il cespuglio dei bottoni d’oro e la forma dei segreti
I segreti non hanno forma. E non è che sia ovvio, in fondo potrebbero avere una forma ma mantenersi segreti ugualmente. Una forma non è altro che la condensazione del pensiero e della riflessione della luce sulla superficie, i segreti devono avere una superficie e possono essere pensati quindi hanno una forma. In teoria ce l’hanno. Ma io non la vedo.
Bambina, amavo nascondermi tra le fronde cadenti dei botton d’oro nel giardino di mio nonno. Era un cespuglio enorme, potevo infilarmi sotto i rami spessi e verdi, coperti da foglie e fiori corposi, carne gialla il cui profumo intontiva, senza chinarmi. Tentavo di passare senza fare rumore, quasi senza spostare quei rami. Due o tre passi e le braccia cariche di fiori si richiudevano dietro di me, mi accudivano in una penombra solcata da strie dei raggi del sole pomeridiano. Potevo sedermi se volevo restare a lungo da sola, nascosta a pensare, oppure mi immobilizzavo in piedi e sbirciavo l’angolo del vialetto, e il margine della casa: speravo che qualcuno passasse e volesse trovarmi. Speravo di notare la nostalgia, la preoccupazione e la sorpresa. E l’amore, anche se non sapevo dare un nome a ciò che avevo in testa. Più di tutto, speravo che passasse mio nonno. Lo ricordo, a proposito: una volta, che per me è una ma sono certa equivalga a dieci, venti, quaranta, entrò nel rifugio dei botton d’oro, chino, quasi piegato in due, con il sorriso buffo e la smorfia degli occhi. Parlava piano, sottile, complice. Si nascose con me e scherzò un poco con la nonna che (fingeva di) cercarci apprensiva. Mio nonno era uno dei segreti del cespuglio con i fiori gialli, per lunghi istanti solo mio, proprietà privata e assoluto dominio: fu forse il mio primo amore, negli uomini cerco ancora la barba, gli occhi chiari e l’andatura pacata un po’ claudicante. Fu senza forma come i segreti, perfetto nella luce pura che gli mettevo addosso; assunse forma ai miei sedici anni, quando ebbe il torto di morire senza curarsi del mio bisogno che rimanesse ancora.
E c’era Roberta, anche. Capitava che si infilasse tra le fronde, sottile come loro e con i capelli castani dritti come spaghi, agile e vivace come io non fui mai. Avevo la sensazione che conoscesse la mia casa in penombra, la conosceva anche se per me era il luogo segreto, dove nessuno sarebbe stato capace di trovarmi. Il luogo che, nato nel pensiero e nella fantasia, aspettava zitto nell’angolo del vialetto senza essere notato da altri. Solo per me. Roberta lo conosceva, invece, e quando si univa a me nelle pause del gioco e nella voglia di ritiro dal mondo un po’ ero felice e un po’ soffrivo. Non ero unica, non lo ero perché avevo un fratello più piccolo ma anche perché Roberta condivideva il segreto senza forma dei botton d’oro. Immaginavo che vi si nascondesse con le bambole o la sua scimmia di peluche, e sua madre la cercasse disperata senza essere capace di intuire. I botton d’oro si spostavano per aprire lo spazio segreto, erano scudo e velo. E protezione che non ho ritrovato, dopo.
C’è stato un tempo in cui ho dovuto chinarmi per passare. E’ accaduto non so bene quando, le fronde non scivolavano più sulle mie spalle piccole e lo spazio interno non era così ampio da permettere che stessi seduta. Soprattutto, il cespuglio rimpiccioliva. A un tratto, senza che mi apparisse una trasformazione graduale, mi accorsi che chiunque avrebbe potuto scorgermi se avesse fissato distratto i rami intricati di fiori: il mio corpo sporgeva, era massa. E il corpo di Roberta era massa. Perfino lei, così magra, ingombrava il mondo magico del cespuglio. Insieme non potevamo borbottare confidenze ed eludere i richiami di sua madre; chine come il nonno anni prima, spezzavamo fili d’erba e rovinavamo i fiori, che cadevano per i movimenti non più bambini. Eppure avrei giurato che i segreti fossero senza forma, che esistesse un luogo dove trovare riparo e protezione senza occupare spazio.
Un cespuglio diventa piccolo nell’angolo del giardino. E’ stata la mia prima delusione, la constatazione fatale di ciò che muta essenza al cambiare della dimensione di noi. E i segreti, quelli che là ho creato e soffiato fuori, quelli che là ho lasciato: non avevano forma, evaporavano sciolti e densi come l’amore. Finché.
Non so se il cespuglio esista ancora. Di tutto il giardino, lì è l’angolo che non riesco a ricordare.
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Bello,Mariagiovanna!
Mi ci sono ritrovata anch’io,in questo racconto con la differenza che io davo la precedenza agli alberi e…i più carichi di fogliame.
E quanto hai ragione a dire che un “segreto” si deve tenere solo per sè.Sperando ovviamente che “una” persona lo scopra lo faccia suo e faccia finta di non saperlo che,il giocare coi segreti è magia che cattura persino lo spazio immaginando vere ogni cosa vissuta dal pensiero complice il segreto.Un bacio,Mirka
Davvero piacevole seguire il flusso associativo del tuo pensiero e la valenza simbolica di una scrittura che va a visitare figure e immagini della memoria…
Morbido, avvolgente, una culla segreta per pensieri e parole, d’incanto.
E strano come si ricordi sempre quello che fa male. Ci sarà pure una spiegazione psico-analitica del perchè nei ricordi infantili generalmente si rimuove la gioia.forse perchè si evolve attraverso il dolore o meglio la trasformazione di esso, attraverso un percorso esposto alle intemperie e non protetto più da nessun genere di nascondiglio.Attraverso la memoria di quel che non è più ritroviamo quello che siamo . Non siamo quello che non vogliamo ricordare.bellissimo Giovanna.
bellissimi i vostri commenti, in realtà: la magia, anzi la malìa del ricordo assume contorni e significati che vanno molto oltre, e a grandi profondità
Il cespuglio esiste ancora e spero diventi il rifugio di Camilla. Purtroppo non avrà la fortuna che ho avuto io di poterlo condividere con te.