto non va. Ma ti chiamo per sentire come stai.

Esitò. Stava male, ma come dirlo a un padre la cui unica figlia era minacciata dal cancro? Si rese conto di non essere libera di parlargli come avrebbe voluto: doveva ricordare la situazione drammatica di Luca, il proprio ruolo di medico.

– Mi riposo, sto abbastanza bene.

– Non è vero.

– Cosa dici?

– Ti conosco e sono uno psichiatra, anche se al momento ho l’impressione di non essere altro che un bambino terrorizzato. Non puoi stare bene dopo tutto ciò che è successo.

– Hai ragione, non posso.

“Ma non so come parlarne con te”, aggiunse solo con la fantasia.

– Quando ritorni qui?

– In ospedale?

La ragione le suggerì di prendere tempo, doveva riposare e staccare dalla mente il tormento che la confondeva. L’istinto invece disse:

– Tra poco. Hai dormito?

– No.

– Dovresti farlo. Come sta Clara?

– Dorme, la controllano spesso e pare che vada tutto bene.

– Lidia è con lei?

– Sì.

Ci fu silenzio. Probabilmente pensarono la stessa cosa perché Laura non si stupì quando lo sentì dire:

– Ha capito tutto. Sa che stiamo insieme.

Si lasciò cadere indietro tenendo il telefono stretto all’orecchio.

– Accidenti, e adesso?

Le parve che sorridesse.

– Adesso niente. Lo sa. Non lascio lei e non lascio te, ed è inutile discuterne perché la priorità assoluta è Clara.

“Non lascio lei e non lascio te”. La frase rimbalzò qualche volta nella sua testa. Non fu sicura di essere contenta, sapere che Luca non voleva lasciarla non le diede sollievo. Perché era una decisione che forse non aveva ancora saputo prendere, era troppo presto, e anche perché non alludeva a lasciare Lidia. Perché tutto era sbagliato, in quella conversazione. Si costrinse a dire qualcosa.

– Non preoccuparti. Siamo tutti concentrati su Clara, la aiuteremo.

Ascoltò la propria voce scacciando il disagio. Aveva detto la verità. Dovevano pensare a Clara e abbandonare ogni altra ansia, ogni gelosia, ogni amore superfluo. Era stata brava a ricordarlo a Luca, aveva usato la razionalità e non l’istinto. Era Laura, il medico. Il chirurgo che doveva mantenere la calma.

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