monologo di un DNA XY
Di tutto ciò che potrei scrivere, niente va bene. Ho abbandonato i libri su una sedia, perso la borsa da qualche parte sul pavimento e cercato i segni del suo passaggio. Quando sono uscito da casa questa mattina ero sicuro che sarebbe venuta: lo sentivo, sapevo che avrebbe aperto con le chiavi che lo ho dato e annusato l’aria, ispezionato ogni angolo per trovare le tracce che voleva. L’ho immaginata vestita bene, con la camicia aperta sul seno e i tacchi tolti subito, al di qua della porta. L’ho vista camminare piano, prima, per essere certa che non ci fossi, poi con maggiore sicurezza: deve avere chiamato il mio nome, appena dentro, due o tre volte, poi ha lavorato in silenzio. Ha sfiorato il mobile cinese all’ingresso, lanciato uno sguardo alle chiavi della macchina e contato: una, solo una, quindi ero uscito sul serio. Poi ha osservato il divano, liscio come se nessuno si fosse seduto, e tirato dentro l’aria. Annusa, annusa sempre. Riesce a captare il profumo di Lucilla anche quando ho aperto le finestre e spinto fuori i ricordi con le mani aperte.
– E’ stata qui.
Lo dice senza inflessione, senza considerarla una domanda. Afferma, spiega l’inevitabile. Cerca Lucilla con il naso, poi usa gli occhi e le mani, e mi mette di fronte alla verità che ha deciso di confezionare senza offrirmi appello. Così ha fatto oggi, sono sicuro.
Ieri sera Lucilla è uscita con me, le ho offerto il solito passaggio a casa. Poi in macchina ha allungato la mano sui miei pantaloni. Era il suo giorno, lo sapevamo entrambi e in fondo, se ci penso, accetto che lo sappia anche Enrica: sono troppo metodico e regolare, divento prevedibile, i giorni dedicati alle donne restano sempre gli stessi. E le forze che risparmio, anche. Tanti anni fa, non voglio contare quanti, un’amante disse che non riesco a nascondere il tradimento perché si legge nella mia regolarità, nel metodo inflessibile della mia agenda, e nell’aria che si respira quando si è con me. Non so se sia vero, ma Enrica ha confermato tutto. E questa mattina è venuta a casa mia.
Enrica è la più ostinata e ingenua di tutte, è quella che non sa rassegnarsi. Il controsenso del suo amore si scontra con l’evidenza: nego tutto, nego fermamente che Lucilla sia ancora una donna con cui divido il letto, e lei finge di credere. Vuole che sia così, mi chiede la bugia ogni volta che perde il controllo tra le mie braccia. Eppure le scatta un click in testa, un radar o chissà cosa, e non ce la fa a restare ferma troppo a lungo nella stessa posizione. Esplode nel delirio dei sospetti e del tormento anche quando non esiste il motivo. Sarà che Lucilla ci mette del suo: fingo di non accorgermi, ma conosco bene la tattica. Le donne sono tutte uguali. Una parola, una piccola allusione, oppure un racconto innocente buttato lì fingendo di ignorare. Si fanno male come iene, si feriscono reciprocamente per vedere chi rimane. Nella guerra dei nervi divento un oggetto, e non se ne rendono conto. Insomma, Lucilla e le sue allusioni alla nostra confidenza, alla frequentazione quotidiana, ed Enrica e la gelosia che si scatena con la medesima passione animale dei momenti erotici. Annusa, sente l’odore delle altre e si tormenta, e tormenta me.
Questa mattina ho tolto dal letto le lenzuola, le ho buttate nella lavatrice e l’ho avviata, ho sprimacciato i cuscini nudi e controllato il bagno. Sono perfino andato nella spazzatura per togliere le capsule del caffè: erano troppe, Enrica avrebbe capito che qualcun altro, oltre a me, aveva fatto colazione. Per tutto il giorno ho ascoltato i ragazzi all’università, ho stabilito punteggi, promosso e bocciato, e ho provato a non pensare. A non immaginare. Ma quando gli occhi si spostavano dai volti inquadravano l’incubo di Enrica a casa mia, delle sue mani in ogni piega, negli angoli che non ho previsto. Soprattutto, l’orrore delle sue lacrime. Perché la sua è una gelosia intrisa di rabbia e lacrime. Non vuole capire che non ha importanza, che posso amarla anche senza prendere solo il suo corpo, senza entrare e uscire da lei, e lei sola. Certo, non mi sogno di dirglielo: tento di propugnarle la storia dell’esclusiva, le dico che è la mia unica donna, ma nella testa mi chiedo quanto sia importante. Che cosa significhi avere la certezza del possesso. Non riesce a vedere chi sono, e cosa faccio con lei? Non sa provare, una volta sola, la fiducia che mi aspetto?
Cazzate, sto divagando. Ho girato qua e là, appena rientrato a casa, e ho visto che è stata qui. Attentissima, non ha spostato niente, ma il suo passaggio è tanto evidente che potrei descrivere i passi, le linee oblique e rette e spezzate che ha creato con il corpo pieno e teso, geloso fino a stare male. Ha frugato, ha sofferto, forse ha pianto. Non riesco a guardarla quando piange. La spingo via, voglio farle male. Perché non voglio notare che il corpo di Lucilla tra le mie mani, le sue labbra su di me le riempiono i pensieri. E prima o poi la faranno fuggire. So che andrà via, e non potrò fare niente per fermarla. Gioco sulla cattiveria delle reazioni, metto in dubbio ogni sua parola (anche quando dentro di me riconosco la verità, e la cattiveria di Lucilla) e la aggredisco prima che sia lei ad aggredire me. Perché ancora la spavento, è ancora cieca e sorda e persa di amore e mi permette di tacere a lungo, di non cercarla e non risponderle al telefono, autorizza la crudeltà che le vomito addosso per evitare di pensare. E finirà, prima o poi. Appena si renderà conto che il piacere che prende nelle notti feroci cui nemmeno io posso rinunciare non compenserà il dolore, e la frustrazione delle mie bugie.
Mi sono seduto a scrivere, e Lucilla ha chiamato per salutarmi. Lo fa spesso, e a lei rispondo. Anche se sono stanco, anche se ogni granulo di tempo e attenzione che le dedico è tolto a Enrica. Che non immagina di essere nella mia testa, non se lo aspetta più. Fa saltare in mano le chiavi di casa mia e si chiede perché, perché tutto sia iniziato se a me non interessava. Si domanda perché non risponda ai suoi messaggi e le dica solo ogni tanto che le voglio bene. Se sapesse, se solo si fermasse a riflettere forse capirebbe, e smetterebbe di piangere e arrabbiarsi per ciò che non ha senso. Ma non può, non ha altro che le insinuazioni di Lucilla e miei silenzi duri come cemento. Vorrei scriverle questo, adesso, e non posso. La vita va dove deve, non ho la forza di farle cambiare strada. Per questo, ogni parola possibile è solo vento.
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Come sempre meravigliosa interprete delle contraddizioni della vita e dell’anima.