e ti guardo

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Qualche volta succede, esci prima di me e ti incammini nel corridoio, la mano destra aggrappata a una valigetta pesante e la sinistra libera di frugare nella tasca della giacca per scovare il telefono. Non ti accorgi o forse fingi di non vedere. Ti seguo, osservo i tuoi passi che hanno un rumore unico, una specie di metallo secco che batte e rimbalza e non ha pause lunghe. Tac, tac, tac. Vai veloce o lento, ma il rumore non cambia. Quando arrivi e ti avvicini alla nostra porta sono i passi ad annunciarti, e non si sbaglia: sei tu e tu solo. Regolare, pacato, svelto. Insomma, se esci prima di me riesco a venirti dietro e so cosa fai. Sulla scala hai un moto di fastidio, non ti piace il cigolio della maniglia e non ti piace che il tuo cellulare abbia troppi sms accumulati nelle ore di lavoro. Scendi tre piani con le scarpe che quasi scivolano sul margine di ogni gradino, saluti con un cenno della testa quando incontri qualcuno e non ti fermi. Leggi i messaggi con tocchi rapidi, automatici delle dita sul cellulare. Li scorri nervoso, un commento stizzito a mezza voce qua e là o un sorriso in abbozzo se una sorpresa piacevole ti coglie e non sai ributtarla indietro. I messaggi ti rendono nervoso e non hai segreteria telefonica, non ricordo più quando lo hai detto. Accendere il telefono e scoprire che tanta gente ti ha cercato rovina la tua giornata e ti spaventa, come quando, anni fa, un ospedale non riusciva a trovarti per farti correre in pronto soccorso: tuo figlio era caduto dal motorino, si è ripreso solo dopo una settimana di rianimazione. Detesti che nel telefono esistano tracce di chiamate perse, ti guardavo fisso mentre lo spiegavi. E lei c’era, era seduta un paio di metri in là e ha annuito: è stato più forte di lei, non avrebbe dovuto ma ha mostrato a tutti che ti conosce, che sa come pensi e cosa ami. Laura ne è gelosa: la vostra relazione la fa arrabbiare, subisce il tuo fascino e si chiede come abbia fatto a conquistarti.

A me non interessa. Il tuo fascino, intendo. Sono curiosa di te, dei tuoi passi, dei gesti e dei pensieri, ma non mi avvicinerei oltre la distanza normale e quieta del lavoro, dei pedinamenti innocui fino al parcheggio. Il primo giorno ho notato l’alone giallo oro che ti circonda, una luce tremula e vivida intorno al tuo corpo che si spegne se sei stanco o confuso. Giallo oro vivace. La mano sinistra fruga nella tasca, afferra il cellulare e gli occhi lo scrutano, la mano destra tiene su la valigetta pesante. Solo una volta hai premuto un tasto con il pollice e richiamato qualcuno.

– Sai che non voglio che mandi messaggi, è pericoloso. Se lascio in giro il telefono a casa poi…

A casa. Hai una lei anche a casa. L’ho vista in una fotografia comparsa fuggevole sullo schermo del tuo computer, l’hai nascosta dopo due o tre secondi e, rosso in volto, hai sussurrato che era tua moglie. Lei, l’amante che mostra di conoscerti bene, ha spostato lo sguardo senza sorridere. Ho immaginato che fosse gelosa e ne avesse motivo: ami tua moglie, la luce giallo oro avvampava arancio mentre nascondevi la fotografia. E posso accorgermi dell’odore delle vostre notti quando arrivi un po’ più tardi e sorridi largo: hai l’erotismo attaccato ai gesti, alle mani, ai respiri fondi. Un afrore selvaggio che nessuna doccia potrebbe togliere.

E ti guardo, sai. Il taglio dei capelli esatto, da direttore. Le scarpe costose. L’indifferenza di chi non può, non vuole amici lì dove lavora. Amanti, quelle sì, ma amici mai.

Ti seguo con il tac, tac, tac dei passi e la valigetta che oscilla al tuo fianco destro, non hai idea della mia presenza dietro. Sto attenta, e non sarebbe neanche necessario perché non ti sei mai accorto di me. Sai che esisto solo perché ti preparo il caffé alle undici e appoggio piattino e tazza sulla tua scrivania.

– Già girato?

Chiedi, e io non lascio uscire la voce: annuisco, basta il fruscio lieve del mio volto che va giù e su e mi ringrazi, poi lasci che me ne vada. Ritorno due ore dopo, quando ti incammini verso la mensa insieme a lei. Vedessi come si illumina se la inviti a mangiare con te, e come mugugna amaro se non hai tempo o scegli qualcun altro! Entro nel tuo ufficio lenta, beata della tua assenza e mando giù nei polmoni il tuo odore. Perfino l’inchiostro della stilografica che tieni nel taschino ha un odore speciale, me lo ricordo la notte, sveglia, con i sogni di te e me che a nessuno posso confessare. Ritiro la tazza e il pattino e con il palmo cancello le minuscole briciole dei biscotti che hai nel cassetto. Te li regala lei, tutti i lunedì, nascosti nelle pieghe della mano: mi saluta e finge di strisciare lungo il muro, apre la tua porta quasi senza bussare. Li mangi insieme al caffè, tre biscotti metà bianchi e metà neri di cacao. Tre, il numero perfetto: sorridi imbarazzato se ti vedo masticare.

Tac, tac, tac. Allunghi la mano sinistra avanti, con il telecomando apri le portiere. Appoggi la valigetta sul sedile del passeggero, siedi e sistemi la giacca. Prima di avviare il motore agganci la cintura di sicurezza e dai uno sguardo allo specchio retrovisore. Il taglio dei capelli si riflette insieme alla luce giallo oro.

E io. Io ti guardo.

Le tracce dell’amore non sono troppo difficili da cancellare.

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Showing 3 comments
  • lucia
    Rispondi

    Bello

  • Bianca 2007
    Rispondi

    I tuoi racconti a me così cari.
    Un grande abbraccio,MirkaBianca

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