le parole dei grassi, su “I grassi non hanno colpe” di Chiara Lalli (“La lettura”, Corriere della Sera, domenica 23 settembre 2012)
Ho mangiato cipolle e noci a colazione. Ho tolto il sale dalle pietanze. Ho ridotto le calorie nella più sbagliata e infruttuosa speranza di dimagrimento. Ho dissociato e messo insieme, sono certa di avere incontrato tutti i dietologi, nutrizionisti, alimentaristi, guru, santoni, predicatori, rivoluzionari dell’alimentazione. L’ho fatto perchè ero grassa nel corpo e fatico tuttora a non essere grassa nella mente. Perché le dimensioni del corpo, il volume che occupa sono valori stabiliti dalla mente e solo dopo tradotti nella realtà fisica: se si comprendesse questo si aderirebbe subito, in pieno (come ho fatto io), alla logica del bellissimo articolo di Chiara Lalli su “La lettura” (Corriere della Sera) di domenica 23 settembre. Il titolo “I grassi non hanno colpe” può essere letto in tanti modi: i grassi cioé le persone grasse, i grassi cioè alcuni ingredienti della cucina, i grassi come entità a priori. Ciò che è grasso costituisce ormai un “a priori” che la società tenta invano di combattere, di elevare o sminuire a nemico pubblico perchè si vada dietro al canone assoluto dell’eterna salute attraverso lo stile della vita. Lo stile della taglia del vestito.
L’articolo di Chiara Lalli potrebbe avere un altro, differente ed elegante sottotitolo: “E LA LUCE FU”. Finalmente qualcuno ha capito! Cito testualmente: “Secondo un recente studio condotto da tre ricercatori dello Yale University’s Rudd Center for Food Policy and Obesity, e pubblicato sull’International Journal of Obesity pochi giorni fa, il segreto sta nel non nominare l’obesità e nell’evitare le minacce e messaggi colpevolizzanti. Lo studio, significativamente intitolato Fighting obesity or obese persons? (“Combattere l’obesità o le persone obese?”) analizza la percezione pubblica dei messaggi delle campagne antiobesità… Insomma, tutte le campagne basate sulla colpevolizzazione o la vergogna, tutte quelle che avvertono che essere obeso fa male alla salute e che pesare troppo è una tua responsabilità (“è colpa tua”), che non troverai mai lavoro e che passerai una vita da disgraziato, non solo sono inutili, ma rischiano di essere dannose. Hanno maggiore possibilità di successo gli inconraggiamenti che si soffermano sui vantaggi, evitando di calcare sull’eccesso ponderale o sulla tua irresolutezza…”.
Leggere l’articolo mi ha spinto a un grido di esultanza, con il marito stranito che ha alzato gli occhi dal quotidiano che stava leggendo e i tre gatti fuggiti negli angoli nascosti della casa. Le campagne che colpevolizzano l’obesità (colpevolizzano le persone obese, in sostanza) sono sbagliate e non funzionano. Come non funziona tentare di solleticare l’amore proprio di una persona obesa facendo leva sulla sua intelligenza, sulle recenti notizie della scienza che dicono che vivono di più i magri, sui canoni della bellezza (tra le frasi di incoraggiamento spiccano “grandi classici” come “ma hai un visino così carino”… Come dire che il resto del corpo fa schifo). Non serve ricordare a chi è grasso che se solo volesse potrebbe dimagrire, basta un po’ di forza di volontà, ci vuole il guizzo iniziale e tutto procede spedito. Non è vero.
Ogni parola, ogni singola frase è una decina di grammi in più. Non ho mai fatto mistero del mio passato di cicciona. Ho sofferto di binge eating disorder in una forma piuttosto grave, l’ho raccontato e mostrato, ho voluto testimoniare la mia esperienza perché speravo di dare qualcosa a chi ne ha bisogno. Tra l’altro, il pezzo del mio blog che ha più visite (con maggiore costanza) è questo: “Binge eating disorder – il disturbo alimentare”. Nel 1997 pesavo 117 chili, più o meno. Adesso no. Adesso la tabelle classificherebbero il mio stato come sovrappeso, non mi curo di verificare anche se sono attenta a me stessa perché non mi va di cambiare troppo spesso la taglia dei vestiti e il senso del peso corporeo mi è rimasto in testa. Il mio mio QI sembra piuttosto elevato, non ho avuto problemi a scuola e la professione assomiglia a un risultato fluttuante verso la positività. Ho un bel visino, come nei grandi classici. Non sono più grassa e nemmeno obesa, ma non mi hanno salvato le persone intorno. Non mi ha aiutato mio padre, che ululava per farmi mangiare meno e diceva che non riusciva a guardarmi quando ero grassa, non mi hanno aiutato le anime pie e amiche che provavano a ricordarmi che con un cervello come il mio era assurdo che mantenessi una stazza fuori dalla norma. Non mi hanno aiutato le donne normopeso che, dopo avermi rassicurata sul mio essere “solo un po’ fuori dalle tabelle”, si lamentavano perché nei giorni recenti avevano preso due o tre chili e “si sentivano balene”. Non mi ha aiutato andare da dietologi (variamente intesi) che mi ficcavano su una bilancia e volevano diari, schemi, racconti dettagliati delle mie abitudini alimentari, non mi ha aiutata l’ipnosi. Mi ha aiutato un po’ la psicoterapia, anche se nel tempo ho capito che ha risolto tanti miei problemi ma il cibo resta un compagno di vita assai bizzarro, mi ha aiutato Umberto Veronesi che, lanciato nelle campagne sugli stili di vita salutari, a me non ha MAI detto una parola su ciò che mangiavo e quanto. Ecco, lui mi ha aiutata. Perchè ha capito ciò che è sfuggito alla grande massa: se il problema sta nella tua mente è inutile che ti spaventino, ti seducano, ti sgridino, ti trattino come se fossi deficiente. Scardinare un problema dalla mente è impresa difficile e richiede pazienza, e una dose incommmensurabile di quella intelligenza giusta, delicata, rispettosa degli altri che alla maggioranza della gente non è toccata in sorte. Mi ha aiutata Claudia De Lillo (Elasti) quando mi ha intervistata: ha ascoltato il mio racconto, la tragedia del binge eating disorder (credete che esageri definendolo una tragedia? Trovate un’altra persona che ne soffra oltre a me, e chiedete il suo parere), e posto domande curiosa, con gli occhi puliti e nessuna voglia di giudicarmi. E’ stata la migliore intervista che abbia ricevuto.
Lavoro all’Istituto Europeo di Oncologia dal 1994, con un intermezzo belga per fare ricerca. Alcuni colleghi sono gli stessi dei primi periodi, e nei primi periodi pesavo 117 chili. Mi hanno vista ingrassare, dimagrire, ho perso 40 chili davanti ai loro occhi, ogni tanto risalgo un po’ poi scendo di nuovo. E con precisione assoluta ricordo chi di loro mi trattava come un’imbecille quando ero grassa e adesso, invece, complici la forma fisica gradevole, la posizione accanto al Direttore Scientifico, il mio contributo lavorativo (spero) e il marito, sono diventati amici e buttano lì anche due o tre parole lusinghiere sul mio corpo. Altri mi hanno sempre tratta bene, non hanno commentato il mio peso e il mio aspetto e ricevono la mia stima da sempre. Perché non avete idea di ciò che esca dalla bocca della gente di fronte a una persona grassa: battute apparentemente innocenti oppure salaci, considerazioni a mezza voce o voce piena, discriminazione palese che nessuno si cura di bloccare solo perché gli obesi – vogliamo ammetterlo? – sono brutti da vedere. Sapete chi è l’unica persona che può dirmi cicciona, ora per scherzo ma prima no, senza perdere un milligrammo della mia simpatia? Alberico Lemme, che svetta (con buona pace dei laureati in medicina) nella mia personale classifica dei “dietologi” perché non solo mi ha aiutata a dimagrire ma ha capito cosa si muova nel cervello di chi ha un disturbo alimentare, e se ti tratta male non lo sta facendo sul serio (ha un distacco evolutivo da tutto ciò che è emotività), ma fa parte della cura perché in quel momento hai bisogno di essere spronata così. Ci sentiamo ancora, con Lemme, per chiacchierare di scienza e ricerca e ridere della sua apparente asocialità, anche se ormai mangio come la mente mi detta e ho deciso che mai più permetterò a qualcuno di aprire bocca sul mio aspetto fisico. Qualcuno ha la curiosità di andare oltre gli insulti dei “tradizionalisti” e scoprire qualcosa sul panorama dietologico italiano? Sono pronta, posso raccontare ogni dettaglio. Perché ho vissuto e “mangiato” ogni esperienza. Come le cipolle e noci a colazione.
Mi è venuto spontaneo stabilire un parallelismo tra le campagne contro l’obesità e quelle sulla diagnosi precoce del tumore al seno. Perché le campagne che criminalizzano le persone che mangiano troppo non funzionano e l’invito a fare diagnosi precoce invece è stato ed è efficace? La risposta è semplice: la diagnosi precoce non ha mai fatto leva sulla paura, almeno quando è stata condotta con coscienza e professionalità. Il tumore fa paura da solo, inutile metterci sopra un carico ulteriore attraverso le parole. Dire a una donna che se non fa i controlli rischia di morire per un tumore al seno avanzato (perché non scoperto in tempo) non fa altro che allontanarla dagli ambulatori, la spinge a rifiutare, dimenticare ad arte la chiamata per la mammografia di screening. E crea il devastante dubbio, se il tumore arriva davvero, che ci sia una “colpa” nell’essersi ammalati. Il fatalismo è anche figlio della paura, e la paura nasce quando chi dovrebbe comunicare certi contenuti non è capace di farlo. “Una donna su nove-dieci va incontro a tumore al seno nel corso della vita”, quando non sei tu a dirlo te lo fanno dire: vogliono alzare la palla sotto rete in previsione della schiacciata, altrimenti non catturano l’attenzione. Se dici che una donna su nove-dieci va incontro a tumore al seno crei il terrore, ogni donna in ascolto attraverso i media prova a contare la propria cerchia di amiche e familiari e si chiede se il dazio sia già stato pagato da qualcun altro. Ricordo la prima volta che mi trovai a leggere un testo scritto da qualcuno che si occupava dell’informazione sul tumore al seno: diceva che la diagnosi precoce è una bellissima cosa perché è rispettosa del seno, la maggioranza delle volte permette di scovare piccolissime lesione che non sono ancora tumorali, e se lo sono possono essere tolte con chirurgia e successive cure minime. La paura c’è lo stesso, ma si sceglie il minore dei mali: tutte abbiamo paura di fare gli esami, ma sarebbe peggio non farli. Ogni anno mi sottopongo agli esami prescritti per la mia età, e nel 2008 ho avuto la diagnosi di precancerosi dell’utero: dopo l’intervento tutto è andato bene, ma ho potuto sperimentare (ne avrei fatto a meno) l’impatto della scoperta, dell’ansia, della rivelazione, delle cure… Per mesi ho maledetto il momento in cui ho deciso di andare dal ginecologo per la visita di routine, poi ho capito che mi ha salvato la vita. L’ho capito dopo, continuo ad avere una paura tangibile quando ripeto ecografia mammaria, mammografia, visita ginecologica. La paura sta nell’idea della malattia, è sbagliato dipingerle addosso colori ancora più neri sperando che serva per motivare la gente alla prevenzione.
Ritorniamo ai grassi, ai ciccioni che hanno la colpa per la loro obesità e sono oggetto di discriminazione da parte dei legislatori, delle assicurazioni, degli stilisti, dei commessi nei negozi di abbigliamento (“Qui per lei non c’è niente”) e della voce del popolo (se sottrai fondi a una Regione è grave di per sè, dovremmo evitare di stigmatizzare anche il tuo aspetto fisico… O no?). Renderli colpevoli agli occhi del mondo non serve. Hanno un problema, ed è un problema subdolo e tenace che si nasconde nelle pieghe meravigliose della mente. Quasi nessuno ha davvero un difetto del metabolismo, quelle sono pietose bugie che le mogli raccontano ai mariti che si lamentano perché le vedono ingrassare. Il punto è che i mariti dovrebbero tacere, non amano forse le loro mogli per ciò che sono e non per lo spazio che occupano a letto?
Cosa serve per comunicare, fare prevenzione e curare chi soffre per un disturbo come il binge eating disorder? Serve accettare che queste persone non si amano, e finché non scopriranno la bellezza meravigliosa dell’amore per se stessi non si difenderanno, non tireranno fuori la rabbia contro il sopruso di chi le tratta come mollicce creature senza volontà e non dedicheranno a se stesse l’attenzione giusta. Amarsi significa iniziare a scoprire che si è belli ora, adesso, così come siamo: ogni giorno si aggiunge un pezzo a questo amore, e, per magia, la taglia si ridimensiona. Perché chi ama se stesso non ha bisogno dei consigli dei dietologi, alimentaristi, nutrizionisti, guru, espertoni televisivi che dicono che poco di tutto ti fa stare bene (?): ha l’Amore e si riempie, si riveste, si modella, e smette di farsi male.
Smettere di farsi male è cercare ciò che è giusto per noi. Qualche volta mangio ancora cipolle e noci, perché ho scoperto che mi piacciono.
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Sei semplicemente fantastica. E ciò che adoro è il fatto che non hai mai timore di andare controcorrente, mi riferisco a dietologi e affini. Grazie per questo articolo, grazie per l’onestà intellettuale che metti in ciò che dici e fai. Un abbraccio
Grazie, Lucia. Per me il peso corporeo e’ stato davvero un tormento enorme. Per questo rinunciò a ogni retorica o a ipocrisie inutili. Le diete ipocaloriche non funzionano con le persone che hanno un problema importante di disturbo alimentare, e le “dissociate” in verità non arrecano danno se portate avanti in modo intelligente. Quanto ad Alberico Lemme… Pochi conoscono la letteratura scientifica quanto lui, ciò che crea disagio e’ la sua scelta comunicativa. A me importa l’aiuto concreto che riesce a dare. Che l’ormone insulina sia responsabile dell’aumento di peso (e, a quanto pare, di un rischio di tumore aumentato) e’ realtà scientifica. Come si tiene a bada il livello di insulina? Ecco la domanda vera, non si tratta di contare le calorie.
Ho incontrato altri dietologi in gamba, certo. Il punto alla fine non è la scelta del dietologo, ma il momento in cui si comprende che amare se stessi nel modo giusto (adesso, ora, come sono in questo momento) vale molto più di uno schema dietetico.