piccoli ricordi
Siamo fatti di ricordi piccoli.
Al funerale ho raccolto una rosa bianca, staccata dal grande cuscino che stava sopra la bara. E nella bara un corpo. L’ho visto, il corpo vuoto. Porta i segni della malattia e degli anni che ti sono caduti addosso tutti insieme, grigi e spezzati. Gli ho detto ciao, poi ho taciuto: non aveva senso parlarti, non se mi rivolgevo al corpo sdraiato in una camera fredda e tetra. Viene il momento in cui devi essere coerente, se sai che la vita diventa Vita è inutile chiacchierare con l’involucro dell’anima quando è volata via. Magari ce l’hai di fronte, magari ti sfiora una mano e tu ti affanni a non spaccarti il cuore con il dolore di un cadavere che non avresti mai voluto vedere.
Qualche lacrima è scesa, è successo mentre Olly parlava e raccontava l’amore che abbiamo avuto per te. Che abbiamo per te. Però non riuscivo a essere triste, ero incredula e leggera. Soffrivo per Olly, per i tuoi figli e tua moglie, per la tristezza di chi è rimasto. Non per te. Ti sentivo forte, ero serena, curiosa. Sapevo, ma non capivo dove ti fossi seduto a guardare. Sapevo il tuo sguardo fisso su di noi e un po’ divertito. Avevo la certezza che se fossi riuscita a cercare bene ti avrei scovato, perché c’eri. Non certo dentro la bara sotto il cuscino di rose. Ho capito ieri, quando ti ho avvertito dentro l’alba rossa e viola sulla campagna (ancora non sapevo che il tuo corpo fosse morto, l’avrei scoperto dopo qualche minuto), la tua presenza viva sarà silenziosa e divertita, amorevole e quieta. L’ho ritrovata oggi. Ho lasciato girare gli occhi sui volti, centinaia, nella chiesa, mi sono bloccata sulle loro lacrime con uno stupore che avrebbero pensato sciocco. Perché piangete? Aiutatemi a vederlo, qualcuno di voi lo vede? Perché io so che c’è, è qui. Aiutatemi a intuire dove. Ma perché state piangendo? Non è evidente anche per voi? Lo chiedeva un istinto, una parte della mente così libera e fresca che a stento tratteneva il sorriso. Non sono riuscita a vedere il tuo volto ma c’eri, eccome se c’eri. Ne aveva certezza ogni cellula, sentivo (scelgo un verbo, ma dovrei trovarne un altro più adatto che ora non raggiunge le mie dita sulla tastiera) che eri là.
Il confine tra noi vivi temporanei e voi vivi per sempre è diventato così sottile, siamo tanto vicini. Si tratta di scoprire come si guarda meglio, secondo me. Tu oggi c’eri, e non sta parlando la donna emotiva e passionale che so di essere, parla qualcuno che ai funerali di solito si sgretola e piange. Parla chi non sa resistere e crolla. Parlo io, che oggi ti ho visto. Non gli occhi, ma più di loro. E so di avere sorriso, non ce l’ho fatta a trattenermi. C’eri, e anche tu sorridevi radioso e pacato, e zitto. Era la tua Luce a sussurrare l’Amore a chi piangeva.
I nostri ricordi sono piccoli. Non posso evocare grandi momenti di amicizia e confidenza, nessuna frase epocale (o forse qualcuna, ma per me e per te, tirate là nelle giornate di un ospedale che abbiamo amato). Ricordi piccoli, così. Abbiamo scritto insieme. Abbiamo confessato passioni letterarie diverse, imparato e scambiato. Eri imbattibile, non ti stavo dietro. Abbiamo provato a dare alla comunicazione un senso e una direzione. E la malattia, poi. Se conto le parole che ci siamo detti dopo che l’hai scoperta e combattuta esaurisco in fretta le dita delle mani, ma per gli sguardi non è lo stesso. Non ci siamo mai guardati tanto, e a lungo, e senza imbarazzo. Appena ti ho ritrovato dopo l’intervento ci siamo inchiodati al pavimento in un corridoio e ti ho detto cosa vedevo. Mi è scappato dalla bocca, la razionalità ha sussurrato “Sei matta? E’ il direttore”, ma tu avevi già allargato il sorriso. “Lo so”, hai detto. Credevo che te ne andassi invece restavi fermo, volevi sentire di più. Ho compreso in un istante che non avevo bisogno di spiegarti che da qualche tempo succedono strane cose, l’Amore e l’Energia e la Luce e tutto il resto. Non ne avevo bisogno perché vibravi alto e avevi visto anche tu. Immobile, con nessuna intenzione di allontanarti, eri curioso. Chiedevi, hai chiesto con garbo e speranza fino all’ultimo. Anche tu leggevi in me, eri oltre la barriera di una ragione che è buona solo per chi è sano o crede di esserlo. C’era di mezzo Dio, quando Dio arriva (è sempre lì ma non ci accorgiamo, peccato… Pensa al tempo che si perde) si ribaltano le verità. Abbiamo il ricordo piccolo di un contatto fisico muto e discreto, fatto di mani che tentano di dare e mani che vogliono ricevere. E una medaglietta santa che abbiamo condiviso. “Ma tu come fai se la dai a me?”. “Ne hai più bisogno tu, e comunque è lo stesso. Non c’è distinzione, capisci? Siamo tutti separati solo in apparenza”. Abbiamo parlato di Dio con la lingua e la mente, siamo ancora qui a parlarne adesso. Solo che tu fai meno fatica, sento che ridi degli sforzi per scrivere una follia sensata. Riempi la stanza, sono leggera e calma, espansa e gioiosa. Il mio delfino di stoffa sogghigna con il muso appoggiato a un portamatite.
L’ultima volta che ho visto il tuo corpo vivo eri seduto nella penombra. Nessuna parola, fuori dalla porta ricevevo il tuo sguardo. E lo ricambiavo. Siamo rimasti così nei minuti a manciate, non sono entrata e tu non hai chiuso la porta. Mi sono chiesta, nelle settimane, quale fosse il Bene che Dio ti stava offrendo. Perché c’è, il Bene. E’ che non lo comprendiamo. Lo sai tu, adesso.
Abbiamo ricordi piccoli che non si possono spiegare. Per fortuna non c’è bisogno di raccontarli.
Ciao, Leonardo (non è un commiato e non so perché lo scrivo, ma un tocco poetico mi sia concesso). Luce.
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“Mi sono chiesta, nelle settimane, quale fosse il Bene che Dio ti stava offrendo. Perché c’è, il Bene. E’ che non lo comprendiamo. Lo sai tu, adesso” Lui sa sicuramente,lui conosce le risposte a tanti perchè, lui sarà con tutti voi sempre a darvi luce nel luogo che tanto ha amato e per il quale tanto ha fatto. Lui sarà sempre, in ogni persona che ha amato o anche solo avvicinato. Un abbracio
Sono certa che abbia lasciato moltissimo. Nei figli, in tutti coloro che ha amato e che l’hanno amato. Mi colpisce la presenza di lui, lui senza il bisogno che sia negli altri. Non ho risposte, ho solo domande (se proprio voglio usare la razionalità, non strettamente necessaria). “Mi sembra che sia ancora tra noi, vivo”, quante volte l’abbiamo detto di chi moriva? Eppure la calma serena calata dentro di me oggi, lo stupore perché gli altri piangevano e non ne percepivano la presenza reale sono nuovi per me. Certo sono consapevole che esistano letture duplici, triplici di ciò che vivo. E’ che non mi sembra più il tempo di tacere. Racconto per condividere, lascio a chi legge il pensiero unico e originale in proposito.
Si può anche non piangere, ai funerali. Anzi, si dovrebbe non piangere. E’ solo una barriera invisibile di illusione che ci separa dai nostri morti, che morti non sono. Ci credo fermamente.
Ciao Giò. Che bella cosa gli hai scritto, lui sarà contento.
Sì non si dovrebbe piangere ai funerali, mai.Che bella cosa che hai scritto ,mi ricorda un brano letto da qualche parte anni fa che diceva:-Non abbiate paura, mai, e scivolate con fiducia nella dimensione parallela che vi accoglie ma non vi tratterrà finchè voi non lo vogliate.Traslare il piano terreno è opera impegnativa e difficile affidata ai grandi maestri dello Spirito, ora è tempo che anche gli uomini lo sperimentino sulla terra.Coloro che raggiungeranno questa capacità di astrazione, abbandonando il corpo, avranno aperte le porte dell’universo.La sostanza che compone l’universo è puro pensiero, astrazione totale; chi sperimenta questo sdoppiamento sulla terra è come se vivesse due volte: la prima vita si conclude compensando.La seconda, compensata e astratta nel puro Stato dell’Essere,permette di valicare il limite dello spazio e del tempo.Non fate l’errore di confondere questo con la morte terrena.La morte terrena è altra cosa, è la fine del percorso è il catarsi dello spirito che, preparato al passaggio, diventa parte del Tutto.Imparate a visualizzare i pensieri, trasformate le immagini e usatele come fossero un codice binario di comprensione universale rivolgendovi a tutti coloro che hanno bisogno di voi e sono in transito in una dimnsione irrisolta che impedisce loro di lasciare la terra.Aiutate a capire tutti coloro che vi chiedono aiuto, state loro vicini e conduceteli sul sentiero che state percorrendo voi; anche se hanno già abbandonato fisicamente la vita terrena sono in grado di seguirvi in questa impresa.Liberate loro e libererete voi stessi e capirete così l’importanza del vostro compito terreno.Aiutate e sarete aiutati, donatevi totalmente e non abbiate timore.Aiutate tutti coloro che incontrerete, raggiungete e sarete a vostra volta raggiunti dal soffio celeste.Qui chi si dona è accolto e trova pace.-
Lorenza Bonomi, il brano che citi mi interessa moltissimo. La funzione terrena, argomento dominante per me da qualche tempo, e il valico oltre spazio e tempo. Rimanda, per me, a passi di “Un corso in miracoli”, misterioso e potentissimo libro che tanti incontrano quasi per caso (?).
Qui chi si dona e’ accolto e trova pace.
Luce
Inspirare l’universo
e dilatarvisi
vibrando all’unisono:
è la scelta possibile dei vivi.
dimenticare l’inspiro
affidarsi all’espiro
e a p p a r t e n e r e
in pienezza
nel tempo senza istanti
grazie MariaGiovanna. Mi tocchi l’anima.
@Mariagiovanna l’avrai in originale.<3