nemesi di un destino qualsiasi – Capitolo 9 – LIDIA

 In Nemesi di un destino qualsiasi, Romanzi

-Dai mamma, sei lenta!

Camminò più in fretta per raggiungerla.

-Amore, non esagerare. Puoi camminare ma non correre. Hai sentito l’infermiera?

La raggiunse con un po’ di fatica.

-Non ho più l’età per starti dietro, se faccio qualche altro metro ricoverano anche me.

– Sei stanca davvero mamma? Sembri pallida.

Nascose l’affanno che le squassava il petto. Aveva dimenticato le sue terapie in quei giorni, chi poteva pensare alle pillole e alla boccetta delle gocce da tenere sempre in borsa con Clara messa tanto male? Ci aveva pensato, qua e là, si era detta “Devo ricordarmi delle mie medicine”, e aveva anche tentato di recuperare qualcosa quella mattina, ma il fiato arrancava lo stesso. Era l’ansia per tutti i casini, niente altro. Fisicamente stava benissimo, la psiche dava segni di cedimento; ma avrebbe resistito, ne era sicura.

-No tesoro, sto benissimo. Scherzavo. Sono molto felice di vederti così allegra.

Clara si avvicinò a un cespuglio.

-Belli questi fiori. Laura ha detto che durano moltissimo. Li ha anche lei nel suo giardino.

– Come fai a saperlo?

– Me l’ha raccontato questa mattina quando ha tolto l’ultimo drenaggio. Credo che abbia un giardino grande, a casa sua. Mi ha spiegato un sacco di cose sulle talee, sulle aiuole e su come abbinare i diversi tipi di fiori. Ha il pollice verde, beata lei. Nel tempo libero coltiva fiori.

“E scopa con tuo padre, ma questo non te l’ha detto”.

Sentì crescere la rabbia.

-Sì, tempo fa ha scoperto che i fiori la aiutano ad affrontare l’ansia, ne abbiamo parlato.

Clara mosse alcuni passi guardando il terreno. Sembrava perplessa, e a Lidia sembrò di intuire il motivo: conosceva molto bene le regole della psicanalisi, almeno quelle che riguardavano il segreto professionale e il rapporto tra analista e paziente. Sapeva che era sbagliato, che lei stava sbagliando. Non avrebbe dovuto parlare dei dettagli dell’analisi di Laura. In più, Clara avrebbe dovuto mantenere di Laura un’immagine forte e serena, per essere tranquilla. Notò il suo sguardo.

-Sei arrabbiata con lei, mamma?

– Perché lo chiedi? Certo che no!

– E’ strano, quando c’è Laura non parli mai, sei molto seria. Adesso mi dici questa cosa dell’ansia, non fai mai commenti sui tuoi pazienti.

– Laura non è più mia paziente. Conosci le regole: se ci si avvicina troppo cade l’efficacia dell’analisi. E comunque non avrebbe più avuto bisogno di me: sta benissimo. Non preoccuparti.

– Non mi preoccupo per lei, ma per te.

– Perché?

Clara sedette su una panchina.

-Sono un po’ stanca, facciamo una pausa. Non so mamma, sembri strana. Nervosa.

Le sedette accanto.

-Il tuo intervento è stato uno stress per te, ma anche per me. Ora stai bene e sono felice. Il nervosismo passerà. Vuoi che ritorniamo in camera?

-Sarà come dici, ma la mia impressione è che Laura ti abbia fatta arrabbiare. E’ colpa mia?

– No, non lo è. Vuoi che te lo spieghi da analista?

– Sì.

– Quando mi hai raccontato il tuo problema e ho visto cosa avevi nel seno mi sono spaventata. Sapevo che Laura è un bravissimo chirurgo quindi l’ho chiamata senza riflettere, interrompendo di fatto il suo rapporto terapeutico con me. Lo rifarei, sono convinta che sia stata la scelta giusta. Ti ha salvata. Però in qualche modo mi imbarazza il cambiamento. Mi devo abituare, e anche lei.

Clara si alzò e camminò lenta verso l’ospedale, la seguì aspettando che parlasse.

-E papà?

– Papà cosa?

– Ha scoperto di conoscere Laura quando è arrivato da New York. Ti ha dato fastidio?

Era vicina alla verità. Aveva vent’anni e conosceva suo padre. Non le rispose finché furono in camera. La aiutò a sdraiarsi nel letto e sistemò i cuscini.

-Allora mamma? Rispondi alla mia domanda?

– Non me la ricordo.

– Ti ho chiesto se ti abbia dato fastidio scoprire che papà fosse amico di Laura.

Si obbligò a ridere.

-Ma no, perché avrebbe dovuto darmi fastidio?

– Perché sei sempre stata gelosa di papà, vi ho sentiti litigare un sacco di volte. Ha avuto alcune amiche in passato e tu ti sei arrabbiata a morte.

– Ne abbiamo parlato decine di volte. Il matrimonio non è sempre perfetto e tuo padre ha avuto qualche avventura, ma ama te e me, e Laura non c’entra niente.

– Detto così sembra proprio che tu sia incazzata con lei.

– Non è così.

– Sicura?

L’insistenza di Clara la insospettì.

-C’è qualcosa che vuoi sapere? Una domanda precisa che ti tormenta?

Clara abbassò lo sguardo.

-A dire la verità, sì.

– Dimmi.

– Quando papà ha messo la mano sulle spalle di Laura l’altro giorno i tuoi occhi erano cattivi. Li guardavi ed eri furibonda, sono sicura. E lui sembrava che la fissasse con affetto, che le sue dita le stringessero forte la spalla per farle sentire qualcosa. L’hai notato anche tu e ti sei arrabbiata. Ammettilo mamma. Sei gelosa di Laura?

Era troppo. E non c’era tempo. Avrebbe dovuto meditare una risposta, ma gli occhi di Clara le scavavano l’anima. Era bastato un gesto di Luca perché il suo odio per Laura diventasse evidente, tanto da colpire la fantasia di sua figlia. E portarla sull’orlo della verità. Se davvero fosse stata una donna coraggiosa avrebbe ammesso tutto: la relazione di Luca con Laura, il suo dolore, il rifiuto di Luca di lasciare l’amante. Ma il mondo non era più lo stesso di qualche giorno prima e neanche lei: c’era rabbia ma non c’era coraggio, solo troppa, tremenda confusione.

Decise di ammettere, ma solo parzialmente. Conosceva Clara e sapeva che non le avrebbe creduto se avesse negato perfino il suo sguardo di odio quella sera.

-Hai ragione. Ero stanca e depressa, avevo paura per te. Laura mi ha fatta arrabbiare perché ti ha parlato di tumore maligno e quando ho visto papà toccarla ho perso il controllo.

– Secondo me l’ha fatto senza pensarci, voleva tranquillizzarmi. Voleva farmi vedere che c’è armonia e che posso fidarmi di Laura così come si fida lui. Le ha stretto la spalla per farsela alleata, credo.

Capì che quella era per la figlia la spiegazione più accettabile.

-Hai ragione, sono le stesse cose che ho pensato io quando mi sono calmata. Al momento mi sono arrabbiata ma ho riflettuto, e l’ho capito quasi subito: l’atteggiamento di papà era un segnale a te, a noi, sull’affidabilità di Laura.

Rise.

-Certo averlo capito non mi ha salvata da un furibondo litigio con tuo padre, che ha notato il mio sguardo come l’hai notato tu.

– Davvero?

– Sì, ha aspettato che fossimo soli e mi ha investita con i suoi rimproveri.

Stava funzionando. Clara seguiva il suo racconto con l’espressione attenta e mezzo sorriso, senza parlare.

-Gli ho detto che mi sono resa conto della sciocchezza e la cosa è finita lì. Ma lo conosci, ci mette un po’ di tempo a sbollire.

– Già. Meno male, sono contenta che non ci siano problemi con Laura. Lei con me è meravigliosa e mi dà molta sicurezza.

“E’ meravigliosa anche con tuo padre. Vorrei che la vedessi in ginocchio davanti a lui, a sbottonargli i pantaloni”.

La rabbia ritornò, violenta. Quella puttana di Laura stava rubando il cervello a sua figlia dopo essersi bevuta quello di Luca. Voleva portarle via tutto, anche l’amore di Clara. Si voltò verso la finestra per chiudere la tenda.

-E’ ora di riposare. Prova a dormire, così quando arriverà Laura potrete chiacchierare e sarai fresca e allegra.

– Sì, mamma. In effetti sono stanca. Penso che oggi Laura mi parlerà della chemio, meglio dormire per prepararmi un po’.

Le tenne la mano finché la vide dormire, percepì il rilassamento dei muscoli e il respiro sempre più regolare. Fissò il suo torace: anche se la medicazione contribuiva a nascondere lo scempio, la mancanza di un seno era evidente. Clara non aveva ancora affrontato l’argomento, ma prima o poi avrebbero dovuto parlarne. “Meglio aspettare”. Non riusciva a guardarla senza i cerotti: la cicatrice le faceva orrore, la mutilazione sul corpo di sua figlia era intollerabile. L’avrebbe portata da qualche parte, da qualsiasi parte e spendendo ogni possibile cifra, per darle un seno nuovo. E un’immagine che si potesse ancora guardare senza che il cuore si strappasse di disperazione.

E la chemioterapia. Clara era certa che avrebbe dovuto farla per rischiare meno, sarebbe rimasta senza un seno e senza capelli, magari con le sopracciglia rade e tristi. E ne avrebbe parlato con Laura. Ancora lei. L’aveva vista stringere la mano a una paziente che sorrideva con gratitudine, l’aveva odiata anche per quello. I pazienti l’amavano: il sorriso totale che riempiva il viso rotondo e illuminava gli occhi, il tono della voce calmo con l’ombra della erre blesa, i modi pacati e rassicuranti attiravano fiducia, speranza e gratitudine. E amore, quello di Luca, che non l’avrebbe più lasciata: la passione era destinata a spegnersi ma il bisogno no, quello avrebbe resistito perfino ai sensi di colpa e l’avrebbe legato a lei per sempre. “Bisogno non è amore”. Lo ripeté a se stessa, l’aveva detto molto volte a Laura in analisi. Nella vita di Laura c’erano state molte relazioni basate sul bisogno, e ogni volta lei l’aveva aiutata a capire. Gratitudine e bisogno non potevano essere sufficienti a renderla felice, ci voleva anche l’amore.

“Qui l’amore c’è, e c’è anche il sesso”. Il dolore al centro del petto picchiò duro. Avrebbe dovuto stare attenta, quei pensieri le toglievano il fiato e peggioravano i sintomi, non era il momento più adatto per stare male. Pensò alle pillole, forse erano nella borsa, o magari c’erano le gocce, ma non ebbe voglia di cercarle.

Luca e Laura, era colpa loro. Si conoscevano da mesi e lei sapeva tutto dall’analisi, dai racconti entusiastici di Laura che con Luca sembrava avere ritrovato vita. Si erano incontrati a una cena di inaugurazione di un congresso, erano finiti subito a letto. Copione usuale per entrambi. Quando Laura le aveva raccontato la passione con lo psichiatra a lei non era venuto in mente che potesse trattarsi di Luca. Nonostante il nome, nonostante la professione e le due o tre notti di assenza ogni settimana che coincidevano con la felicità di Laura. Non aveva capito neanche quando entrambi erano spariti per una settimana, ed erano ritornati felici e abbronzati con gli atti di un congresso a Cancun. Coincidenze indegne di nota: lei, Lidia, moglie tradita spesso e gelosissima, si era lasciata sfuggire una relazione che avrebbe dovuto essere subito evidente perfino a un’analista alle prime esperienze. E la colpa era di Laura, solo sua: con quel modo di fare ingenuo e immediato, con la bontà che traspariva anche nei momenti di rabbia l’aveva ingannata. Come aveva ingannato altre mogli di suoi amanti prima di lei. Era sua, la colpa. Carpiva l’affetto per mangiarselo e vomitarlo distribuendo dolore. Usava gli uomini travolgendoli di erotismo, per poi abbandonarli quando il possesso non le interessava più.

-Lidia.

La voce di Luca la riscosse dal dormiveglia. Accolse il suo bacio senza ricambiarlo.

-Dorme.

– Ha camminato?

– Sì, siamo state in giardino. Le hanno tolto anche l’ultimo drenaggio, c’erano solo venti cc.

– Bene, come va l’umore?

– Il suo o il mio?

Le sorrise.

-Di entrambe.

-Il suo molto bene.

– E il tuo?

– Chiedilo a Laura.

Luca sospirò, scosse la testa.

-Non sei tu Lidia, proprio non sei tu.

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