diario di viaggio: a Lavello

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Niente arriva a caso, il destino prende la mira prima di lanciare. Mi dico così e osservo due angoli di casa che si intersecano fuori dalla finestra: una casa è bianca, le persiane marrone chiaro chiuse e un lampione blu orribile piazzato proprio davanti, l’altra è gialla con un’antenna che spero regga perché se cade finisce dritta sul balcone della mia camera d’albergo. Camera d’albergo, apriamo uno squarcio sulla mia abitazione fino a domattina: l’ho fotografata, entrando, perché temo che nessuno vorrà credermi. E’ monastica (la definizione è di Marina, che mi ha accompagnata fino qui e mi ospita all’Era dei Libri insieme agli editori Tagete), pulita, semplicissima, con un letto singolo con il copriletto rosa circondato da pareti e da un bagnetto da bambola dove un cartello recita “si prega cortesemente di usare decentemente il bagno”. E’ bella, questa camera, è ciò che serve in questo momento per me, per la mia vita. Un bagno microscopico ma funzionante, un letto che mi accolga e non lasci pertugi ad altri, due prese di corrente per il computer e il cellulare. E un balcone, troppa grazia, c’è anche quello: ho aperto subito la portafinestra e fotografato la strada deserta, stretta, che finisce nei prati, ho respirato il canto degli uccelli che anche adesso mi tiene compagnia. Mi piace essere qui. Scrivo seduta sul letto, l’unica sedia regge la mia borsa e la custodia del computer e la scrivania è occupata interamente da un televisore vecchio modello, piccolissimo, che non accenderò. C’è aria di pochi soldi e pulizia, un’aria buona, qui.
Il treno da Roma si è fermato a Benevento senza proseguire: una frana impedisce l’arrivo a Foggia, me l’aveva preannunciato il tassista a Roma (si è offerto di accompagnarmi fino a Foggia, qui compra il pomodoro da piantare nel suo orto) e l’ha ripetuto la voce dell’Eurostar. Siamo scesi, ci siamo ammucchiati su tre pullman e abbiamo attraversato colline e campagna che non avevo mai visto. Che verde, non lo immaginavo. Il colore, il verde delle distese semideserte (o tutte deserte) spaccate dalla strada dove correvamo oltrepassando pericolosamente camion a rimorchio che suonavano il clacson per protestare mi ha incollato lo sguardo al finestrino. Il tempo è plumbeo, sfilacciato di nuvole tossiche e pompose che smorzano la violenza dei raggi gialli del sole che nessuno oggi ha visto: grigio a lampi il cielo, verde cupo ma rigoglioso, come una protesta di vita nella noia, il manto di erba interrotto sporadicamente da terra dissodata, lastre di metallo abbandonate, pale di mulini per l’energia eolica, e case. Case che mi hanno colpita. Sono lineari, semplici, perfette. Avrei voluto scendere dal pullman per toccarle. Ho immaginato di nascondermi in una di queste case e fare l’amore (non dirò con chi, non ha importanza per voi), poi scrivere e guardare il niente che avevo intorno. Niente, un niente meravigliosamente verde cupo. Perfetto.
Nel viaggio ho abbandonato nella borsa il telefono cellulare: ne avevo saltuaria consapevolezza quando vibrava e scuoteva impercettibilmente il palmo delle mie mani, ma non mi veniva la voglia di leggere sms e avvisi. Ero affascinata. Dalla bruttezza di alcuni angoli di città prima, appena scesa dal treno, dalla bellezza della campagna poi: essenziale, a tratti secchi e armoniosi, silenziosa. Ho paragonato ciò che vedevo alla campagna toscana, alle lunghe strade che ho percorso centinaia di volte immersa in riflessioni che ho buttato via: stessa Italia, niente in comune. Solo le onde delle colline, che si somigliano ma non sono uguali. C’è un che di netto nella campagna a tratti collinosa che ho attraversato, un’essenzialità che resterà nel ricordo. Ho pensato a un uomo che conosco, un amico medico nato e vissuto da queste parti: ho riconosciuto il suo modo di essere, ciò che vedo di lui, la trasposizione umana della rigogliosa bellezza, altera e priva di eccesso.
Arrivata a Lavello ho visto una strada dritta, esattamente ciò che immaginavo, e negozi chiusi: tabaccheria, bar, non ricordo se ho notato una profumeria. Con Valentina e Marina, un panino con la mozzarella (tra i più buoni che abbia assaggiato) e il breve tratto di strada fino all’albergo. Sono nata a Calco, un paese della Brianza che conta tremila anime, sono cresciuta là: il lieve senso di oppressione, il terrore di qualcosa che potrebbe accadere in mezzo al niente ritorna quando fisso gli occhi sugli angoli delle case che si intersecano e sulla campagna che ci circonda da ogni lato, però la lontananza dai riferimenti noti (ammesso che ne abbia ancora) e il canto degli uccelli regalano pace. Una sedia, un letto singolo con il copriletto rosa, una scrivania dove sarebbe impossibile appoggiare il computer, un balcone in comune con la stanza accanto e macchie di ruggine grattate via dal termosifone nel bagno di bambola; il condizionatore nuovo aggrappato al muro intonacato colore albicocca, le pale bianche ferme sopra la mia testa. Farà caldo qui, tra qualche tempo. Oggi no, oggi con il maglione si sta bene: le nuvole sono basse a volute grigie, digradano nell’argento fino a un bianco che non riesce a essere neve. “Si fa in fretta a ritornare estranei”, avrei voluto scrivere così in un sms che non ho inviato, mentre il pullman correva verso Foggia: non ho accennato a scrivere, mi sono limitata a pensarlo. Il cervello si è diluito nel verde, nella pace semplice con pochi mezzi che ha cancellato altre sensazioni.
Cantano, gli uccelli, e una macchina si mette in moto.
Lavello, diciassette aprile, e domani si riparte.

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Showing 5 comments
  • Lorenza Caravelli

    Che bel taglio cronachistico, Giovanna. Complimenti, splendida pagina

  • Max2010

    io l’ho trovato anche piuttosto divertente!

  • Gabriella Leone

    Leggo in ritardo, con lieve sorpresa, della tua imprevista sosta a Lavello. Rivedo, nelle tue parole, la terra che è stata mia fino a tredici anni. Vivevo in un paese di montagna di 4.000 anime, silenziosamente e dolorosamente, lontana da tutta la mia famiglia che pure esisteva, indipendentemente da me, senza di me.
    Ora, finalmente, questa stessa terra di essenziale bellezza è diventata il mio rifugio, il luogo dove il respiro si fa più ampio e il silenzio amico.

    • MariaGiovanna Luini

      Il tuo commento ha suscitato molte emozioni, e curiosita’ per quel silenzio che evidentemente si e’ strutturato dentro di te trasformandosi in rifugio

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