esco dalla storia

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Esco dalla storia. Quando scrivo un romanzo, una storia più lunga (lunga quanto? Neanche io so dirlo, diciamo che scrivo una storia che ha tanti capitoli, e sequenze di eventi e relazioni fluide che mi compaiono agli occhi senza che debba cercarle), sono lì. Sono nella storia. Cambio nome, atteggiamento, pensiero. Cambio città, abitudini, e amo come la storia prevede. Non come amo io. Ammesso che sia ancora capace di amare.

Dunque, oggi avrei dovuto scrivere. Graffiare la carta a righe con l’inchiostro blu spesso, a macchie, di una BIC iniziata ieri. Ne mangio almeno due ogni giorno, due BIC che sono tutte diverse. Avete notato che non c’è una BIC uguale all’altra? Alludo a quelle che hanno la punta media, blu con la cannuccia trasparente. Una succhia via l’inchiostro e resta limpida, senza goccioline che incrostino qua o là la perfezione, l’altra invece si esaurisce con grosse lacrime di colore che non vanno via. Alcune, a metà tra la limpidezza e la lordura, danno l’idea di non consumarsi: restano tutte di un colore, ferme, finché le metti a dormire la sera nell’astuccio e le ritrovi la mattina dopo con una tacca bianca netta, una spaccatura che non avevi visto. E sai che l’hai bevuto eccome quell’inchiostro, sta tutto nella storia che stai scrivendo.

Gli amici mi regalano penne favolose, dicono che a uno scrittore non si può regalare altro. Le amo, quelle penne di sfarzo e lacca e ricariche costose. Però uso la BIC. In un astuccio gonfio che porto nelle borse ho quattro o cinque BIC che aspettano. E una, la prescelta, che non sarà cambiata fino a quando sarà esaurita. Deve finire proprio tutta, impedirmi di andare avanti perché la grafia perde la faccia. Il che accade in giornata, in ogni caso. Non ho cimeli, appena l’inchiostro smette di vergare il foglio lancio nel cestino, e non tengo prigionieri o feticci. Magari penso un attimo a cosa abbiamo scritto insieme, succede che la ringrazi perché non ha perso tempo, ha corso aggranchiata alle mie dita, poi la getto via. La immagino al macero o nel volvolo misterioso della differenziata, con la plastica che chissà dove va a finire. Ci saranno le sue colleghe di lusso, se proprio qualcuno avrà voglia di mostrare i miei cimeli: diranno che queste sono le penne dello scrittore, e non sarà vero. O forse sì, perché sono mie, ma delle storie che avete letto non hanno segnato un rigo.

Sono disordinate e goffe, le mie pagine. Uno scrittore che ho frequentato per un periodo diceva che sono ordinata, che non ho idea di come siano i suoi manoscritti, le prime stesure. Riusciva a leggere, nelle camere degli alberghi dove lo incontravo declamava nudo a voce alta senza sbagliare, anche nei passaggi che perfino a me costavano fatica.

– Come fai a leggere? Non mi capisco neanche io.

– E’ perché non capisci te stessa, io invece ti leggo chiaramente. E mi piace, oh se mi piaci. Sei complicata, a macchie, ma così limpida, così essenziale e intimamente ordinata.

Intimamente ordinata. Ho sempre creduto che mentisse, che avesse trovato una definizione che suonava bene in bocca. Gli piaceva che le parole gli girassero eleganti addosso, sapeva crearle e raccontare come nessuno. Intimamente ordinata. Forse. A me i manoscritti che accumulo fanno venire in mente Lorenzo, un compagno delle elementari che scriveva con la penna nera. Punta fine, le suore volevano che fosse fine e non ho mai capito perché (non mi interessa più chiederglielo). Il tratto di Lorenzo era irregolare e grosso, e lasciava macchie sui fogli. Disordinato, la maestra lo definiva così. E disordinata sono io, nei fogli che spiegazzo e scavo, tanto riesco a calcare con le dita. Ho la voracità della fame anche quando scrivo, lascio segni profondi come binari e piego, plasmo, incurvo. I miei diari, quelli che nascondo da qualche parte senza rileggere, sono libri con la costola increspata. E mi piacciono, mi piacciono così. Mi succede di fantasticare che un giorno un’anima generosa tenti di decifrare i miei pensieri, le riflessioni che ho buttato giù ansiosa, serena, innamorata, erotica, incazzata o sola. Dovrà bere decine di caffè e camminare negli spazi strettissimi del bianco incuneati nelle forme grossolane e scure che quasi ogni giorno ho aggiunto, senza districare il privato dalla consapevolezza che niente, niente resterà segreto. Siamo un’isola dei famosi, e lo siamo tutti. Anche chi scrive una nota su Facebook e fa finta che sia solo per sè. Per qualche amico che, paziente, dovrebbe sgranare la lettura e aggiungere commenti sospirosi. Anche chi nasconde un manoscritto in un forziere poi finge di dimenticare la chiave sul tavolo, accanto a chi potrà aiutarlo a pubblicare. Istrionici, tutti, sappiate che gli scrittori sono così. Altrimenti non sono. Altrimenti non leggerete mai le loro storie, almeno finché sono in vita.

Insomma, oggi non scrivo la storia. Oggi sono la storia, non smetto di esserlo fino alla fine. Ma non scrivo capitoli in serie o in parallelo, stacco e divago e uso questo strumento di tecnologia simpatica, abusata il giusto, per animare il blog. Un blog, uno spazio pubblico di scambio alla pari, immediato e onesto. E il mio rifugio, l’ombra fresca dove scrivo. Da sola. Il mio rifugio remoto ha le caratteristiche di ogni altro luogo, ogni altro rifugio. Non si nasconde sul serio. Non esiste scrittore che voglia realmente nascondersi. Istrionici, l’ho detto. La regola è che si debba essere ritrosi tanto da alimentare il mistero, simpatici non necessariamente, residenti in due luoghi nello stesso momento (vive tra Induno Olona e Canberra, per esempio: nessuno vive in un posto solo; dicevo questa mattina che da marzo in poi dovrò cambiare la mia biografia ufficiale, Firenze è nel passato e forse rivelerò dove si trova l’altro luogo della mia quiete. Ma solo forse). La ritrosia dello scrittore raggiunge vette ineffabili quando alle presentazioni scattano le risse, oppure quando alle feste i più cerebrali siedono sdegnosi e rispondono a mozzichi a chi li si saluta. Esiste una gradazione di ritrosia, dalla più piacevole e leggera all’antipatia voluta, sottolineata, resa vetriolo. Quella cattiva mi annoia e non riesce a impressionarmi.

Non so perché oggi la mia penna esca dalla storia, dal manoscritto, ma non da me. Resto me stessa e svolazzo senza dire troppo. Senza dirvi chi sono, prima di tutto. Perché non sapete chi sia colei che sta parlando. Sono la protagonista di un romanzo, è evidente. E la mano che questo romanzo scrive, è altrettanto evidente. Quale sia il mio nome è un segreto che nessuno può scoprire, cosa sia destinata a fare sono faccende private. Affari miei.

Che espressione retorica, ed efficace. Affari miei. Ho imparato da poco che sia lecito badare agli affari propri senza creare danno agli altri. L’ho imparato quando ho visto che gli altri facevano così. Firmavano contratti e stringevano la mia mano, e le condizioni della firma mutavano nel tempo. Questione di clientela, di importanza degli interlocutori. Questione di scorrettezza resa normalità. Ipocrisia, nelle ore luminose di un giorno con il sole vedo quella. Oltrepassati gli ostacoli degli anni, non sono più capace di mentire e rifiuto i sorrisi quando hanno odore marcio: invidia dissimulata male, falsità, bugia. Ne vedo le perle sottili, i tracciati sinuosi. E mi fanno schifo.

Nel rifugio segreto il sole tramonta. E non ho detto niente. Ma ho scritto, e se a qualcuno importa la scrittura, importa sul serio, sarà in grado di capire.

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Showing 3 comments
  • marinaldo
    Rispondi

    ciao “Donna-che-scrive”,
    ciao “Complicata,-a-macchie,-ma-così-limpida,-così-essenziale-e-intimamente-ordinata”,
    Ciao “Intimamente-ordinata”,
    è tutto il giorno che ti penso, che penso a te, e insieme a te anche alla “Principessa delle Asturie” e alla “Principessa delle Camelie”.
    E’ tutto il giorno che, proprio perchè ho deciso che di oggi non avrei preso in mano nessuna BIC, ma solo un molto più umile paio di guanti per i lavori all’esterno, la mia mente ha liberamente creato.
    Ho immaginato un mondo meravigliosamente scritto, pieno di dettagli, di profumi, di emozioni, di colori, di raffinate cesellature e di paesaggi… come quelli delle meravigliose “Principesse” citate qui sopra; poi alzavo gli occhi dall’immondo, duro e faticoso lavoro “manuale e pratico” di pulizia degli esterni e, anche solo volgendo lo sguardo all’azzurro del cielo oggi chiaro e sereno, comprendevo che avevo immaginato un piccolo capolavoro creativo e … (ci credi?) sentivo che era degno di esistere.
    Leggendo stasera la tua riflessione, cara “Complicata,-a-macchie,-ma-così-limpida,-così-essenziale-e-intimamente-ordinata”, penso alla bellezza del pensiero dell’inchiostro: “E sai che l’hai bevuto eccome quell’inchiostro, sta tutto nella storia che stai scrivendo”.
    E, non che sia necessario, ma mi sembra un’epifania, mi sembra sia una metafora splendida della “soluzione” della mia malattia: farmi “sfera”. Sì, il principio della penna a sfera.
    Non è l’inchiostro che mi manca ,(è ciò che sono – INCHIOSTRO) nè la carta, e quel poco di neuroni che abitano il mio cervello mi consentono di dare forme comprensibili ai pensieri (non necessariamente avvincenti o intelligenti o meravigliosi – illusioni di ogni scrittore – ma certamente comprensibili – necessità di uomo o donna).
    Così credo che questa “Donna-che-scrive,Intimamente-ordinata” che ho incontrato stasera potrebbe essere anche un incredibile incontro per questa Donna-che-lavora-negandosi-il-piacere-di-conoscersi.
    Tante parole per dirti solo questo.
    Sono felice di averti incontrato. Oggi. Sono felice di averti incontrato.
    Arrivederci a presto… fra poche settimane sarà tempo di giardinaggio, sono certa che ti rivedrò comparire fra i rami ancora infecondi mentre con i guanti e le forbici comincerò a potare gli alberi da frutto e i fioreti. Sarà bello rivederti. Ti aspetterò, se verrai cara “Complicata,-a-macchie,-ma-così-limpida,-così-essenziale-e-intimamente-ordinata”, ma sarò lì comunque.
    FIRMATO: “Creatura-che-lavora-negandosi-il-piacere-di-conoscersi,per-ora”

  • Gian Paolo Grattarola
    Rispondi

    Anche se le bic riposano chiuse nel loro cofanetto e la pagina resta bianca, la Tua mente non smette di registrare con sensibilità gli eventi, li assimila, vi cresce dentro. Buona domenica MariaGiovanna.

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