Roma erotica in silenzio

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Il balcone buio e la strada, pochi metri sotto. Gente che cammina, lingue mescolate a tirare fuori niente. Fuma e osserva la luce gialla che sfiora appena la ringhiera, seduta su un divano sfondato rosso e china su un libro appoggiato al tavolo rotondo con cianfrusaglie sparse che fanno casa. Le succede così: arriva e butta qua e là, si libera di cose che intasano la borsa e le vuole vedere sui mobili, intorno al televisore spento. I telefoni muti e con poco segnale urtano il libro, i bracciali fanno rumore ogni volta che si muove. Le fa male la schiena, ma non cambia posizione. Potrebbe alzarsi e leggere sul letto, quello che ha di fronte il muro e poco spazio per camminare.

–       Come si fa a fare l’amore qui? Soffoco, mi manca il fiato.

Ha detto Luca una notte, molto tempo fa. Ma l’hanno fatto e rifatto, nei secoli della loro relazione che non esiste. Hanno fatto l’amore quando le riusciva, quando il corpo accettava che lui entrasse e la facesse piangere di dolore o ridere di passione.

Legge, adesso. Ha camminato ore nelle solite strade, ripetendo vie e cancellando i pensieri. Perché detesta il culto dei ricordi. Roma l’ha vista ridere e gridare e ammutolirsi, l’ha vista appesa a un braccio o a un telefono e persa di divertimenti con gli amici o gli amori che adesso non ricorda. Ha cercato di spiegare, ha detto una volta che Roma è Roma, e per lei sarà sempre il nido che l’ha accolta senza tentare di capirla. Ma non deve essere un simbolo, ciò che è stato è perso indietro. Ostinata, ritorna su luoghi che non devono ricordarle un passato che l’ha costruita ma non esiste più: è riuscita, questa sera, a camminare fino a sfinirsi senza cedere alla tentazione di pensare. Rievocare è peccato, i luoghi sono solo luoghi e assumono la forma attuale che non è più quella di ieri. Piazza Argentina, per esempio: a lungo non ha potuto fermarsi, schiacciata da un ricordo storto che l’ha abbattuta, agghiacciata e fatta piangere. Ma è piazza Argentina oggi, solo questo. Come le vie, e gli angoli, e la casa a Trastevere che qualcuno ha affittato snaturando i mesi e gli anni con lei dentro, con l’amore fatto e qualche volta ricevuto e le parole buttate giù in romanzi già usciti. E andati lontano, oltre lei. Ha scattato fotografie e girato angoli, zigazagato in piazza Navona osservando donne con il vestito rosso ritratte su quadri che avrebbe voluto appendere in case ancora da costruire.

–       Ma sei a Roma?

Due o tre sms, e a tutti ha detto che voleva stare sola. La conoscono, a Roma gli amici sanno chi sia, sanno il suo bisogno di fuggire e inseguire e tacere, se deve. Milano la guarda vivere e non riesce a comprenderla, Roma la abbraccia subito e gli inviti piovono addosso da ogni parte. Ma se vuole il silenzio, gli amici accettano. E tacciono con lei.

Scesa a Termini, ha capito di non volere compagnia. Allegra, ha atteso un taxi nella fila lunga di gente che fumava e guardato la strada correre lenta fuori dal finestrino. Ha appoggio la borsa sulla moquette ed è uscita subito, per perdersi. Cancella il rito nelle sere come questa, butta via la polvere dai vestiti e le ragnatele appiccicate alla sua emotività eccessiva. Cammina, allunga il passo, fa fatica per sentire i muscoli tirare e gli occhi stretti sulla città. Niente mani, nemmeno un abbraccio rassicurante e il sesso noto, abituale, affettuoso. Niente, non questa sera. Ha forzato l’andatura e pensato ai muri che hanno nascosto segreti, ai libri che ha letto e a quelli ancora da scrivere. Ha goduto delle piazze deserte durante la partita dei Mondiali. Poi, per qualche istante, ha fissato gli occhi sui corpi delle donne che la sfioravano senza vederla. Se avesse avuto voglia di passione, avrebbe scelto loro. Sceglie le donne o gli uomini, dipende dal momento. “Caccia grossa”, la chiama così ed è banale, perché non è caccia a tantomeno grossa, ma deve impressionare se stessa e degli altri se ne frega. Pensino ciò che fa più comodo, non riusciranno mai a capirla. Non l’ha capita neanche Luigi, che sembrava vero ed è scappato appena il suo amore ha rischiato di farlo sentire vivo: non ha voglia di pensarci, le illusioni evaporano e non profumano più. Ha guardato le donne, insomma. Ha accarezzato silenziosa solo con la mente corpi perfetti e giovani, anche snelle e gambe lunghe, e raccolto sguardi complici. Le ha seguite nelle strade senza tentare di fermarle, ha immaginato il loro piacere con le sue mani e le labbra addosso, le ha spogliate divertita dalla loro inconsapevolezza.

–       Oh, scusi.

La ragazza con i capelli rossi e i capezzoli scuri sotto la maglietta bianca è arrossita quando l’ha urtata finendole addosso.

–       Niente, si figuri.

Le ha regalato un sorriso che solo lei leggeva per intero. L’ha desiderata, sarebbe bastato allungare le dita e stringerla, ma non l’ha fatto. Non si è mossa, ha accarezzato tenue i desideri segreti ed è andata avanti. Avanti ancora.

Ha mangiato in un piccolo locale vicino alla casa, buttando parole sul palmare per rispondere a messaggi che ha lasciato dormire qualche ora. Un bicchiere di vino rosso e l’aria, cacciata a forza nei polmoni.

–       Ciao, amore. Domani non posso, non so come dirtelo, ma ho un impegno. Posso dedicarti un’altra mezz’ora della mia giornata, possiamo cambiare?

La voce nel telefono è arrivata mentre beveva dalla bottiglia sorsi lunghi di acqua sul balcone affacciato sulla strada. “Amore”, e “un’altra mezz’ora”: avrebbe sofferto, in un’altra vita. Ma la parola amore è un controsenso che non ha più luogo né minuti, una vecchia abitudine che ha smesso di considerare. Carla usa ancora la parola, dice che solo con lei esiste piacere ma da tempo non lo riceve più. E la mezz’ora nella sua agenda è il dono che può offrire contro ogni logica, contro l’evidenza. Ha accettato, rassegnata e distratta dalle luci di un aereo che sorvolava Roma. L’ha ascoltata guardando in alto, il cielo senza stelle con l’aereo a tracciare un solco giallo vivido. Non fa differenza: la mezz’ora è ghiaccio, come il vestito rosso attillato e i tacchi che la rendono sensuale. Carla è una maschera erotica aggrappata a un’epoca sciolta nelle decisioni, nelle relazioni nuove e già cadute, nelle pretese inutili e capricciose da bambina che non perde il centro della scena.

–       Ti amo, lo sai che ti amo? Non posso stare senza di te, è che non si riesce mai a trovare il momento. Mi manchi tanto, ripensaci, ritorniamo insieme, come faccio senza te.

La ascolta e fa sì con la testa, il libro ha un’impurità al centro della pagina. Legge qualche frase e perde il senso. La nenia della sua voce e una risata che trattiene: è acida, la sputerebbe fuori e rischierebbe di ferirla. Non avrebbe scopo. Ha deciso di accettare la finzione: Carla finge di non avere capito, lei finge di sapere. Fingono, sulle macerie di un amore morto.

–       Ma cosa fai? Sei sola? Perché?

E’ Luca, adesso. Le telefonate si inseguono e lui sa sempre come trovarla. Non ha mezz’ore né agende, per lei. C’è, spacca appuntamenti e disintegra doveri. Non gli racconta, parla del libro e della passeggiata e della carne che ha mangiato.

–       E Carla? Ti ha chiamata?

Nega. Se dicesse di sì dovrebbe spiegare, e lo sentirebbe arrabbiato. Non ha voglia, non gli vuole dire cosa sia accaduto a Roma, e a Milano, protegge volti che sono scivolati indietro. Dice che non esiste amore, e non ci sono corpi che abbiano sfiorato il suo: sa che non le crede, si fa bastare le bugie e la osserva vivere anche quando cade.

–       Non mi convinci. Secondo me è successo qualcosa, e se ti hanno fatto male mi incazzo sul serio. Mi vuoi, questa sera?

Sorride. L’aereo non si vede più. La notte ha inghiottito la voglia di restare sola e il libro e i sampietrini sotto le suole morbide per camminare. Mi vuoi questa sera. Con Luca il mondo è semplice, e i vent’anni non sono mai passati.

–       Allora, mi vuoi?

Non gli risponde e mette via il telefono. Roma è Roma, prima o poi smetterà di fuggire e si fermerà qui.

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Showing 3 comments
  • Bianca 2007

    E’ SCRITTO MOLTO BENE,
    MariaGiovanna.E sul momento ho persino pensato d’averlo scritto io,questo racconto di realtà velata da una solitudine che riempie da “fingere” di bastare a se stessi.Poi…il trionfo della vita senza ricordo.Evvai! Ti lascio un “brava” e non è retorica.Bianca 2007

  • Tony Malerba

    Mi è piaciuto, direi che è ben scritto.

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