Nemesi di un destino qualsiasi – Capitolo 12 – LAURA
La parete bianca. E Luca seduto sulla sedia in corridoio, i gomiti appoggiati alle ginocchia. Con le dita spezzava una foglia secca presa chissà dove, lasciando cadere briciole sul pavimento. Aveva ombre scure intorno agli occhi.
-Stai attento, siamo in ospedale.
– Me ne frego.
Le rispose, accartocciando ciò che restava della foglia e scagliandolo in un angolo. Un’infermiera attraversò il corridoio fingendo di non accorgersi di loro.
-Sapevi che Lidia aveva problemi di cuore?
– Non ne avevo idea.
– All’elettrocardiogramma c’erano tracce di un’ischemia precedente e nella borsa aveva la nitroglicerina. Possibile che si curasse senza che tu sapessi niente?
Lo fissò, cattivo.
-Sì, a quanto pare è possibile. Non posso sapere tutto di tutti.
“Ma di tua moglie e tua figlia sì”. Fu un pensiero che spinse per diventare parola, avrebbe voluto ferirlo. Non aveva visto il sarcoma di Clara e neanche l’ischemia cardiaca di Lidia, aveva insistito in una vita di viaggi, carriera, lavoro, passioni che andavano e venivano, sesso e illusione. E lei era sua complice, in tutto. Non avrebbe dovuto giudicarlo, l’aveva travolto (o era stata travolta?) e non si era fermata.
-Come farai a dirlo a Clara?
La sue spalle si piegarono in giù.
-Aspetterò che stia meglio e le racconterò come è andata.
– Aspetta che sia uscita dalla terapia intensiva.
“Se esce viva”. Aggiunse dentro di sé. Il pericolo per Clara non era ancora passato.
-Non riesci a essere meno banale di così? Dici cose ovvie!
Ricevette il suo sguardo, consapevole dell’odio che in quel momento provava per lei.
-No Luca, non riesco. Tua moglie è morta e tua figlia lotta per vivere. Mi sento angosciata e piena di senso di colpa. Mi è difficile intrattenerti con conversazioni brillanti.
“E’ ora che ti svegli, metti i piedi sulla terra dove camminano tutti”. Non riusciva a fermare i pensieri. Avrebbe voluto picchiarlo, strappargli i capelli, graffiarlo. E chiedergli di fare lo stesso con lei, di ucciderla facendola soffrire moltissimo per espiare almeno parte degli orrori che aveva commesso. Erano due criminali, ormai legati tra loro dalla vita. Ma lui sembrava non rendersene conto.
Continuò a fissarlo immaginando cosa sarebbe successo. Sapeva. Il presente non era mai stato tanto chiaro. Aveva capito quando Luca, di fronte al corpo immobile di Lidia, aveva preso la sua mano.
-Ha chiamato te prima di morire.
– Sì. Forse voleva dire qualcosa, qualunque cosa, per farmi male. Avrebbe avuto ragione.
– Non credo, la conosco bene. Accidenti, non riesco a parlarne al passato. La conoscevo bene. Era una donna intelligente e sono sicurissimo che abbia capito che moriva.
– Dai, Luca.
– Ascoltami. Ti voleva accanto, ne sono certo. Voleva affidarti Clara.
Era rimasta ferma, con la sua mano a stringerla e il sangue che sembrava scorrere sempre più freddo e lento. Aveva sperato che non si rendesse conto dei brividi che le scuotevano il corpo. Aveva pensato che fosse sotto choc, che non riuscisse a controllare le parole e i pensieri e si lasciasse andare a ragionamenti assurdi.
-Non puoi pensare sul serio queste cose. Anche ammesso che sia andata così, sono cose che si pensano e dicono nei momenti di tragedia, non devono essere per forza reali. Anche tu sei traumatizzato, lascia che il tempo passi: farai le scelte che credi giuste, e anche Clara.
– Le penso invece. Non abbandonarmi, Laura. Non abbandonare Clara.
Agghiacciante, non avrebbe saputo definire altrimenti la conversazione paradossale, abietta, a poche ore dalla morte di Lidia. L’aveva visto scappare fuori dalla stanza mentre Lidia moriva, aveva fatto fatica a credere a quella corsa insensata lontano da lei.
Poi le aveva chiesto come fare per avvisare i parenti e organizzare il funerale.
-Laura, scusami. Non riesco a ragionare. Non so se pensare a Clara o a Lidia, mi preoccupo e mi dispero nello stesso momento. E’ incredibile, ho perso mia moglie e rischio di perdere anche mia figlia.
Chiuse gli occhi e gli circondò la vita con un braccio. Poteva sentire la sua confusione, le era più chiara del suo corpo che tante volte l’aveva penetrata. L’avrebbe odiata, qualche giorno dopo. Si sarebbe reso conto di tutto e non avrebbe potuto sfiorarla o guardarla negli occhi, consapevole della colpa e della follia della propria reazione alla morte della moglie. Poi si sarebbe rassegnato, schiacciato dalla malattia di Clara e dal bisogno.
-Sono qui Luca. Sono qui con te.
Una condanna, era questo. Per lei e per lui. Almeno per qualche tempo. L’uomo che aveva amato con egoismo e passione le era stato regalato dal destino con un colpo di mano inimmaginabile, insieme a un carico di tormento e senso di colpa difficile da affrontare. Che avrebbe bruciato ogni residuo di amore. Eppure lui era suo, finalmente.
-Quando potrò vedere Clara?
– Tra poco. Ha sorriso, prima, ha mosso una mano per salutarmi. Fabrizio verrà a chiamarti appena finita la medicazione.
– Verrai con me? Tu sai tenerla allegra.
– Sì, se vuoi vengo con te.
– Vieni, da solo non ce la faccio.
– Non sei solo, Luca.
Lo abbracciò. Sentì il suo odore.
-Ti amo, Laura.
Anche le parole erano diverse. Le frasi consuete cambiavano tono e significato. Forse l’amore c’era, ma piano piano i colori, l’emozione, i brividi avrebbero perso vivacità. E il figlio che aveva dentro (lo sapeva da giorni, ma non l’aveva mai percepito bene come in quelle ore, come se il cervello si fosse svegliato all’improvviso interpretando segnali fino a quel momento sconosciuti) avrebbe sancito la trasformazione, qualsiasi cosa fosse accaduta dopo.
Rispose con le uniche parole possibili.
-Anche io ti amo.
In fretta, senza pause o spazi di tregua, il caso aveva colpito. E i fiori del suo guardino erano pronti a morire.
-Professore.
Una giovane donna bionda si avvicinò esitante. Luca alzò la testa e provò a sorridere.
-Carla.
Le porse la mano.
-Cosa fai qui?
– Ero in ospedale per il tirocinio in psichiatria e ho saputo di sua moglie, mi dispiace così tanto.
Si alzò per abbracciarla, poi indicò Laura.
-Laura Viti, il medico di mia figlia. La mia compagna.
“E’ pazzo”. L’intuizione la fulminò. No, non era pazzo. Aveva detto a quella donna che lei era la sua compagna perché la sua testa aveva già deciso tutto, e i ruoli sfumavano e si contorceva ancora una volta. L’evidenza la colpì, e la storia di Lidia che aveva affrontato anni di tradimenti e alla fine aveva sfogato tutta la sua rabbia su di lei le apparve perfettamente spiegabile. Luca continuò:
-Carla Santoro, una delle mie migliori allieve. E’ specializzanda dell’ultimo anno, lavora con me.
La stretta di mano fu rapida, Laura non riuscì a parlare. “La mia compagna”, e i capelli biondi di una donna bellissima. Più giovane di lei. E il braccio di Luca sulle sue spalle. Forse era la gravidanza, oppure il crollo delle certezze, ma tutto era tremendamente nitido. E inevitabile.
-Vi lascio soli, professore. Mi dispiace tanto, se posso fare qualcosa per lei mi chiami senza problemi.
“Farai molto per lui”. Non riuscì ad arrabbiarsi. C’era Clara con il cancro, e c’era il funerale di Lidia da organizzare. E un figlio, forse, a cui regalare certezza.
Luca le sfiorò le labbra con un bacio.
-Grazie Laura. Ho bisogno di te, amore.