ragnatele
Ragnatele. Le vide sull’angolo del balcone, appena dietro la zanzariera: lunghe e biancastre come stelle filanti, ballavano al vento e qualche insetto penzolava muto. Morto da chissà quanto.
– Accidenti!
Pensò senza muoversi dalla sedia di legno piazzata sul balcone. Non ce l’avrebbe fatta a pulire in tempo, Andrea sarebbe ritornato da lì a un’ora e avrebbe trovato ancora polvere e ragnatele.
Ricordò l’ultimo incontro nel parlatorio: sembrava felice, mancavano pochi giorni al termine della pena e forse credeva che il mondo sarebbe tornato nelle sue mani. Come sempre era stato: aveva vissuto anni di certezza, di limpida incoscienza convinto che ogni cosa fosse stata creata per compiacerlo, per servire ai suoi piani complessi e ambiziosi, per trastullare il suo ego enorme senza l’ombra di una delusione. Per questo, forse, era caduto, oppure era stata solo la fortuna che – come diceva lui – si era voltata un attimo dall’altra parte e l’aveva abbandonato nel momento meno adatto. Quando aveva deciso di rubare tutti quei soldi con un gesto di pirateria informatica degno di un film. E, per quello che sapeva Clara, il colpo avrebbe anche potuto funzionare: lei non capiva niente di hacker e computer, non sapeva che cosa fosse un conto online quindi accettava a priori l’entusiasmo di Andrea, fidandosi di lui. Peccato che la fortuna (appunto) se ne fosse andata poco dopo il trasferimento dei fondi da qualche conto estero al magro (fino a quel momento) conto di Andrea. Clara non sapeva che cosa fosse andato storto: Andrea aveva provato a spiegarglielo prima di essere arrestato, e anche l’avvocato non aveva risparmiato i termini e le parole, ma non c’era proprio niente da fare. Lei non voleva sapere. Non la riguardava: anche se quel colpo andato male le aveva tolto il marito per anni, anche se si era ridotta a pulire le scale dello stabile e a sorvegliare i bambini dei vicini per arrotondare il lo stipendio scarso dello studio notarile, le cose che riguardavano Andrea e la sua pirateria informatica (così l’avevano chiamata in tanti) non le entravano in testa.
Sospirò. Avrebbe proprio dovuto togliere quelle ragnatele: dopo anni di solitudine non poteva accogliere suo marito in una casa sporca. Forse lui avrebbe voluto sedersi sul balcone, a guardare le piante alte e verdi muoversi nelle prime ombre della sera e ad ascoltare i bambini nel piccolo parco giochi. Oppure avrebbe voluto mangiare, o bere. Chissà. Si chiese che cosa avrebbe fatto se lui avesse chiesto di fare l’amore: la voglia aveva avuto mesi e anni per esplodere, per arrabbiarsi di frustrazione e noia, per correre via dimenticata o rimossa. Non sapeva neanche più come fare a toccare un uomo, ad accogliere le sue carezze e il corpo dentro il suo. All’inizio aveva rifiutato l’idea che Andrea se ne fosse andato: non aveva voluto pensarci, come se potesse esistere un’illusione granitica e consolatoria da portare avanti per tutta la condanna senza guardare la verità. Poi aveva capito di essere da sola, sul serio, e aveva reagito alle avances degli uomini che ogni tanto ci provavano con stizza o disinteresse: le sue mani bastavano per scaricare quel po’ di passione che non poteva più avere da Andrea, non voleva un altro uomo nel letto e altre mani a tastarla penetrarla perforare la sua anima. Però. Andrea stava ritornando, e forse nei lunghi anni di prigione non era stato capace di resistere: la masturbazione, che a lei era sempre sembrava l’ovvia via di fuga per entrambi, forse a lui non era bastata. Se ne dicevano tante sui carcerati, si pensava che le condanne lunghe portassero a perdere l’identità e obbligassero i più deboli a diventare omosessuali. O bisessuali, se si voleva mantenere un po’ di equilibrio nel giudizio. Se Andrea fosse ritornato a casa senza chiederle il suo corpo forse lei avrebbe dovuto capire che non la desiderava più, non aveva voglia di fare l’amore con una donna perché aveva cambiato sogni. Aveva cambiato amori.
– Basta!
Lo disse a voce alta anche se era sola. La irritava indugiare su pensieri sciocchi e dolorosi: aveva avuto anni per tormentarsi di nostalgia e dubbi, e gli incontri in carcere non l’avevano aiutata a capire. Erano stati scarsi e frettolosi, senza poesia o soddisfazione. Anche per lui, ne era sicura.
– Come farai se scoprirai di non avere più niente in comune con lui?
La domanda le era stata ripetuta decine di volte da amiche, parenti e colleghe di lavoro. Tutte sapevano del ritorno di Andrea (non aveva mai nascosto di avere un marito carcerato: non si vergognava di lui, era solo stato sfortunato) ed erano curiose. Probabilmente immaginavano che lui entrasse in casa e le si buttasse addosso per soddisfare istinti smozzicati nelle stanze strette e sporche della prigione, oppure che si sedessero uno davanti all’altra senza riconoscersi. Lei non voleva rispondere a domande come quelle: le sembravano invasioni nella sua intimità, e non aveva molto da dire. Perché neanche lei sapeva. Non sapeva che cosa avrebbe fatto o provato, non sapeva che cosa sarebbe successo con quel marito-non marito assente per anni e ora magicamente destinato a riapparire. Dopo una solitudine forzata in bolge che puzzavano di sudore.
– Lavorava in biblioteca, forse ritornerà più colto e intelligente di me
Pensiero sciocco, ma non poteva toglierselo dalla testa. Andrea aveva trovato una sistemazione che gli andava abbastanza bene in biblioteca, le scriveva e parlava di libri che leggeva anche a due a due. Lei no, lei non aveva mai aperto un libro neanche a scuola: era arrivata al diploma grazie alle bugie e alla sua intraprendenza. Voti appena sufficienti e un calcio nel sedere. Certo non poteva parlare di letture e libri con Andrea, non aveva avuto voglia di seguirlo nei suoi suggerimenti: “Visto che la sera sei sola perché non leggi questo? E se vai da tua sorella in Liguria porta un altro libro”. Aveva annuito qualche volta, ma senza convinzione, e appena uscita dal carcere aveva dimenticato titoli e autori. Quello dei libri non era il suo mondo: era inutile che Andrea tentasse di entusiasmarla. Certo, le loro differenze sarebbero apparse ancora più evidenti: non era più solo la diversa concezione dell’informatica, che riempiva Andrea di passione e lei di sbadigli, ma anche il tempo dedicato alla lettura.
– Insomma, se non andremo più d’accordo divorzieremo
Lo disse, ma sentì un dolore al centro del petto. Aveva aspettato suo marito per tutti quegli anni, aveva rifiutato sesso e nuovi amori e anche i figli. Aveva bloccato i respiri in attesa che lui ritornasse a casa, e adesso non aveva voglia di guardare il suo matrimonio crollare come un rudere abbattuto da una ruspa tra gli OOHHHH della gente.
Si alzò. La cucina era pulita, e due pentole borbottavano piano. L’odore di spezzatino e pomodoro riempiva l’aria.
– Almeno questo ce l’ho, almeno sapere cucinare
Si consolò assaggiando il sugo. Andrea certo non aveva mangiato bene in carcere: lo ripeteva spesso nei loro colloqui. Era stufo di quel cibo, e anche i regali che riusciva a portargli non erano che vaghi accenni a una vita passata che lui non poteva afferrare. Quella sera si sarebbe seduto a tavola con un tovagliolo pulito sulle gambe, avrebbe atteso che lei lo servisse con dolcezza e attenzione, avrebbe gustato la cena con qualche bicchiere del vino migliore: non aveva badato a spese, aveva comprato due bottiglie di rosso facendosi consigliare dal notaio dove lavorava, e le aveva sistemate nell’angolo dello sgabuzzino dove le sembrava ci fosse la temperatura migliore. Andrea sarebbe stato contento di quella cena, e forse il suo ritorno a casa sarebbe stato meno complicato di quanto lei temesse proprio grazie all’ottimo cibo e al vino prezioso.
Afferrò un piumino e si diresse al balcone: avrebbe tolto le ragnatele in tempo, l’avrebbe fatto per amore di Andrea e lui sarebbe stato felice. Si fermò un istante quando notò la lettera di Carlo, un vecchio amico di suo marito che gli offriva un lavoro nel giro di una settimana: si trattava di un interesse reciproco perché Carlo aveva bisogno della mente geniale di Andrea per i suoi sistemi informatici, e Andrea (che probabilmente non avrebbe avuto una scelta eccessiva all’uscita dal carcere) aveva bisogno di un lavoro. Un reddito per ricominciare davvero. Eppure. Il computer che aspettava suo marito le faceva paura: Andrea era finito in prigione proprio per quel suo talento, per il dialogo con la tastiera più semplice di quello con gli uomini, almeno per lui. Non era sicura di volere che di nuovo si lasciasse tentare dalla pirateria, dal guadagno facile in rete. Non voleva il carcere e la solitudine e gli sguardi della gente. Non voleva il letto vuoto notte dopo notte. Non voleva una vedovanza irreale e il corpo bloccato da ragnatele sul balcone.
– Non devo pensare
Ripeté, come aveva fatto molte volte in quegli anni. Niente pensieri niente angoscia: era un’equazione nella quale riponeva la poca speranza sdrucita che restava.
Non. Pensare.
Strofinò a lungo la zanzariera. Le ragnatele si attaccarono alla mano. Le guardò schifata.
– Ragnatele…
Mormorò, e guardò in basso: la strada e gli alberi e i bambini scomparvero ai suoi occhi vuoti. In fondo non era importante che pulisse quello schifo di balcone, che cucinasse carne e pomodoro per un uomo che ritornava. Non contava neanche che lui la desiderasse e cercasse un sesso frenetico e dimenticato. Perché era il tempo a decidere. Il tempo e due ragnatele attaccate alla mano, con gli insetti morti a farle da bracciale e la polvere a macchiare la pelle.
Ragnatele. Niente di più.
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