e non guardo
PREMESSA NECESSARIA. Da qualche tempo ho deciso di scrivere tutto e abbandonare ritegno, silenzio e timore. Apparirà chiaro nel 2013, quando uscirà il romanzo ambientato in un istituto oncologico. Per anni ho creduto che scrivere la vita da medico, gli incontri e le relazioni della mia parte di professione in oncologia fosse impossibile o non desiderabile. Poi ho capito che ogni cosa è vita e la scrittura è ciò che sono. Quindi niente più silenzio, non potrò né vorrò più tacere, qualsiasi costo abbia la decisione.
Tuttavia, nel mio cuore impera la tutela della privacy e della sensibilità delle persone che incontro ogni giorno come medico. Sottolineo quindi che i racconti, i pensieri, i pezzi di parole non fanno riferimento diretto a qualcuno, ma sono spunti, sintesi, riassunti, ispirazioni. Una persona A con la malattia B è l’astrazione nata da tante persone X, Y, Z, W con malattie che non sono mai la stessa. So che tanti pazienti mi seguono, e ne sono commossa. Parlo per voce loro, ma non parlo di loro.
Resto seduta e tu esci dalla stanza. Cammini piano, la stretta di mano lunga ancora assapora il palmo e il mio polso. Il computer assiste, immobile. Ho scritto un referto veloce, capita ancora che qualcuno faccia battute o noti quanto rapide siano le mie dita, ma è raro. Sanno, quasi tutti, che scrivo libri e la tastiera è la mia compagna di vita. Scrivo come un treno perché altro non faccio, se non amare. Qui e fuori, qui e a casa, qui e in barca, qui e. E.
Ti ho promesso che controllerò gli esami che ieri erano pronti solo a metà, ho detto che non devi preoccuparti perché avrò cura di osservare, scrutare, passare al setaccio della mia scienza (e della coscienza) le immagini e i referti. Sei entrata sorridendo, la visita non era per te. La tua amica, forse una vicina di casa, non ha mai fatto una mammografia, così l’hai convinta nelle serate fredde davanti alla stufa e nelle passeggiate mattutine fino al mercato. Come fa a rifiutare la prevenzione? Dio santo, bisogna dare retta ai medici! E’ vero, non sempre azzeccano ma sono lì per darti una mano. Ha preso l’appuntamento, dispiegato l’impegnativa sepolta nella borsa e le hai tenuto il braccio mentre aspettava gli esiti seduta in corridoio.
Ricordo chi sei. Tuo marito è morto, i tuoi figli ti amano ma vivono lontano: quello piccolo sta in Inghilterra, ripesco nella memoria i tuoi voli per andare a controllare che tutto fosse a posto e i timori per la fidanzata nuova. Dovrebbe essere sua moglie, ormai, e se non lo è significa che è fidanzata ma non più nuova. Perché a pensarci bene ti conosco da sette anni, oppure otto. Si perde il conto, seduta al di qua di una scrivania o in piedi accanto al lettino dove ti stendi e alzi le braccia sopra la testa per lasciare che ti tocchi i seni.
– Si metta seduta, le gambe verso di me. Ha disturbi, problemi, cose da chiedere?
Ogni volta che lo ripeto mi sento scema. Sempre-le-stesse-parole. Quante siete, e quanto tempo è che dico la stessa cosa? Possibile che non trovi una formula meno scontata? D’altra parte dovreste capirmi: la posizione è quella, seduta con le gambe verso di me, dal lato del lettino dove io sono. Perché voglio esplorare con le mani i cavi ascellari, le ascelle insomma. Pensate che le ascelle siano chissà dove, invece i linfonodi si sentono contro il torace, appena accennati verso l’attaccatura del braccio. Comunque. Hai accompagnato la tua amica, e a me è sembrato strano non ricordare la nostra ultima visita. Non ho ordine, non sono meticolosa, ma puntuale sì. Anzi, arrivo prima degli altri. E la sensazione vaga e netta di averti visto troppo tempo fa rispetto alle prescrizioni non può fallire.
– Come sta, lei?
Hai scosso la testa, contenta a metà perché mi ero ricordata della tua assenza. Da un paio di anni non sei venuta qui con la cartellina piena di esami: mammografia, ecografia mammaria, esami del sangue eccetera.
– Me ne sono capitate…
Ti sei seduta, la tua amica ti ha sfiorato la mano. Mi sono scusata con lei, le ho sussurrato che non avremmo perso tempo e le avrei dedicato la mia attenzione ma volevo sapere anche di te. E giù parole e parole: metastasi, nuovo tumore, versamento pleurico, linfonodi, chemio, intervento, recidiva, marcatori. Chi ci legge ora non sa, non è tenuto a sapere. Il medico ricorda i volti, i nomi (magari non proprio giusti, li storpia ma il senso rimane) e lo stato di salute. I controlli sono un rito a corona del Rosario: dieci Ave, il Pater eccetera. Se spezzi il ritmo qualcosa non funziona. Con te non ha funzionato: appena dopo una visita il seno andava benissimo e gli esami del sangue anche, ma il polmone ha collassato. E chi ci pensava, al polmone. Bravi tutti, dopo. Non un colpo di tosse, nemmeno una linea di febbre come punto per la bandiera. Niente. E il polmone ha collassato. Poi il mondo ha iniziato a girare a rovescio. E di noi – medici, chirurghi, scienziati, psicologi, compagni – non ti sei più liberata.
Ti ascolto. Dico che mi dispiace. Perché davvero mi dispiace, altro non so pensare.
– Oggi sono venuta ad accompagnare la mia amica, ma ho fatto anche un paio di esami. Ecografia, mammografia. Sa, ho terminato la radioterapia da due settimane e la chemio è sospesa da un mese. Dopo due anni di tormento, anzi forse sono due anni e mezzo… Insomma, meno male che per un po’ ho finito. Incrociamo le dita, che il cancro se ne stia lontano. Che ne dice, può sbirciare i miei esami domani? Così non devo ritornare, prometto che mi farò vedere da lei tra sei mesi ma ora no. Ora rivoglio la mia vita.
Annuisco, visito la tua amica. Annuisco ancora. Domani, domani, domani. I tuoi esami saranno pronti, potrò controllare anche le immagini e ingrandire, analizzare, giocare con le tue tette sparate in video e digitalizzate. Stringo la tua mano.
– Stia tranquilla, a domani.
E non guardo, sai. Ho il computer acceso, non sono stanca e neanche pigra. Aspetterò l’ora migliore e ti dirò che tutto va bene. Ma gli esami no, non li guardo.
Il dramma delle metastasi, il tumore che ti pressa da vicino infiltra le parole, il respiro, la tua voglia di vivere una pausa. Una pausa, per favore. Requie. O requiem, non importa. Basta che la malattia stia zitta.
Poi ridivento io. Click, due volte. Il tuo nome, gli esami e la data. Vanno bene. Niente di rilevante. Ma è come se non avessi visto, ti avevo già telefonato con la gioia nella voce. Lo avrei fatto in ogni caso. Ti avevo già rassicurata prima. Senza sapere, senza guardare.
La tua tregua e la mia. I tuoi esami dormono, e non li guardo. Chi ha qualcosa da dire alzi la mano.
E’ l’ora dell’assenza di noi. Dei tuoi giorni, settimane e mesi nella tregua che ti è concessa. E i tuoi esami sono qui, nascosti nel silenzio e decisi da me senza un computer a supporto della diagnosi.
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… Ora non hai bisogno di esami, sei viva in pieno…