monologo di anima candida
Eh, non è mica semplice. Il capo mi chiede di scrivere un pezzo sull’artigianato locale di una regione che non ho mai visto e pretende che vada a fare un giro in un paese sperduto sull’Appennino insieme a lei. A lei, che follia. Non ci frequentiamo da un pezzo, sono mesi che faccio finta di non vederla quando entra dalle porte a vetri dell’ingresso principale insieme a due o tre colleghe: le lancio qualche sguardo se mi accorgo che è impossibile che mi veda, altrimenti leggo il giornale (un paio di volte era a rovescio, ma non credo si sia accorta), sistemo la ventiquattrore, controllo fogli bianchi stropicciati pescati a caso nella tasca, dico al vuoto frasi inutili con il cellulare spento appiccicato all’orecchio. Insomma, faccio altro e non le regalo la soddisfazione di un’occhiata.
Che poi, chissà che soddisfazione. Se sono onesto, onesto fino in fondo, capisco che mi dispiace. Un po’ questa chiusura brutale e sciocca mi ha dato fastidio: passano i mesi e la mia faccia nello specchio, felice per il nuovo amore, ha un’ombra laterale che stona. Ho tentato di tirarla via ingrassando, poi sono dimagrito, poi ho permesso alla barba di crescere poi invece l’ho tagliata, ho perfino passato un batuffolo di alcool pensando che ci fosse un residuo del mascara di Letizia. Ma no, l’ombra è sempre lì. La vedo, mi dà il tormento. E secondo me c’entra con lei, con la telefonata cretina con cui mi ha fatto saltare i nervi.
Era un pomeriggio di un anno fa, quasi. Non ero pronto, la verità è questa. Cioé, avrei anche potuto esserlo ma non in quel momento. L’ho chiamata per chiederle notizie sulla sua salute, aveva fatto non so più che esame: avrebbe dovuto capire che non c’era altro da dire, in quelle settimane stavo in silenzio perché mi ero innamorato di Letizia. Le stavo telefonando perché avevo uno scrupolo, volevo che sapesse che mi importava chiederle come fosse andato l’esame! E intanto mi ero innamorato di Letizia. Così semplice! Certo, a lei non l’avevo detto, ma in fondo cosa c’è da dire? Non ti chiamo, non ti dico più che possiamo vederci, accettalo e basta, no? Invece niente, tentava di capire cosa fosse successo. Tentava e tentava e tentava. E i suoi sms arrivavano mentre ero con Letizia, davano un fastidio che non vi dico. Così, stupida, ha voluto che le spiegassi durante la telefonata di cortesia che le avevo fatto per l’esame, per la sua salute: dico io, non poteva tacere? Sono esploso: Letizia mi dava il tormento da una parte, lei dall’altra. Non ci ho visto più. Le ho detto che era finita. E mi sono sentito libero.
Libero. Ho respirato proprio bene, nei minuti successivi. Un po’ mi dispiaceva perché mi è scappata qualche frase in più, tipo: “Sei stata una piccola parentesi”, e cose simili, però è colpa sua. Avrebbe dovuto andarsene in bell’ordine e capire. Dai, su, tre anni e qualcosa si possono chiudere, è previsto, non facciamola lunga. Non le avevo promesso niente, in fin dei conti! Quando ho chiuso il telefono senza salutarla (non l’ho fatto apposta: avevo fretta, non mi andava più la sua voce che, intontita e con le lacrime dentro, chiedeva perché) mi sono sentito libero e ho visto subito Letizia, sono stato bene con il senso di qualcosa di giusto che avevo fatto quando si doveva. Avevo una storia d’amore bellissima da iniziare, qualche piccolo problemuccio con un amore vecchio da mettere via ma ce l’avevo fatta. Lei era fuori dai piedi.
– Sai quanto è stata male?
Un bastardo di collega qualche tempo fa ci ha provato. Ha voluto farmi sentire in colpa. Ho annuito per non fare la figura del deficiente senza cuore, però se sono onesto ammetto che no, non ho voluto pensare a quanto l’ho fatta soffrire. Per amore si soffre, l’avevo detto anche a lei: “Con me ti farai male”. Donna avvisata… Le storie finiscono, è chiaro? Finiscono! Ci si rassegna, non abbiamo più sedici anni! Diamine, quando negli ultimi giorni le dicevo “Prendiamoci una pausa per pensare” non poteva leggere le frasi e capire da sola? No, voleva che le spiegassi guardandola negli occhi. Non ne ho avuto il tempo, ero preso dal lavoro e Letizia non mi avrebbe perdonato, poi i mesi si sono accumulati e non ho più avuto la forza di comporre il numero di telefono. Nemmeno alle riunioni ho avuto la forza di parlarle, anche se a un certo punto mi sono accorto che era felice.
– Si è innamorata.
Ha detto il solito stronzo di collega che sembra conoscere tutto di lei. Innamorata, figurati, come fai a innamorarti sei mesi dopo che ti ho lasciata? Cazzo, solo sei mesi? Cosa sono stato, un gingillo? E’ vero, l’ho vista luminosa e sensuale, con gli occhi pieni della voglia che le ho riconosciuto addosso, però poteva essere una forzatura, una farsa. Qualcuno mi ha fatto il nome di un certo Giulio, uno che l’ha travolta e la rende felice. Chissà, io Giulio non l’ho mai visto. E non credo che esista sul serio, non sei mesi soli dopo di me. Non ti puoi innamorare di un Giulio qualunque e partecipare alle riunioni con la camicia abbottonata a metà, la pelle fresca e tonica e i capezzoli dritti come se ti li avessero succhiati la notte prima e ancora avessi la voglia di quelle labbra. No, non puoi proprio. La dignità, accidenti.
E adesso mi mandano con lei in un paesino stupido dove saremo da soli e sarò costretto a parlarle.
– Bene, sono contenta!
Ha cinguettato quando il capo ci ha chiamati e ce l’ha detto. Era contenta sul serio, uno sguardo come vetro colorato che rimanda luce e nessuna ombra. Niente proteste, nessuna impressione fuggevole di un piccolo dolore, senza il minimo pieghino storto delle labbra, sembrava felice sul serio. Come se fossi uno qualsiasi con cui andare a fare una gita per un articolo lungo da buttare giù. Uno qualsiasi! Ma che stupida. Felice di andare con me a studiare l’artigianato e passare la notte fuori! Ehi, ragazza, sono quello che ti ha chiamata piccola parentesi! Non sono mica un signor nessuno! Di cosa discuteremo in macchina? Come faccio a darle la buonanotte? E se si mette al cellulare e parla con questo Giulio cosa faccio, la figura del carciofo? Devo dire a Letizia che vado con lei nel paesino sperduto, così sarà gelosa: quando è gelosa chiama venti volte e fa scenate che non vi dico, spero proprio che le salti la mosca al naso e mi sommerga di chiamate. Così lei vedrà, e sentirà, e dirò a Letizia ti amo. Ti amo, le dirò così, facendo finta di sussurrare. Letizia sarà contenta e io avrò dato un colpo a Giulio, chiunque sia. Con me, non c’è Giulio che tenga.
Che poi, brutta cretina, in effetti è stata lei a chiudere, io volevo che rimanessimo amici! Avevo in mente di trasformare la nostra relazione in un’amicizia, certo non volevo perderla. Insomma, non sono mica un bruto, non sono un ignorante becero come ce ne sono tanti! Le ho voluto bene, e lo sa. Deve saperlo. Una persona intelligente come l’ho sempre considerata dovrebbe immaginare che le voglio bene, possibile che si sia dimenticata tutto? Niente, non c’è stato verso di recuperarla come amica. Ancora non capisco il perché. Un paio di sms glieli ho mandati, tempo fa: nessuna risposta. E allora crepa, sei tu che vai via, non certo io.
Vado a preparare una borsa, butto dentro quattro cose. Forse farà freddo. Devo andare in un paese scemo con una donna che dovrebbe odiarmi. Dovrebbe. Ma non lo fa. Ormai, è come se fossi aria. E no, proprio non mi piace.
Giovanna bello… mi commuovi SEMPRE!!! certi uomini son peggio delle donne!!! grazie… perchè ogni volta mi accarezzi il cuore…
“peggio delle donne”, mi colpisci
cosa vuoi dire?
Il racconto è magnifico. E’ sul “candida” che avrei qualche riserva!
Inconfondibile Caravelli
grazie, Simona!