e si va a Torino

 In Blog, Booktrailer, Eventi, I racconti del taccuino, Incontri con i lettori, la posta del cuore (?), Libri, Racconti

La fotografia non c’entra con Torino, e nemmeno con il Salone. Ma forse non è vero, forse ha una relazione con la scrittura e con i libri. I miei libri, quelli di altri che leggo e tengo con me nel rifugio immerso tra gli alberi e con il prato a pochi metri dalla soglia: da quando ho lasciato Firenze ho trovato un altro luogo e lì ho la pace. Ho il tormento della scrittura, anche, ma la scrittura non è solo tormento (è tutto, ha dentro vuoto e pieno, ogni cosa e niente, luce e buio), e i miei oggetti. In un bilocale bianco ho libri e qualche mobile, e gli oggetti che non sento di possedere ma sono l’amore, il ricordo, la passione, il pensiero. Il ranocchio rosso che, baciato, è diventato un temporaneo principe (niente è più bello della temporaneità, che diventa eterna quando è perfetta) e una statuetta di legno. Babbo Natale. E ricordi che tengo segreti.

Non sempre è facile vivere il blog. Gli argomenti si affastellano e intersecano, le parole esistono e diluiscono nei silenzi e nei respiri. Accadono eventi che istintivamente commento, lo faccio con me stessa e con chi mi è vicino, ma se appoggio le dita alla tastiera escono pezzi che archivio nella memoria del computer senza sapere se e quando vorrò condividerli. E adesso accade Torino, il Salone. Lo aspetto con la voracità che mi è propria, anno dopo anno. Ricordo che camminavo senza avvertire la stanchezza e sognavo di pubblicare, prima o poi. Pubblicare qualcosa. Osservavo i libri sugli stand, li compravo, maneggiavo, palpavo e annusavo, seguivo tutte le presentazioni che riuscivo a raggiungere. Gli Autori, esseri quasi mistici che avrei voluto emulare nella possibilità di pubblicare. Perché la scrittura preesiste a me, credo: sono nata per incontrarla, si è incarnata prima lei di me in questo corpo che oggi ha 41 anni, ingrassa e dimagrisce e sbuffa di noia, passione, erotismo e inquietudine. La scrittura è nata senza che me la insegnassero, dico la stessa cosa di tanti altri autori ma è stato davvero così: ho imparato da sola a leggere e contemporaneamente a scrivere a tre anni circa, come se la scrittura aspettasse solo che raggiungessi una quota minima di consapevolezza. Quota minima che forse è rimasta sempre la stessa, ma è sufficiente per andare avanti bene. Insomma, camminavo al Salone e i miei occhi non erano sazi. Mai. Leggevo, leggevo sempre, e scrivevo. E sognavo di pubblicare un libro. Pubblicare un libro!

Quando qualcuno vuole pubblicare un libro la risposta del mondo è: “Nessuno ce la fa”. Chi si sfonda di ottimismo dice che qualcuno, raramente, molto raramente, ce la fa. Tentano di fermarti, di toglierti dalla testa le illusioni come se facessi male a qualcuno illudendoti. Come se li offendessi con i tuoi sogni alti, e con la voglia di volare. Per fortuna a me è sconosciuta la fiducia nei disfattisti, rifiuto di accettare previsioni nefaste e aspetto che eventualmente si verifichino prima di ritirarmi. Un’altra fortuna, negli anni del desiderio di pubblicare il primo libro, è stata quella di leggere tanto e avere notato che anche alcuni editori indipendenti pubblicano storie bellissime e preziose. Ho accettato gli editori piccoli e indipendenti, ho fatto bene. La gavetta è una delle soddisfazioni della mia vita. Se mi fossi fermata alla visione dei “grandi”, se avessi voluto il mio libro subito in prima fila nelle vetrine luccicanti delle catene di massa avrei probabilmente posto un freno a ciò che è accaduto quando tutto è cominciato.

Bene, è stato il Salone ad aiutarmi. E’ stato il luogo della prima telefonata. Qualcuno mi ha cercata, il mio blog (il primo, quello su Kataweb) era stato notato e mi si chiedeva se per caso avessi un manoscritto. E per caso ce l’avevo. Può una come me, che brucia di scrittura, non avere una storia che dorme da qualche parte? Ho percorso chilometri, tutto intorno al Lingotto: l’emozione per la telefonata mi ha fatta perdere, non ho più riconosciuto i luoghi e sono andata avanti, avanti, avanti. Mi sono ritrovata esausta sul treno verso Milano dopo ore, e faticavo a crederci: mi avevano chiesto un manoscritto! Nasceva lì l’avventura di “Una storia ai delfini”. Poi, negli anni successivi, ho visto il Salone e me stessa cambiare, plasmarsi e trasformare sogni e desideri. Sempre i libri, sempre la scrittura. Ma li vedevo, finalmente, vedevo i miei libri accoccolati sugli stand insieme agli altri, potevo aspirarne l’odore ed ero in grado di sfiorarli, di provare il brivido incredibile dell’emozione quando qualcuno li afferrava per scorrerne le pagine. E ho accumulato amici, grazie al Salone: editori, autori, gente che ogni anno non può fare a meno di esserci. Perché ci crede, perché la scrittura è. E’, non può fare a meno di essere. Non mi racconto favole anche se qualche libro di fiabe l’ho scritto: so bene che il libro ha un mercato, e la parola stessa – mercato – indica vendita, ricavo, spesa, guadagno, interessi. Non vedo il male in questo. Il denaro esiste ed è neutro, non è brutto e neanche bello: dipende da come lo si usa. Il denaro si sporca se l’uso e l’abuso lo macchiano, andrebbe purificato e benedetto perché aiuti tanta gente. Il mercato del libro ha logiche e regole che spesso fatico a comprendere, può darsi che in silenzio non le condivida, ma c’è. E ne faccio parte come lettore e autore. E per avere il piacere fisico, carnale, spirituale, intimo dei giorni a Torino devo accettare che il libro sia ciò che è: valore assoluto, ma anche oggetto di scambio e consumo, oggetto di mercato.

Mi sto perdendo, non so parlare di mercato. Ritorniamo al ricordo, e a oggi. Camminavo tra gli stand, avevo gente al fianco oppure no, ero felice e appassionata o triste e in difficoltà. Il Salone mi guardava, da anni mi osserva e in qualche modo si prende cura di me. Nei giorni di Torino entro in una realtà che sa appagarmi, che complica le mie scelte ma le rende inevitabili. E vedo, e penso, e respiro. Mi sento ripetere che sono un medico, medico, me-di-co! Capisco che servo, come medico, e che la mia decisione di essere prima scrittore ha spiazzato chi conta su di me (“Non si sa mai, magari nel futuro succede qualcosa e lei può venire buona…”). Mi sento dire che sono scrittore, scrittore, scrit-to-re! E sono più d’accordo, lì sì che concordo anche io. Di solito chi lo dice mi ama sul serio, mi conosce più del niente di tanti altri. Confronto scritture e persone, e atteggiamenti. Ho abbandonato le scarpe con il tacco e le zeppe che a onde mi conquistano, metto in valigia vestiti comodi e scarpe sportive e rido. Rido di me quando ho presentato uno dei miei libri con il caftano rosa (qualche immagine di repertorio su YouTube esiste, certi exploit hanno la caratteristica di lasciarsi immortalare troppo facilmente), rido dei miei amori e disamori nati e addormentati intorno ai libri, rido per la bellezza di invidie e gelosie, di esaltazioni vere o strumentali, di partecipazioni scarse o oceaniche, rido dell’imprevedibilità di essere scrittore. Perché non lo sai mai, non sai come vada e cosa gli altri pensino di te. Intuisci, immagini, ma non sai. Ed è bello, se mi fermo a riflettere scopro che è bello. Ciascuno dice la propria su cosa significhi scrivere e quali siano le abitudini vere degli autori, le versioni non coincidono mai; e gli editori sostengono che per scrivere bene si debba abbandonare tutto il resto, contraddicendosi palesemente quando presentano in pompa magna “l’avvocato scrittore”, il “medico scrittore”, l'”architetto scrittore” eccetera. Nessuno che abbia coerenza, neanche io. Nessuno che la voglia, la coerenza, perché i libri e la scrittura sono così: fluidi, come il Salone. Arrivi a sera e non senti più i piedi, ti sei pentito perché hai infilato nello zaino tonnellate di libri e hai scelto un albergo lontano dal Lingotto. Accetti inviti a cena e ti trovi davanti allo specchio addormentata, vorresti che la cena fosse nel tuo albergo e non ci fosse bisogno di uscire perché hai passato ore camminando, e parlando, e camminando ancora.

Domani inizierò a camminare, mi fermerò per incontrare amici e conoscenti e porterò con me volti, voci e libri. Il ranocchio rosso e la statuetta di Babbo Natale, nel mio rifugio in mezzo agli alberi, penseranno a me e io penserò a loro. Ricorderò il rifugio e la scrittura, nella stanza dell’albergo (vicino al Lingotto) che occuperò la sera ci saranno ore e ore a scrivere, ne sento il bisogno e il fremito. Venerdì alle 15 in Sala Avorio presenterò “Cosa fanno le tue mani” insieme a Lorenza Caravelli, Filippo Gatti, Fabio Capello e l’interprete LIS. Mostreremo il trailer del video in LIS e qualche spezzone. Parleremo un po’ anche del saggio “La ricerca felice”, Brioschi editore, appena uscito. Farò, ascolterò, starò in silenzio. Mangerò Torino. Che sempre mi cambia la vita, almeno un po’.

Recommended Posts
Showing 2 comments
  • Lorenza Caravelli
    Rispondi

    Avventura di libri e di amicizia, il momento più bello dell’anno!

pingbacks / trackbacks

Leave a Comment

Start typing and press Enter to search