le parole per la tristezza (e Facebook)

 In Blog, I racconti del taccuino, la posta del cuore (?)

Oggi sono triste. Distesa su un letto di albergo bianco e pulito, con il silenzio nelle orecchie ho condensato la frase più semplice e breve, quella che dice ogni cosa. Oggi sono triste.

Fugace, quasi oltre il tempo decente per farlo mi sono seduta in piazza delle Erbe e ho chiesto una bistecca; ho atteso che me la portassero dopo un saluto allegro a un amico, vagando su Facebook con l’iPad. E, come accade sempre, ho visto frasi roboanti, melliflue, scontate, limpide, perfette che dicevano tanto: in particolare ho notato l’enfasi sulla ingratitudine. Sugli amici che ci sono quando hanno bisogno e si negano quando la richiesta è tua. Mi colpisce notare quanto il concetto retorico e scontato accolga centinaia, migliaia di adesioni. “Un amico vero è lì nel momento del bisogno”, e duemila applausi a scena aperta: possibile che una banalità discutibile di questo genere debba essere plebiscitaria? Quanto di quello che diciamo è davvero meditato? Quanto invece è solo adesione all’istinto inevitabile di gettare la responsabilità sugli altri?

Perché se dovessi analizzare le mie ore potrei concludere che sia vero, che l’ingratitudine esista e che nell’affetto (amore) non valga il reciproco. Chissà come, mi sono sentita fragile e più sola e, chissà perché, ho deciso di chiedere la presenza a chi amo. La richiesta è stata vana nella mia percezione, esaudita nella percezione altrui. Significa che secondo me non ho ricevuto ciò che speravo, secondo gli altri ho avuto più di quanto fosse lecito donarmi. Ecco, quindi, che le frasi preconfezionate che su Facebook raccattano pollici alzati diventano meno assolute. Chi ha ragione? Io che mi sono sentita sola o gli altri che credono di avermi sommersa di amore? Bisogno, amore, reciproca presenza cosa sono? E come si misurano?

Non lo nego. Quando ho capito di essere del tutto sola la rabbia è affiorata. Anche bella grossa. Ho gettato sugli altri la colpa, mi sento così male perché loro non sono qui, non hanno accolto la mia richiesta di aiuto. Ho anche commesso l’errore di dirglielo, di rendere nota la mia amarezza. Poi, su questo letto dove cerco un’ora di riposo per uscire di nuovo nella scarsa calca mantovana, la mente ha concepito l’unica verità senza eccezioni. Oggi sono triste. Sta lì, in questo. Andare oltre sarebbe sciocco e lontano dalla verità. Si tratta di tristezza, ecco tutto. La genesi e la conseguenza risiedono in me, gli altri sono stati spettatori e hanno ricevuto richieste e responsabilità senza che ne avessero. Perché è così difficile dichiarare la tristezza? Perché sono necessarie le frasi precostituite di Facebook, magari con una fotografia evocativa incollata addosso, per tirare fuori dalla tristezza un problema enorme di difficoltà comunicativa, ingratitudine, scarsa corrispondenza di amorosi sensi?

Sono triste. Mi sento sola. Sono arrabbiata. Sono felice. L’espressione dei sentimenti più veri e semplici, quelli che compongono ciò che siamo: nella nostra aura pare esistano due corpi sottili speciali che riguardano il rapporto emotivo con noi stessi e con gli altri. Le emozioni vanno vissute e tenute in movimento, non razionalizzate e bloccate nel corpo mentale (il corpo mentale è legato al pensiero, all’attività razionale, e sta in mezzo tra i due emotivi) altrimenti creano zone di rallentamento dell’energia. Significa che se ho paura è lecito e buono per me ammettere di avere paura. Se sono triste ammetto di essere triste.

Ecco. Oggi sono triste. Per andare ancora più in là, per non identificarmi eccessivamente con la tristezza trasformo la frase: oggi ho la tristezza. Uso il verbo avere e non il verbo essere, quindi ho un sentimento e non sono quel sentimento. Così è più facile viverlo e lasciarlo andare.

Quante volte le nostre azioni sono dettate dall’amplificazione della tristezza, della rabbia, di decine di altre emozioni che trasformiamo in concetti complessi, che razionalizziamo e blocchiamo ma, proprio per questo, istighiamo a creare mostri? L’emozione rimossa o imbrigliata dalla ragione è letale. Una tristezza come la mia deve avere canali per entrare e uscire, deve sentirsi libera di possedermi il tempo necessario e fuggire altrove quando non servo più. Affrontare il dolore è necessario, fa parte della guarigione: chiunque fugga o tenti di inquadrare la sofferenza in un discorso ampio, fisso tra i paletti della retorica, sta rimandando il pianto, il crollo a terra necessario per rivivere. Più salutare fermarsi, smettere di correre e guardare il dolore, lasciare che faccia male. Solo se colpisce poi se ne andrà. Perché è transitorio, come ogni altra cosa.

L’amore è transitorio (se è terreno), come la tristezza. Oggi sono triste, domani non so.

Prima di salutarvi (transitoriamente) ritorno all’origine, cioè alle frasi preconfezionate di Facebook. Penso siano utili quando esprimono ciò che diversamente non sapremmo dire. Gli scrittori spesso sono amati perché riescono a raccontare storie che permettono ai lettori di identificarsi (o sognare, quindi volare altrove), storie che altrimenti alcuni lettori non riuscirebbero a creare con parole personali. Le frasi che raccolgono consensi possono avere questo valore: aiutano a dire, riflettere e trarre conclusioni. Aiutano perché fanno sentire meno soli: si condivide il medesimo pensiero. Certo, preferisco concetti originali e inventati da ogni singola persona: magari non tutti condivisibili, magari con qualche errore, mostrano però una bellissima prova di creatività. E creativi siamo liberi.

Pace a voi.

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Showing 11 comments
  • Daniela
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    ho letto il suo post, bellissimo! La capisco, perché quello che scrive è qualcosa che provo anch’io, ormai da tutto questo anno mi sento come scrive lei… Sola e con un misto di rabbia e delusione, cercando di calmare il tutto, ma con difficoltà, perché penso sempre a coloro che non ci sono, e che forse pensano che non sono sola, nonostante lo sia. Quante volte mi sono sentita dire che devo cercare di vincere questa mia solitudine da sola, ma io sono sempre stata sola, e ora che vorrei dividere qualcosa con qualcuno, (ovviamente senza molta pretesa) tutti scappano o mi lasciano affrontare tutto da sola. Vorrei urlare la mia rabbia, ma la tengo per me… perché tanto nessuno o pochi capirebbero… Facciamoci compagnia, magari con i libri, con la scrittura. Forse così non ci sentiremo sole…

  • MariaGiovanna Luini
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    Daniela, una mia amica saggia dice che la solitudine è fondamentale per comprendersi, per capire dove stiamo andando e chi siamo. Per avere il riferimento essenziale, cioé noi. Vissuti nella nudità della solitudine, appunto. Sono d’accordo con la mia saggia amica, anche se la mia percezione della solitudine, in mutamento (evoluzione) continuo, ancora non è salda. Dalla solitudine traiamo forza. Ma anche dagli altri, certo. La paura della solitudine è un’emozione e come tale va vissuta ma non deve possederci. Siamo tutti soli e non lo è nessuno. Siamo soli perché è impossibile che, nella nostra unicità speciale, ci si possa fondere del tutto con altri, ma nessuno è solo per chi crede, come me, che la vita e l’universo abbiano un senso. Che si faccia tutti parte di qualcosa oltre l’apparenza del “reale”. Quanto alla rabbia, perché non dichiararla? Non serve che gli altri capiscano, bloccata dentro di noi non serve e fa male. Diventa eccessiva, si trasforma in un nemico. Oggi ho scagliato alcuni oggetti contro una parete; gesto cretino? Può darsi, ma ha dimezzato la mia rabbia. E serve anche guardare a sè e non agli altri. Siamo sicuri che la responsabilità per ciò che NOI viviamo sia altrui? Non siamo noi ad avere creato la nostra vita esattamente come è?

  • Daniela
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    Anche io penso che la solitudine possa essere qualcosa che ci aiuti a capire la nostra identità, il nostro ego, e ad aiutarci a vivere bene con noi stessi. L’ho sempre pensato, ma quando si vorrebbe fare qualcosa insieme ad altri, perché gli altri non vorrebbero dividerlo con noi?! Spesso mi pongo tante domande, osservo mio fratello e mia sorella con i loro amici, provo a ritornare indietro nel tempo, per capire cosa sia il tutto che mi accade. Sono sempre stata sola, sin dalla mia infanzia, nonostante i miei cugini, i miei fratelli, mi sentivo sempre sola, forse per via del mio difetto d’udito? Forse si, forse no. Ancora le risposte le cerco. Forse Dio mi ha voluto mettere davanti a una sfida. E poi mi chiedo, perché ora che ho 34 anni non riesco a non smettere di chiedere a mio padre se mi dà un passaggio a Cagliari, non potendo guidare. Quando andavo a scuola uscivo e andavo a prendere il pullman da sola. Perché ora, questo mio bisogno, quando cerco la mia indipendenza? Domande su domande!
    Quante volte, mi sono messa a urlare, contro un muro o contro qualcuno che ascoltava invisibile, a lanciare oggetti per la stanza, per la rabbia? Non è stato un gesto cretino, se ci aiuta a calmare il nostro sentimento “irascibile”. Si, penso che ha ragione, dovremo cercare risposte dentro noi, e forse siamo noi a creare questo,per avere qualcuno con cui dividere il tutto, per un supporto emotivo. Penso che la solitudine, a questo punto, ci aiuterebbe molto. 🙂

  • MariaGiovanna Luini
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    Non è il difetto dell’udito, ne sono certa. Perché ha ampiamente superato i limiti e i confini imposti dal difetto, è andata oltre in tante cose. E ha realizzato se stessa. Manca ancora un pezzo forse, come a tutti noi. Siamo in cammino ma non arrivati, e prendiamo, riusciamo a guadagnare un pezzo per volta. La presenza degli altri aiuta, ha ragione. E’ che dovremmo bilanciare le aspettative con ciò che gli altri donano. Quanto danno si fa con un’aspettativa?

  • lucia
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    “Per andare ancora più in là, per non identificarmi eccessivamente con la tristezza trasformo la frase: oggi ho la tristezza. Uso il verbo avere e non il verbo essere, quindi ho un sentimento e non sono quel sentimento. Così è più facile viverlo e lasciarlo andare.” Questa frase mi ha resa ricca. Grazie

  • Fabio
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    Camminavo sulla spiaggia poco fa, e pensavo: al mare non gliene frega niente di noi.
    Credo che il mare si senta solo a volte.
    La sua schiuma è la rabbia idrofoba di un cane abbandonato.
    Per questo ci assale.
    La tristezza ha molto a che vedere. Con il mare.
    È ruggine, che ammorbidisce gli spigoli della nostra anima.

  • Bianca 2007
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    Carissima Mariagiovanna,come sempre stimoli neuroni ed emotività anche quando la stanchezza.
    A volte la tristezza non nasce da una “aspettativa delusa” ma solo da una necessità di uno scambio vero,fisico,di occhi che portino le reciproche energie al centro dilatandole poi,sigillando il tutto con un abbraccio anche violento per poi sciogliersi in leggerezza che tutto prende.Aria e terra.
    Chi è cresciuto nella solitidine anche se attorniata da gente,amici e altro come sono stata io e probabilmente la maggior parte degli artisti,non teme in assoluto la solitudine.Anzi.Compagni le sono le emozioni ricevute e lasciate,l’interiorità da cui parte la sua forza in altrettanta vita che mai si ferma nel sentire ogni cosa che pulsa e la nutre.Ciononostante può avvenire che sia proprio la necessità fisica di sentire “quella” voce e, quando manca non esito ad ammettere anch’io tutta la mia tristezza e con essa anche la rabbia per la vita che con indifferenza sdegnosa fugge fra l’ombre.Ecchediamine,mica siamo degli ectoplasmi,no? E allora anch’io oggi sono triste e furiosa.Che male c’è se mi aggiungo alla lista di un numero infinito di “tristi” anche se non li amo?…Io nata tra paurosi sbalzi d’umori ma sempre con la gioia per mano?…Un abbraccione.Ciao.Mirka

  • MariaGiovanna Luini
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    Sei artista, e sei nel mio cuore. Il senso della solitudine per l’artista, e la dimensione terrena della voglia di avere lo spazio per una condivisione, uno scambio, la gioia della voce da ascoltare. L’istinto dice “sei nata per comunicare a tanta gente, ma sola”, i giorni qualche volta fanno lo sgambetto alla dimensione creativa del silenzio.

  • Bianca 2007
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    Grazie.Anche tu sei nel mio cuore da subito.No.La voglia di creare non è mai partita.E’la leggerezza che manca in questo tempo peso di cose che fanno di tutto per frapporsi fra lei e l’amato silenzio che ascolto ascolto.Mirka (Che strano lapsus stavo firmandomi col nome che ho dato al mio blog Bianca 2007 (era il nome di mia madre)

  • Giuliana
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    Quando arriva la tristezza, arriva come un’onda, senza un motivo apparente. E’ un’onda calda. La tristezza arriva per soccorrermi, per scaldarmi quando ne ho bisogno. Quando il freddo arriva fino alle ossa. Quando non si riesce a spendere tutti i sentimenti, quelli che avanzano si trasformano in tristezza.

    p.s. ti prego di pubblicare questo secondo commento senza il cognome. Grazie.

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