mia moglie porta i pantaloni

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La porta è chiusa. Quasi sempre. Sulla scrivania ampia, pulita, mi piace perdermi a guardare lo schermo del computer diverso dagli altri (sono il capo, che la tecnologia funzioni almeno per me) e la carta. Amo la carta ordinata, con qualche segno di matita a grafia piccola e le rilegature a tenere insieme i documenti grossi. E le diapositive, anche quelle mi piacciono: le studio una per una, invento l’animazione e scovo immagini che spiazzano. Ho imparato a infilarci dentro i filmati che prendo con il cellulare, quando noto la noia lancio un intermezzo e mi diverto a osservare il volto di chi era lì lì per addormentarsi. Si tirano su, si raddrizzano all’improvviso, lo sguardo acuto e interessato e le gote che, immagino, si riempiono di vergogna. Imbarazzarli è il mio piacere segreto, lascio scivolare la voce nelle diapositive e non mi concedo di sorridere. Poi chiedo: “Vi è piaciuto?”. E so che non potranno fare altro, si complimenteranno con me. Poveri scemi. Polli destinati al macello, teste da fare volare con la mannaia mentre le gabbie tonde ruotano a vortice.

Mi chino avanti, allungo il braccio, con le dita tocco la fotografia di mia moglie. Come è ovvio mostrarla alla gente che arriva da me, nei giorni peggiori vorrei provocare la curiosità e lo scandalo e sussurrare: “Sa, è la mia amante”. Ma sarebbe stupido, e inutile. La conoscono tutti. Si dice che abbia più carattere di me, che sia bella e atletica e volitiva e in casa porti i pantaloni. Certo che li porta, come le altre donne. Volitiva? Anche questo è vero, l’ho scelta apposta; chi di noi decide di sposare una mezza donna, una che da sola non riesce a prendere un accenno di decisione? Lei mi è piaciuta subito, ho capito a istinto che avrei potuto proseguire nei miei progetti senza deviare troppo, avremmo fatto figli e li avrebbe gestiti senza chiedermi attenzione eccessiva. Così è stato. Non mi sono mai posto il dubbio che fosse lei a comandare, da noi nessuno comanda. Non veramente. Se tutti facessero come noi ci sarebbero meno divorzi: applicare sempre la logica. E’ logico comportarsi in un certo modo e non in un altro. E’ logico andare d’accordo e non porsi domande, notare le sfumature e farsele bastare. E’ logico fare funzionare la casa, tenerla in ordine, imparare a cucinare bene per non sfigurare con gli amici e tenere le proprie cose per sé. Cioè tacere. Si chiede aiuto quando non se ne può fare a meno, ci si espone mai.

E la mia porta chiusa, anche quella non espone. Alla mia destra la finestra che occupa la parete spacca con le righe della tenda moderna il cielo latte sporco e la pioggia. Piove, e piove. Poca gente cammina intorno, e se lo fa non si ferma davanti alla mia finestra. Sono di passaggio anche qui, anche nei vetri affacciati sul giardino nella sua parte posteriore.

Le dita sfiorano la fotografia di mia moglie e la posta elettronica ingrassa di messaggi. Sembra incinta, si gonfia e prima o poi dovrà sputare fuori. C’è la donna che sta nell’altra palazzina, quella quarantenne rompicoglioni. Scrive, scrive troppo. Propone poi si incazza, troppo passionale per i miei gusti. Qualcuno se la porta a letto, io ci ho fatto un pensierino tempo fa ma è stata una fantasia da niente. Deve essere un diavolo, infoiata e calda, ma non fa per me. Non mi piace il corpo, troppo pieno e formoso (per me è grassa), detesto il suo carattere. Elimino il suo messaggio senza guardare, tanto ci saranno altri pronti a risponderle e a mettermi copia conoscenza. Figurati se tacciono alle sue provocazioni, ti tira fuori le sberle dalle mani. E l’altro, guardalo lì. Non dovrebbe essere in ferie? Riesce a mandare messaggi anche dal mare, dove vorrei tanto che rimanesse a vita. Eppure non posso, non devo tirare fuori l’antipatia, non tutta. Lo sanno, la gente conosce i miei fastidi e le intolleranze ma deve mantenere un dubbio. Chissà se è vero o no. Perché in fondo, molto in fondo (secondo loro), dirigo tutta la baracca e il mio equilibrio è necessario. Necessario. Ma dove è scritto? Perché non ammettere almeno oggi, almeno questa volta, che l’equilibrio non esiste e vorrei che il mondo fosse solo il mio sogno, il desiderio che non riesco a nascondere? Lei, lui, l’altro. Il resto fuori, morti o altrove non importa. Vorrei vederli, gli stronzi che mi giudicano. Vorrei vedere loro al mio posto. Fare quadrare i conti e rispondere al consiglio di amministrazione, poi infilare il cappotto e andare a casa, aiutare Carla con la tavola e accarezzare i bambini. I piatti, le posate, i tovaglioli piegati perfetti. E il cinema d’essai, dopo, con la coppia che abbiamo conosciuto in viaggio di nozze cento anni fa. Non si dovrebbe andare in viaggio di nozze, non si dovrebbe fare amicizia con chi ha avuto la medesima, stupida idea. Sorrido e non tolgo la cravatta, Carla sorride e sembra piena di luce. Le piace davvero questa nostra vita, credo.

Mi succede poi di mettere a posto l’automobile in piena notte. Carla scende, apre il portone e mi dice che mi aspetterà a letto. La troverò profumata e stanca, mai che si faccia l’amore. E’ logico farlo quando c’è una festa, quando il momento assomiglia a un’occasione romantica, quando devo consolarla o è San Valentino. Comunque andrò avanti piano lungo la via, controllerò i marciapiedi senza convinzione: non ho paura, me ne frego di chi attenta al mio portafogli. Sono più alto e allenato della media dei bastardi che girano intorno a casa mia. Piano, smozzicherò metro per metro e mi verrà la voglia di altre case, altre braccia. Di sorrisi con la saliva che imperla i denti, e sesso che se non c’è ti strazia di nostalgia. Mi chiederò dove sto andando, magari mi verrà da credere che la quarantenne grassa e impetuosa che si incazza perché non concordo mai con lei sia meglio di una moglie bellissima, atletica e perfetta. E chissà quali altre cazzate. Nella mia mente che rotola.

Non troverò speranza, non avrò appigli. La notte mi darà due pacche sode sulla testa e un morso nel cuore.

La mia porta chiusa e la segretaria poco oltre sono la barriera da niente delle ore di luce. Poi niente. Poi sono sempre io. Dicono che mia moglie porti i pantaloni, che comandi lei. Io dico che non me ne importa niente.

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Showing 5 comments
  • carlo
    Rispondi

    belo spaccato interiore ! chi è la quarantenne ?

    • MariaGiovanna Luini
      Rispondi

      Carlo, chissà…

  • Bianca 2007
    Rispondi

    Lo stile inconfondibile di MariaGiovanna!
    Si sente una solitudine immensa in questo uomo del racconto per quanto abbia una moglie “atletica” “bella ” da “esibire” con orgoglio (ormai sazio) che “porta i pantaloni”,col romanzo operante meraviglia nelle abitudini di gesti e noia,ma con la mente che pregusta appetibili esperienze nell’illusione di trovar rimedio alla disperazione che arde (e consuma) alla base del cervello,tanto per evitargli di scoppiare in una fragorosa risata che forse spaventa pure lui.
    Tutto pare abitudine.Un’abitudine (retorica e acquisita) a cui non c’è rimedio se non con l’indifferenza.Pantaloni o gonna ribaltata.
    Pubblica solitudine sempre da un eterno Non Ancora da rinviare a occhi chiusi e su un piano inclinato dove l’Amore è nulla,la paura tutto,anche se avvolta dal mantello dell’indifferenza.
    Spero di leggere ancora con la commozione che mi prese col “Chiama Angeli” e col “Breve Istante di emozione in un albergo del centro”.Proprio giorni fa li ho proposti in una trasmissione radiofonica accolti entrambi da un silenzio tombale che,per me aveva solo il significato del battere furioso dei cuori.Quindi emozione moltiplicata.
    Attendo sempre che tu mi dia un segno di presenza sul mio blog.Ma…nulla è dovere d’obbligo se non per spinta d’interesse o semplicemente di cuore.
    Tua “debitrice d’emozioni”
    Mirka (Bianca 2007)

  • MariaGiovanna Luini
    Rispondi

    Mirka, la mia presenza c’è nella lettura di te ma hai ragione, lasciare traccia scritta indica una carezza e l’interazione creativa tipica dei blog.

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