la lirica di una nebbia
Succede che mi alzi presto ed esca dal letto con la voglia di guardare fuori. Le case con le finestre chiuse, cieche, sono senza vita; appena recupero la posizione verticale annaspo verso i vetri e apro, faccio entrare il giardino e controllo se piova o ci sia il sole. Mi vengono in mente le persone meteropatiche, coloro che popolano la mia esistenza e variano insieme al meteo: se noto la pioggia mi preparo ai loro silenzi, altrimenti prefiguro messaggi lieti e splendide carezze.
Insomma, mi alzo e apro le finestre. Da qualche giorno vedo la nebbia. Ed è speciale, questa nebbia. Potreste dirmi che abito a Milano Sud, zona di risaie e zanzare e nebbia (appunto), e sarebbe vero. Potreste ricordarmi che il mondo, questa parte di mondo, è nato insieme alla densità spessa ed evanescente di un latte sporco che copre e fa tacere, esistere per questa terra è coprirsi di nebbia. Tutto vero. Ciò che mi colpisce ed eccita la mia fantasia è il confine. La nebbia ha un recinto, inizia e finisce all’improvviso, quasi ci fossero cancelli che non le permettono di andare oltre un limite che sta più o meno a sei chilometri dalla mia casa. Ed è incredibile, se ci pensate: come fa a lasciarsi imprigionare?
Da quattro o cinque giorni provo a misurarlo, il confine. Esco, scelgo se usare l’automobile o l’autobus e sono già immersa nel silenzio. E’ un silenzio che non oso definire grigio perché la nebbia non è grigia. E’ bianchiccio, bianco rarefatto eppure compatto, una specie di neve che resta sospesa simile a farina e non si decide a cadere. Esco e sono avvolta, la sento premere delicata sulla pelle del viso e sulle mani, la respiro e ha un odore inconfondibile. Immagino piccoli, minuscoli frammenti che solidificano appena oltre il naso e scendono nella trachea, e giù nei bronchi, come un elemento che ha forma ma non durezza, che accarezza ma non fa male. Mi placa. Ho sempre amato la neve e la nebbia. Sono mani che abbassano i toni, che zittiscono e chetano. Non ho paura di restare nella loro prigione, io che non sto ferma, che detesto i legami e le imposizioni accetto docile il loro volere. Neve e nebbia, bianche e palpabili, differenti solo agli occhi.
Mi basta qualche chilometro per raggiungere l’istituto dove lavoro. La strada, le altre automobili nella doppia fila lenta con gli autobus 222 e 99 che premono per tagliare la strada, qualche camion che ha fretta e spesso schiaccia di lato le utilitarie. E la nebbia, che non si alza e non cambia, bianca e rara e spalmata sui campi. Nasconde il carcere a sinistra, dissimula e scompone la forma delle case. Gli alberi, marrone scuro o nero, filano ai margini quando vado oltre il semaforo e a destra la campagna piatta, dove con il tempo favorevole posso fotografare il sole rosso che sorge all’orizzonte, la distesa piena, omogenea, inafferrabile delle pagliuzze fresche della nebbia. Due gradi e mezzo, il termometro della macchina questa mattina diceva così. Avanti, ancora avanti. Anche l’istituto è nella nebbia, parcheggio e saluto e cammino, e non c’è spiraglio nel cielo confuso con la terra. Con i guanti e la sciarpa stretta al collo tengo su la borsa, troppo pesante e grossa, mangio l’aria fresca e densa in una panna lieve senza sapore. Ed è pulita a sentirla sulla lingua. Le ombre che si muovono intorno scolorano in bianco, spiriti o fantasmi. Il piazzale grande davanti alla hall A luccica e rimbalza, sembra lavato e impegnato ad asciugarsi senza risutato.
Il confine della nebbia, dicevo questo. L’ho notato per la prima volta qualche giorno fa quando sono uscita per l’incontro con un editore. A pranzo in centro. Con il mio piumino pesante e la sciarpa, i guanti infossati nella tasca ho perso tutto a un tratto, a nemmeno un chilometro dal’istituto, il latte chiaro che mi avvolgeva. E ho trovato il sole. I colori ricomparsi come miracoli, il cielo che non ricordavo potesse assomigliare a al mare, e la gente che era gente, in carne e senza sfumature. A pranzo mi sono vergognata del mio piumino, l’editore è uscito solo con la giacca e ho creduto che il freddo e i cristalli di nebbia a grondarmi addosso fossero stati una follia. Non c’erano, era impossibile che li avessi visti sul serio.
Il giorno dopo e quello dopo ancora mi sono trovata ad andare qua e là e sempre, senza un digradare ma con un cambiamento brusco e lontano dal credibile, la nebbia che avvolgeva la casa e l’istituto, la zona della risaie e delle zanzare diventava un’illusione. Scoprivo il sole, il cielo azzurro e perfino qualche nuvola scolpita nell’ovatta bianca dell’inverno. Ed erano ovvii, le persone che incontravo non potevano credere ad altro che alle giornate fredde ma perfette del centro della città.
Ritornando a casa, ieri sera, ho tentato di fotografare. Il risultato, complice il flash scattato senza che lo chiedessi, è orribile. Ma lo pubblico lo stesso. Le fotografie per me sono istanti di vita che per qualche motivo voglio portarmi dietro. Una volta ho fotografato la luna attraverso una grata, oppure un angolo di muro sporco. Queste fotografie hanno significato per me, questo solo conta. Per me che fatico a riconoscermi allo specchio, e non c’entrano le rughe o i chili persi. C’entra che sono cambiata, e le definizioni di prima non valgono più. Ho buttato i “sempre” e i “mai” e mi sono avvolta nella nebbia che placa e rassicura. Ecco, forse questa nebbia è dono oppure metafora. Per giorni o mesi o anni resterò nei chilometri stretti di questa nebbia necessaria. So che c’è un confine, e so che al di là la luce esiste. Ma aspetto, e non fa male. Nebbia e neve mi sono amiche, poi vedremo.
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Questo è realmente un pezzo di bravura. Complimenti Gio
Bellissima la frase iniziale: “Le case con le finestre chiuse, cieche, sono senza vita ” da l’idea tangibile della città che dorme, poche parole e sei lì in quel mondo avvolto dal sopore !!!
E poi questa nebbia che ti tocca, ti avvolge, questa nebbia che è metafora……
Grande Giovanna !
Ma che bello!!Volevo trascrivere ciò che più mi ha colpita, ma avrei dovuto trascrivere tutto. Grazie per tutto quello che ci regali. Un abbraccio
Bellissima fotografia.
E non parlo solo di quella sotto il titolo in alto a sinistra.
non ti piace la mia creazione fotografica sotto il titolo a sinistra, Fabio? non ha qualcosa di miracoloso, quasi una visione trascendente? un’intuizione che supera la percezione, ecco…
Bellissima… ci fai amare anche la nebbia !!!
E’ affascinante il tuo scrivere “chiaro” anche con la nebbia addosso.Un grande abbraccio,Mirka
Grazie per la lettura e i commenti, vi abbraccio
Brava! Brava! Brava!