la mia fuga
Capita che non abbia voglia di vedere l’addensarsi delle nubi. Perché tengo gli occhi sullo spicchio di sole che fa finta di scaldarmi, oppure perché mi illudo che se non ci penso la pioggia non arriverà. Capita anche che le luci dei lampioni si spengano all’improvviso mentre cammino e provo a trovare il senso. Oggi ho regalato a due bambini le carte Disney che mi hanno dato alla cassa del supermercato, mi hanno ringraziato felici. Come erano felici. Sono andata alla macchina e alla gioia ho mescolato il significato patetico di ciò che era accaduto. Non so decidere se sia meraviglioso o tremendo. Il momento più bello di oggi è stato riuscire a dare quattro cartoncini nelle mani piccole di bambini che non conosco… Ma va così, e bisogna che prima o poi le nuvole si guardino. Fanno meno paura, il temporale scarica acqua e fulmini e se ne va.
E’ ora di viaggiare. Per conto mio, ma sul serio. E’ ora di lasciare stare la voce e il respiro e l’obbligo di essere sempre chi gli altri si sono abituati a vedere. Troppi angoli con la polvere, troppe ragnatele, troppe e troppe e troppe parole lontanissime dal vero. Lascio il vento e il sole a chi imita senza la capacità di infilare un dettaglio prezioso e unico nello stile di scrittura, a chi pensa sia sufficiente sorridermi e raccogliere quattro confidenze per conquistare la mia anima, a chi ama. Obliquo, fuori rotta. Ma ama. Lascio il senso esausto di una città dove nelle ultime settimane la domanda più importante era “Voti Moratti o Pisapia?”, e che delusione quando dicevo, con un sollievo che non riuscivo a mascherare, “Non sono di Milano, mi dispiace”. Possibile che a nessuno venisse in mente di chiedersi cosa sarebbe accaduto dopo a una città che deve essere amministrata? Tifi Inter o Milan? Sei scrittore quindi voti a sinistra, vero? Sei un medico quindi dovresti votarli entrambi, per giustizia, vero? Per favore, lasciate stare. E altro, lascio altro. Lascio amanti dei libri che si fanno fuori a coltellate per piazzare questo autore o quello alle presentazioni letterarie che organizzo, e pazienza se alcuni libri fanno schifo. Lascio i consigli, sempre opposti tra loro e sempre tendenziosi, e la buona, sacrosanta regola: l’amica medico può farti mille favori perché sopra la salute non c’è niente, ma guai a farglielo anche tu, un favore, perché l’amicizia non si inquina con un “do ut des”. Lascio le stronzate, le regalo perché ne sono piena. Pacchetti freschi di marketing a vendere la tua immagine, e pacchetti stantii quando arriva qualcuno che paga un po’ di più. Lascio i VIP che arrivano agli eventi e rubano i posti prenotati cambiando i cartelli con i nomi sulle sedie e le facce smunte dei benefattori che si offendono se ti dimentichi di ringraziarli dal palcoscenico. Lascio anche la ritrosia e il senso trattenuto del pudore che finora ha messo i blocchi alla scrittura: qualcuno dice che dovrei lasciarmi andare, sporcare con lo stile le visioni brutali che nei libri so costruire. Forse sì, forse questo è vero. Chi sputa vince, chi tira fuori il nero si mette addosso luci di una ribalda modaiola. Pianti e violenza, sangue e abbandono, e qualche guerra etnica qua e là: sale, pepe, agitare bene e il romanzone è fatto.
Porto con me il senso di sconfitta di chi non ho saputo curare. Di chi non avrei potuto curare, ma per me fa lo stesso perché la pace non entra mai e la rassegnazione neanche. Se una persona non guarisce, viene via con me e non la scorderò. Porto con me le BIC e i taccuini, e non so mica se poi leggerete ciò che scrivo. Non lo so più. Sono stanca dei giochi, delle parentele che fanno pubblicare e delle logiche che gli esperti ti raccontano sapendo di mentire. Ah, e le bugie… Quelle cadranno una a una, spezzettate e morte. Le ho viste tutte, ancora non ho trovato qualcuno che sappia mentire davvero. Il giorno che scoprirò il mentitore perfetto saprò amarlo, avrà compiuto l’impresa più difficile: creare la realtà dalla bugia. Chapeau.
Capita che non mi interessi il giudizio, e la scrittura viva per sè. Capita che decida di partire. E’ la mia fuga.
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Qualunque cosa sia, fantasia letteraria, sfogo di un’amarezza reale, abile raggiro che sorride sotto i baffi di chi presume sempre di saperti interpretare… questo pezzo è bellissimo.
Fidati non si capisce una cippa. E sono una lettrice.
lettrice di testi che si esprimono con “una cippa”… Beh, posso immaginare
Se mai avessi avuto qualche dubbio – e direi di no – adesso so che stai incidendo in maniera profonda, con l’artiglio del genio, il tuo nome nel mogano inscalfibile della letteratura italiana.
Gli altri graffiano solo la superficie.
Bel pezzo MG, mi piace molto e rende vivido il momento che viviamo. Complimenti per la scrittura limpida 🙂
Capello, il mogano inscalfibile è un pezzo di bravura. Grazie per letture e commenti, li leggo mentre rifletto su quanto avrei voluto scrivere le avventure di Poirot. Ma Agatha è arrivata prima e il senso della trama gialla deve ancora prendere possesso di me. La vigilia di una fuga è già fuga in sè, credo. Almeno una parte. Ho organizzato il viaggio imminente e il pensiero è una vertigine; nella Milano festante postelettorale con il calore di un giugno dove gli eventi sociali si affastellano e le parole sbriciolano la pazienza partire è strategia (come dice Capello in FB) o trasgressione.
Che belli questi spunti di riflessone, capaci di farci credere che è ancora possibile lasciarci alle spalle il proprio destino, restando fedeli solo a sé stessi.
lasciare alle spalle il destino oppure la vita che ci siamo lasciati costruire addosso? é destino questo?
Temo non sia una costruzione letteraria: temo in parte il significato di questo post, comunque ne apprezzo lo stile scolpito e la liberta’. Non credo che la fuga sia dal destino, quanto piuttosto da eccessi di invadenza del mondo e dall’ipocrisia che a una come te non puo’ piacere. Ti va stretta ed e’ il tuo contrario. Qualche amico scrittore ha avuto crisi come questa ed e’ stato sul punto di smettere di pubblicare (di scrivere no, immagino sia impossibile). Auspico di avere interpretato male.
Lasciare alle spalle ciò che il destino ha scelto per noi. O delle conseguenze di scelte obbligate che ci portiamo addosso e che ci impediscono di essere noi stessi fino in fondo…
Gian Paolo, mi succede spesso di entrare nella profondità delle scelte e delle loro conseguenze. Parlare di “scelta obbligata” e’ un tentativo di alleggerire una responsabilità solo nostra. Se e’ scelta e’ scelta, ha dentro la libertà anche quando fa comodo dirsi il contrario per giustificare il fatto che manchi il coraggio di andare nella direzione che si sente propria. Cosa e’ una scelta obbligata se non la decisione di non proseguire o intraprendere un cammino coraggioso?
E, ego, fa piacere notare che il tuo intuito e’ sempre il migliore.
Un’anima scanca di infingimenti,della claustofobica cotidianità intrisa di menzogne, un ritmo amaro e “archilocheo”: bello!
Ommioddio “una cippa”, è troppo popolare? Magari leggermente generazionale? Ci puo’ stare. A piacere sostituisci con; una fava, un petit po, una nuvoletta (proustiano questo), un diafano nulla (sincretismo alla moretti, ma non Nanni, bensì Marino, se lo conosci), un orgasmo sfiorato (cercalo su wikiquote, dai). Noto nei commenti l’archilocheo (lo dice francesca) te lo meriti pero’. Ci manca “apotropaico”, ma porta sfiga che lo scrisse Larsen prima di schiattare, e “apollineo” che faceva incazzare Terzani (Ultimo giro di giostra? Non ricordo. potrei sbagliare). Non citarmi Poirot, dai quello sì è da bar sport, un concentrato di lipidi e quando lo leggo lo immagino che succhia il pralinato belga (terra di inquinamento e di pedofili) sbrodolandosi il mento. Oi in quel bar sport non si citano Pisapia e l’altra, ma se va bene l’udinese e il san giovanni. Se pensi che la cippa sia più elegante del pralinato sgocciolato ti suggerisco gli scritti corsari di Pasolini (impagabile il vaffanculo a righe alterne, che fa un po’ coatto, in realtà manierista e adeguato nel contesto a oltre 40 anni di distanza). La cippa era distante anni luce. Ma a cippa, se aggiungiamo lippa, creiamo un rimando alla grezza poesia del primo Germi di amici miei. Correva l’anno 1975 e allora di «marketing, VIP» eravamo assolutamente ignari, la mente come un imene mai violato. Oggi ci tocca leggerne, e a loro, da illetterata lettrice pigra preferisco la cippa. Dai navighiamo insieme
eh, cara inesperta, ancora deve nascere chi tenta di piazzare un link a banalità come quella che hai messo tu… Sorry cara, ma qui è il mio blog e se vuoi puoi mettere giù parole un po’ ovvie e a vanvera, ma i link te li blocco… Perfino quando sono il riferimento a un organo sessuale piuttosto interessante, ancorchè abusato. Mala tempora.
Non mi offendo per il link che hai rimosso, ci mancherebbe, sei correttamente padrona nella tua dimore. Singolare però che ti turbi e rimuovi il rimando a una pagina di wikipedia (enciclopedia popolare) quando di fellatio e ingoi altri testi son pieni. Si inizia bruciando le enciclopedie, come raccontava il buon Bradbury di Farenheit 451 (http://tinyurl.com/3c5mrva). Personalmente ritengo che la televisione abbia reso inutile bruciare i libri, come Bondi insegna. Ci ha spenti. Anche le sue poesie, in azione sinergica
Una lode per la vanvera, l’adoro. La locuzione “a vanvera” è in uso almeno dal 1565 nel senso di “a casaccio, senza fondamento, senza senso”. E’ attestata nell’uso familiare del parlare toscano, in specie fiorentino. Incerta è la sua etimologia, che è però tutta all’interno di modi di dire toscani: “a bambera”, “a fanfera”. A fanfera [La Crusca nota a bambera, a vanvera, a fanfera; quest’ultimo è più comune nella lingua parlata. Ma la radice pare qualcosa di simile a vano] è meno che a caso; vale: senza la debita meditazione e cautela. Chi fa a caso non prevede né provvede; chi a fanfera, non può talvolta provvedere anche quel tanto che vorrebbe [Davanzati: « Corrono a combattere alla impazzata, tirando a vanvera nel buio ». Allegri: « Non usavano i vecchi nostri far le cose a vanvera ». Franzesi: « In queste rime, a vanvera dettate »]. Uomo a caso, diciamo, facendone come un aggettivo; non, uomo a fanfera.
Dissento rigidamente dal “mala tempora”. Vuoi perché è un cliché abusato, vuoi perché autoreferenziale, ben ribattuto da Bertolino con la frase “D’altra parte è così”. Dall’Autrice mi aspettavo un cicinin di più… No scusa, è troppo popolare questa frase, peggio della cippa, cancello. Mi aspettavo un luogo letterario meno frequentato, tipo Agnosco veteris vestigia flammae o un Carere debet omni vitio qui in alterum dicere paratus est (questo mi si addiceva, con una punta di adeguata cattiveria, me lo sarei meritato). O come disse san Verbiano prima della lapidazione: “breviter disceptamus bonus deus! ” (Parliamone un attimo dio bonino)
Passare per idiota ai tuoi occhi è una voluttà da fine gourmet.
Un abbraccio
Questo mi pare migliore. Peccato che non firmi, cio’ riduce la qualita’ globale ma pazienza.
Mi hai emozionata, incuriosita, rattristata, preoccupata….Peccato che tutte queste emozioni siano state guastate dalla lettura di quell’ insopportabile sproloquio di una commentatrice molesta.
Ciao, Enri! Grazie per letture e commento. In effetti lo scambio di opinioni è sempre molto interessante. Poi la cosa misteriosa è il motivo per cui i commenti positivi meritino una firma vera (voglio precisare che so chi sia ego perché ha avuto la correttezza di identificarsi via email da tanto tempo) e le critiche invece no. Approfitto del tuo commento per ringraziare insieme a te altre persone che hanno mandato email per “protestare” per il tono di alcune critiche che ho ricevuto: grazie, ma il mio grado di turbamento in proposito è meno trenta. Chi non si firma non cambia la mia esistenza. Se esiste speranza di incidere sul mio umore, essa risiede nelle critiche che hanno un’identità. La mancata firma (qui o in privato) è un dettaglio che fa pensare a idee forse chiare ma manifestate con scarsa coerenza o poco coraggio, oppure la spiegazione semplicissima è che, nell’alto numero di visite giornaliere a questo sito, esistano occhi di “amici” che, coperti da un anonimato di nome ma non di indirizzo IP del loro computer, sfogano quel po’ di invidia o rabbia o antipatia in questo modo. Non mi pongo il problema.
A questo proposito, ricordo che anni fa l’amico Luciano Comida, scrittore che rimpiango e persona cui ho voluto bene, raccontò nel proprio blog di avere scoperto che alcune critiche anonime e feroci arrivavano dall’indirizzo IP quindi dal computer di qualcuno che conosceva bene e gli manifestava affetto e stima. Lo scrisse con tristezza, ma anche con la dose di ironia che gli era tipica. Sono cose che si mettono in conto. Poiché trovo una perdita di tempo andare a guardare roba che tanto non ha un peso, preferisco evitare di dare occhiate dentro al pannello di controllo del mio blog. E chissà.