incanto di un riparo dal mare rabbioso nel porto di Roma, remake
Ogni tanto mi viene in mente di leggere e rileggere ciò che ho scritto molto tempo prima. Questa sera ho incontrato un racconto nato in un porto. Ho giocato (ma forse no) con le parole per ritrovare emozioni completamente diverse, oggi, e occhi e mani mutati e uguali. Ponza ritorna, insieme al faro, e forse anche le mani che (nella finzione reale della scrittura) mi hanno fermata mentre camminavo in cerca di libertà. Ecco il remake, ma quanto oltre si è vissuto…
Non l’ho visto subito. Quel pomeriggio, intendo. Quell’agosto caldo con il mare che impazziva e ci teneva prigionieri nel porto di Roma. La notte era lontana, cercavo qualcosa da guardare senza l’opprimente necessità di essere ciò che gli altri pretendevano che fossi. Con un sorriso che non potevo trovare. Comunque. Camminavo la via lunga e afosa e crudele e non pensavo. Aspettavo che il tempo passasse buttando gli occhi sulle barche ormeggiate e sui negozi chiusi: poche cose sono tristi come i negozi chiusi nei porti dove la gente si rifugia. Un negozio è lì per distrarti, per farti sentire la festa e le gocce di vacanza che autorizzano ogni gesto, anche il più stupido desiderio fatuo da non realizzare: a Roma, negli spazi enormi di un porto dove i bambini correvano su biciclette tanto piccole da non riuscire a vedersi, i negozi erano chiusi. In piena estate. Mi hanno fatto pensare ai bar dove chiedevamo la brioche per la colazione: un brioche non si chiama brioche nelle diverse regioni toccate dai viaggi, e pazienza per il nome ma non ho mai capito perché anche la colazione debba essere stantia quando il caldo cola sulle spalle bruciate dal sole, nei porti, ancora, dove la gente vive dei turisti che galleggiano e sperano nella brioche fresca e in un cappuccino con la schiuma dura. Misteri indecifrabili di chi vive di turismo: giornali da cercare con chilometri a piedi, negozi chiusi e pezzi di dolce stantio.
Ritorniamo al momento, ai passi sull’asfalto pastoso del porto di Roma. Pensavo a non so cosa. A un tratto, e fu come un’impressione da sogno, una mano sfiorò la mia schiena.
– Sei qui, allora.
Credetti che il sole e la noia e l’angoscia mi avessero tradito, la mente era cotta dalla voglia di non esistere, e non mi fermai. Eppure la voce era sua, e le dita che toccavano lente anche. Lo sapevo. Pensavo in fretta che non avesse senso: non avrebbe dovuto trovarsi dietro di me, nel porto deserto di anima con il sole impietoso. Era sbagliato il luogo, e folle il momento. Non volli sapere se fosse allucinazione o realtà, andai avanti di qualche passo per fuggire alla delusione.
– Ehi, ferma. Sono qui!
La mano questa volta mi afferrò con forza, e mi costrinse a girare la testa e il corpo (e la mente rapita): Luca era là, e mi fissava con il sorriso che conoscevo. Quello di chi sa che sta cambiando il corso degli istanti.
– Ciao!
La mia voce si spezzò subito. Erano gioia, e sorpresa, e disperazione. E sollievo, forse, ma non lo riconobbi. Le lacrime scesero più calde dell’asfalto. Mi abbracciò dimenticando la solita esitazione.
– Vieni qui, amore. Cosa succede? Perché piangi? Sono con te, senti?
Accarezzò i miei capelli disordinati intrisi di sale e ingialliti dai giorni sulla barca, respirò piano.
– Che cosa c’è? Non piangere, sono qui.
Ripeteva “sono qui”, e io sapevo la bugia. Conoscevo la brevità dei minuti e il segreto. La fuga che avrebbe seguito l’abbraccio e il pianto.
– Che cosa succede? Dimmi.
Sussurrava, mentre cercavamo un angolo buio, un’ombra che lenisse la crudeltà della luce. Provai a spiegargli muovendo le mani. Dissi la noia e la presenza opprimente di chi non voleva proprio capirmi, disegnai lunghissime ore con la gola spalancata per cercare aria pulita.
– Ti avevo detto che sarebbe accaduto.
Sospirò, sedendosi su un piccolo muro sporco e prendendomi la vita. Mi fece sedere sulle sue ginocchia.
– Sei una donna speciale. Hai bisogno di silenzio e amore. E di pazienza. Forse hai anche bisogno che ti si capisca davvero. Ci vuole il manuale, con te. Volevo scriverlo quando eri una ragazza, poi non ci ho pensato più. Ma ci vuole, quel manuale, è necessario. Ammesso che a qualcuno venga voglia di leggerlo. Ti fanno male e non posso proteggerti, ti fanno male perché sei aliena, lo sei sempre stata. Nella famiglia che ti ha cresciuta a metà, nella scuola dove gli occhi degli altri erano fatti di invidia, e adesso. Vorrei che un uomo ti amasse sul serio, sai quanto lo vorrei. Mi farebbe soffrire ma sarebbe giusto, e bello per te. Il tuo corpo finalmente saprebbe accogliere qualcuno, conoscere la gioia di offrirsi senza avere paura. Sapresti che fare l’amore è gioia. E non avresti dolore, sono pronto a scommetterci, non ti farebbe male.
Lo baciai, il pianto diluito e quasi indietro, in un passato cui non volevo ripensare.
– Grazie. So che speri che sia felice. Chissà che accada, perché no? E forse il mio corpo aspetta, sta solo aspettando che qualcuno sappia parlargli come si deve. Ma tu? Cosa fai qui? Anche tu hai la barca qui?
Rise.
– Sei fantastica quando cambi discorso. Sì, sono qui con la mia barca, ma solo perché tu hai trovato rifugio a Roma. Quale migliore occasione di un tuo riparo fortunoso, con il cuore stretto dall’oppressione e dall’altrui gelosia (che sia gelosia dubito, lo sai: per me è invidia, e contro l’invidia nemmeno gli angeli…), per provarci di nuovo? Per tentare la tua carne formosa e trepidante?
Risi anche io. Era lui. La poesia era sciolta nell’abbraccio noto, nelle mani corte che sapevano prendere anche quando era necessario dare.
– Sei venuto qui per portarmi a letto?
– E’ ovvio. Questo hanno sempre detto di noi.
Hanno detto di noi. Ricordai gli anni. E le parole.
– Già. Non può essere altro che sesso, non puoi volermi bene senza toccarmi. Tu non ami mai.
– Non amo. Dicono. Eppure sono qui e ti cerco, e non è nemmeno il viaggio più lungo che abbia fatto. Ricordi l’Irlanda?
Strappai il tempo e fissai le sue mani.
– L’Irlanda, sì. Arrivasti come in un film. Sulle scogliere con il mare che tuonava e si scagliava contro rocce eterne. Che sgretolavano sotto i miei piedi. Come quelle di…
– Di Ponza, sì.
Completò la mia frase. Non mi stupì: sapeva respirare dentro il mio corpo e pensare nella mia mente, da tanto tempo.
– Vuoi ancora vivere al faro?
– Sempre più.
– Bene. Continua a sognare il faro e lascia stare l’invidia. E l’incomprensione. Le donne come te non hanno bisogno di approvazione. Si amano e basta, oppure si lasciano in un faro nel loro silenzio.
Lo baciai ancora. Avevo sempre amato il suo viso, e le labbra fredde e sottili. Sentii le braccia afferrare la mia schiena.
– Luca.
Mi allontanai un poco.
– Sì, tesoro?
– Non verrò a letto con te.
Il suo viso si fece ombra per pochi secondi, poi mi afferrò il mento. E baciò, ancora.
– Lo so. L’ho sempre saputo. Ma sai, so aspettare. Ritornerai. Sei nel mio destino, e io nel tuo.
Non seppi che cosa dire. Mi alzai pensando che fosse ora di ritornare. Camminai lenta con la sua mano che teneva la mia, dimenticando la gente e gli occhi che avrebbero potuto vedere. Quando fummo vicini alla sua barca lasciò che la guardassi e ne respirassi il nome: sapeva che stavo ricordando le forme e il profumo, e i momenti passati. I momenti di noi. Poi mi strinse, e non era più amore. Passione, seppi.
– Ciao Amelie, mia Amelie. Chiama e io arrivo, chiama e sarò qui.
Si allontanò toccando un punto del collo dove di solito sistemava la cravatta, e capii il dolore. Lo salutai con la mano e pensai “Scusa”. Sentii di amarlo, anche, ma il cuore negò e chiuse gli occhi. Vidi il suo corpo sparire e un marinaio sciogliere gli ormeggi. Affrontava il mare cattivo, e forse sospirava. Per poche miglia, sapevo. Andava via.
Restai a guardare la barca che usciva dal porto e oscillava rabbiosa, poi una mano mi scosse.
– Che cosa fai? Dormi?
Svegliarmi non mi spaventò: mi alzai dal piccolo muro sporco dove ero addormentata e sorrisi.
– Sì. Forse il sole…
Ritornai alla barca con il sogno nel cuore, e il sapore delle sue labbra ancora in bocca.
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E’ bello quando gli impulsi spingono il pensiero a lasciarsi raccontare dalle sensazioni…
RICORDO
molto bene i vecchi racconti del Faro.Mi commuovevano sempre un pò.Il Faro! Spesso è un miraggio per il navigatore stanco di remare e in cerca del porto.Ciao cara Mariagiovanna e…BUONE VACANZE.Bianca 2007
Amelie, dolce e tormentata Amelie.