lontano dal sole

 In Racconti, Racconti Brevi

La testa è inclinata, i capelli si spostano a sinistra compatti, fili di seta scura che, ne è certa, emettono un fruscio fresco. Di vento. Le viene voglia di ritrarli, ma è solo un attimo. La voce la distrae.

–       Questo?

Si sposta e la va accanto. Indica con la mano.

–       E’ recente. Una natività. I colori sono la vita, l’aurora della vita. Ciò che nasce, bambino o animale o pensiero, è chiarissimo, quasi bianco, là in fondo, nell’angolo a destra.

–       Perché nell’angolo e non in centro?

–       La luce si irradia da là, vede? E’ bianca e pura, dall’angolo illumina il resto della scena. Nessuno nasce nel centro, si è tutti marginali. Anche un pensiero nuovo è marginale, è il tempo a stabilire che posto occuperà nel mondo. O nella testa, che è un mondo in ogni caso.

–       Se la pensa così. Secondo me invece la nascita è l’unico momento in cui si è al centro, poi ci si fa da parte e si occupa una posizione defilata.

–       Dice?

–       Defilata o comunque al margine di qualcosa o qualcuno. Ma si nasce al centro: tutti lì a vedere, non si parla di altro, si è protagonisti assoluti. Le madri vanno in depressione per questo: nasce il figlio e diventa il centro, e la madre finisce in fondo. E’ capitato anche a me, ma mi è passato in fretta. Al centro, mi dia retta, si nasce e si è al centro.

Non le risponde. La sua natività è all’angolo destro e là deve restare. Le piace che Silvia osservi e parli, le piace anche che non sia d’accordo. Le piace perché non fa molta differenza. La vede camminare, getta un’occhiata fuori dai vetri e socchiude le palpebre. C’è troppo sole, non si può guardare fisso. Si ferma davanti all’olio grande, occupa mezza parete ed è seminascosto da un lenzuolo.

–       Cosa mi dice qui?

La raggiunge.

–       Non so, cosa dovrei dire? E’ un uomo, e ha il passato dietro la spalla sinistra. Osserva qualcuno fuori campo, continuerà a osservare zitto per tutta la vita.

–       E la donna?

–       E’ un’ombra, appena accennata. Sposti il lenzuolo se vuole, capirà che è un’ombra. Dipingo le ombre e sono sogni, oppure ricordi. Non sono corpi.

–       Sì, vedo. Lo abbraccia. E’ una donna che lo ama.

–       Ha bisogno di lui, lo ama, non so. Non c’è confine.

–       Confine?

–       Significato, volevo dire.

Silvia si accosta al quadro, si sporge.

–       Stia tranquilla, non lo tocco.

–       Non c’è problema. E’ asciutto. E so che non lo tocca.

–       Sa che per l’articolo che voglio scrivere questo è perfetto? La natività, senz’altro, ma questo va messo tutto, deve occupare uno spazio grande nella pagina. Lo dirò alla fotografa che verrà da lei, le raccomanderò questo.

–       Perché?

–       Non so, dice qualcosa. Mi piace.

La aiuta. Sposta ancora il lenzuolo e Silvia si raddrizza, non smette di fissarlo.

–       Sì, mi piace proprio. Quanto costa?

–       Deve chiedere al mio agente, non lo so.

–       Ma dai, come fa a non saperlo?

–       Non mi occupo di queste cose, mettono ansia. Soldi, amministrazione, non ce la faccio a reggerli.

–       Si vive anche di questo.

–       Certo, ma preferisco che qualcuno mi aiuti.

–       Artista vera, a quanto pare.

Alza le spalle, fa ricadere il lenzuolo sul quadro, che si copre a metà. Silvia fa un gesto improvviso, scatta verso di lei. O ancora verso il quadro, non lo capisce.

–       Ferma! Aspetti! Elena, si fermi un attimo, tiri via il lenzuolo.

Obbedisce, le fa vedere e aspetta. Gli occhi girano, le mani vanno vicinissime e sembrano accarezzare, senza toccarlo. Il naso piccolo e affilato sparisce quasi contro la tela.

–       Elena, senta. Quest’uomo assomiglia a qualcuno.

–       A qualcuno? Non saprei. Ho usato una fotografia, e immagini mentali.

–       Una fotografia di chi?

Resta ferma. E non dice niente. Silvia sorride, volta la testa e guarda lei. Finalmente guarda lei e smette di torturare il quadro.

–       Dai, su, l’ho riconosciuto. E’ evidente che si tratta di lui, è chiarissimo.

–       Lui chi?

–       Lui, Scambi, il politico.

Solleva le sopracciglia. Fa due passi indietro. La luce che piove dai vetri le colpisce la fronte, si sposta subito per togliersi dal sole. Non le piace che il calore le renda rosse le guance, detesta che la sua pelle sia rossa.

–       Scambi? No, direi di no. Non è lui il modello iniziale.

–       Certo che è lui, e questo rende il mio articolo una bomba! Non la lusinga? Scambi ha posato per lei.

–       Ma no! Guardi che non è vero, non lo conosco, lui non è…

–       Non è cosa?

–       Non è il soggetto, ho usato una fotografia di qualcuno che non è lui e l’ho trasformata. Pensi quello che vuole, ma non dica nell’articolo che ho ritratto Scambi perché non è vero.

Silvia la segue, mette una mano sul suo gomito. Ha un brivido piccolo, lo nasconde. Il contatto non le piace, non le è mai piaciuto che la gente la toccasse. Accetta, cerca gli abbracci se hanno l’amore dentro, e devono essere nascosti. Occulti, scuri, segreti. Mai al sole, per esempio. Quando incontrò Luca a Sassari, la prima volta, volle che si togliesse dal sole per parlare con lei, e ancora, quando le chiese di uscire, dovette nascondersi nell’angolo di una chiesa, nel centro di Piacenza. Niente sole, l’ha imparato: stanno insieme al buio, con la luce artificiale di una abat-jour o le candele. Mai al sole, non sopporta che le tocchi la pelle, e rifiuta l’idea che qualcuno li veda. Si sposta dalla mano di Silvia e prova a farlo morbida, perché non si senta rifiutata. La gente crede di essere rifiutata e si offende, non è il caso di offendere una giornalista che vuole scrivere di lei.

–       Coraggio, Elena, lo ammetta. Ha ritratto Scambi. E’ impossibile che non sia lui, sono quasi identici. Come l’ha conosciuto? Dove? Non sapevo che lui avesse la passione per l’arte. Che rapporto avete, siete parenti? Amici? Amici o qualcosa in più? Se c’è qualcosa in più non lo dirò, prometto che starò zitta e mi limiterò a parlare del quadro. Giuro. Dica, per favore, è anche nel suo interesse. Ma si rende conto che un modello come lui le porta un botto di popolarità?

–       Un botto di che?

–       Popolarità. Non mi dica che è così ingenua perché non ci credo, viviamo tutti di immagine e di passaparola. Figuriamoci, lei ha qui in studio un ritratto gigante di Scambi e tenta di farmi credere che non vuole usarlo. Capace di averlo piazzato lì apposta per me!

Dovrebbe offendersi. Luca la scuote quando nota che non reagisce alle provocazioni, la ama ma la scuote con violenza, e la fa male.

–       Possibile che non trovi la cattiveria? Ce l’hai di sicuro, tutti l’abbiamo. Svegliati, se ti provocano fai qualcosa! Sputa, picchia, rispondi a tono, muoviti!

Qualche volta ha voluto metterla alla prova. Ha detto cose che avrebbero dovuto farle male. E lei le ha prese e mandate giù, l’ha ignorato. Ha preso i pennelli, una tela pulita e schizzato qualcosa che poi ha gettato via. Perché l’idea non era dipingere sul serio: voleva che se ne andasse e non pensasse più alla sua inerzia (la chiama così), e ritornasse dopo qualche giorno con la voglia di fare l’amore al buio e niente altro. Fare l’amore. E basta. Luca è amore, è la passione che altrimenti non sa dove mettere. Dipinge per ore, dimentica il tempo e la notte e i giorni che si accavallano uno sull’altro, poi alza la testa e la sente. La tensione. La sente in fondo al ventre, le strozza il fiato. Non sa fare altro: dipinge e fa l’amore con Luca. Quando Luca è con lei, altrimenti lo cerca al telefono e scambia con lui sms che non andrebbero scritti.

–       Non dovremmo, se qualcuno li leggesse…

Eppure vanno avanti, e scrivono l’amore e il sesso e i sogni nelle parole che con le dita formano sui telefoni, poi rotolano al buio, le persiane chiuse a filtrare il sole che non deve entrare, e sudano uno addosso all’altra. Fare l’amore e dipingere, qualche volta bere acqua senza bollicine e mangiare ciò che trova.

–       Come ti tieni in piedi?

Luca non bada a questo, fa la domanda e se ne dimentica. La prende, entra in lei e ripete, ripete, ripete i gemiti e il desiderio, poi esplode e la fa urlare. Luca. Che la ama lontano dal sole.

–       Non so come convincerla. Non è Scambi. Se vuole possiamo interrompere l’intervista, ma non mi farà dire cose che non sono vere.

–       Non è lei a dirle, sono io.

–       Non è virgolettato, quindi.

–       Ahah! Vede che ne sa più di quanto ammette! Non è così eterea, allora. No, niente virgolettati per Scambi. Mi ha raccontato la sua vita, so che non ha un compagno e non lo vuole, e non ha neanche una compagna visto che non si può mai escludere niente. Parlo dei quadri, delle impressioni che ho, dei colori. E di quello. Lo faccio fotografare e lo metto grande, mi piace. Ci vuole. Dirò che assomiglia a Scambi, per me.

Alza le spalle, per la terza o quarta volta. Sente le ossa spostarsi, si sente sciocca. Ma Luca le ha insegnato che deve fare così. Se andasse avanti nel discorso, se tentasse ancora di portarla dove vuole, cioè ad ammettere che l’uomo del quadro non assomiglia affatto a Scambi, otterrebbe l’effetto opposto. Deve fregarsene, offrirle un caffè o un altro bicchiere di acqua con il ghiaccio dentro, le sono piaciuti i cubetti variopinti che ha tirato fuori dal freezer. La farà bere e cambierà discorso.

–       Come l’ha conosciuto?

–       Un altro po’ di acqua? Come ho conosciuto chi?

–       Scambi, perché ha quella donna che lo abbraccia ed è un’ombra, un sogno? Sa che la donna assomiglia a lei?

–       Andiamo proprio di fantasia. La donna, il sogno, ha i capelli biondi e lunghi. Li vede? Oltre la cintola. I miei sono rossi e a spazzola, veda lei.

–       Idealizzazione.

Ride. Versa tre cubetti (verde, rosso, giallo) in un bicchiere pulito, un bicchiere alto con lo smeriglio che confonde i colori, e butta giù un fiume di acqua. Le piace il rumore dell’acqua.

–       Idealizzazione. Tutta la mia pittura lo è.

–       Anche Scambi?

–       Non è Scambi.

–       Accidenti, non molla.

–       So parlare con i giornalisti, mi riesce facilissimo quando la mia versione è l’unica vera. Lei, Silvia, può interpretare come vuole ciò che vede, in fondo nell’arte è così. L’opera cessa di essere dell’autore e diventa di tutti. Di chi la usa, cioè la vede. Insomma, anche un po’ sua, quindi può liberamente decidere di proiettarci dentro il suo mondo. E se vuole Scambi non posso impedirglielo. Però la verità, la mia verità, è un’altra.

–       Ammesso che voglia dirmela, la verità.

–       Cioè?

–       Cioè secondo me quello è Scambi e i lettori saranno d’accordo con me.

–       I lettori vedranno ciò che lei vorrà mostrare. E’ come nella letteratura: non è il gusto del pubblico e orientare la scelta dell’editore. L’editore decide cosa renderà culto per il pubblico. Funziona così. Lei mostrerà il quadro, dirà che secondo lei è Scambi anche se oggettivamente non lo è, e la gente le andrà dietro.

–       Mi mostri la foto originale, allora.

–       Non vedo perché. L’ho buttata, aveva esaurito il compito. Non serviva più.

–       Guarda caso.

Le porge il bicchiere, la guarda mentre beve. Un piccolo rivolo di acqua scende per pochi millimetri dal labbro inferiore. Luccica.

–       Quando verrà la fotografa?

–       Domani. Le raccomanderò…

–       Di inquadrare bene quell’uomo che pubblicizzerà come se fosse Scambi. Ma che rilevanza ha?

–       Per me? Beh, l’articolo avrà il doppio dell’effetto, e sarà ricordato. Il novantanove per cento degli articoli si dimentica dopo due settimane. Per lei sarà un’iniezione di curiosità notevole, il pubblico vorrà cercare la relazione tra lei e Scambi. Mi ringrazierà.

–       Ma per favore.

–       Che importanza ha, scusi? Ha detto che non ha un compagno che può arrabbiarsi.

–       Forse la moglie di Scambi sì, se ne ha una.

–       Certo che ne ha una, tutti i politici devono essere accasati. Altrimenti si tirano addosso i peggiori sospetti. Corrotti magari, ma impotenti mai.

–       Ah, certo, e la moglie di Scambi allora?

Silvia ha una smorfia noncurante, recupera la borsa da una sedia e appoggia la mano sulla maniglia della porta, la abbassa ma non apre.

–       Le importa sul serio? Se non è Scambi, se non lo conosce, cosa le importa della moglie?

Le va vicino, ma il sole entra dai vetri e le colpisce il viso. Porge la mano in fretta per scappare.

–       Va bene, faccia lei. A presto, grazie di tutto.

La segue con gli occhi, la porta si chiude e la serratura automatica scatta. Respira. Che sciocchezza, scriverà un articolo sui suoi quadri e insinuerà il pettegolezzo. Se il quadro non fosse stato nella stanza non sarebbe accaduto, ma come avrebbe potuto immaginarlo? Un uomo, è solo un uomo, e pende dalla tela con la testa da qualche parte, le braccia di una donna effimera e bionda sulle spalle, il suo alito immaginario alla base del collo. Scambi, che idea.

Porterà voci e insinuazioni, l’articolo farà il giro di mani e sospetti. Il quadro viaggerà oltre i normali canali, non sarà più arte ma oggetto di scandalo. E rumore, troppo rumore.

Scambi, che idea. Un politico. Scambi. Ci credereste? Proprio lui, Luca. Luca Scambi. Che idea.

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Showing 6 comments
  • Lorenza Caravelli

    Che dialogo incalzante! Bravissima!

  • frangianco

    Un politico che si chiama Scambi, sei la donna delle sottigliezze: non molli l’ironia nemmeno se devi. Brava, molto bello. Concordo: dialoghi costruiti bene, ma aggiungo che la psicologia di lei e’ disegnata con maestria. Cio’ che si vede e cio’ che si intuisce, con colpo di scena finale.

  • MariaGiovanna Luini

    Fatica tremenda scegliere i nomi, ormai associo amore e sesso a Luca e mi sposto poco da Silvia, Elena o Gianna. Ma Luca non e’ mai lo stesso Luca, uso il nome e non vedo volti: li disegno ogni volta diversi. Il cognome? Non avevo notato.

  • frangianco

    Non credo tu non abbia notato, ironica anche nella risposta. Mi piace.

  • MariaGiovanna Luini

    Sorriso

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