sabato mattina, e piove
E non è rilevante. Che piova, intendo. Perché la scrittura non dipende dal clima, nasce al sole o sotto la neve, con l’orizzonte pulito o in un cielo meraviglioso denso di nuvole. Adoro le nuvole, sono innamorata del cielo quando disegna opere perfette e imprevedibili. Ieri, affacciata sul mare tempestoso a Lavagna, ho potuto fotografare capolavori subito condivisi con amori e amici via sms e, in un paio di casi, anche su Facebook. Metto le foto nei social network con la sensazione del dono e la curiosità di conoscere le reazioni, i commenti, i sentimenti che si possono dire. La compassione delle nuvole quando placano l’arsura di giornate caldissime, il gioco plumbeo se formano cappe cangianti eppure spaventose, protettive e irrimediabili. Ci siamo fermati in cima a Zoagli appena al tramonto, ho afferrato il telefono cellulare e scattato a caso. Obiettivo avanti, dita che premevano modulando la rapidità per non bloccare gli scatti. E ho scoperto, dopo, le immagini di un vulcano che eruttava fumo compatto, pastoso, carneo e nero, blu feroce. Era il monte di Portofino con un’unica zattera di nuvole, un tappeto che sembrava nascere alla sommità e spargersi intorno. La luce non riusciva a morire, occhieggiava impavida e beffarda e ricordava “ci sono”. Come sul lungomare di Chiavari, poco prima: il sole calava sputando magma di luce perfetta, si infilava sotto la coltre di nubi e rimbalzava sul mare. Appoggiata a una colonna picchiettavo sul Galaxy per correggere un comunicato stampa giunto da IEO fuori tempo, come sempre urgente, e ridevo al telefono con l’ufficio stampa. Ma lasciavo gli occhi e la mente là, nella nuvole e nella luce che avrei forse potuto toccare. Tuffarsi nella luce e imbottirsi della quieta delle nuvole, e sentire, avere, impossessarsi dell’odore freddo della tormenta quando arriva.
Questa mattina piove. Aperte le poche finestre del mio rifugio, ho prefigurato il giorno sulla tastiera, sulla BIC e su giornali e libri. Una specie di ristoro, e peccato per chi, come alcuni miei amori, soffre il clima bigio. A me oggi arriva la voglia di sapere, meditare a cervello acquoso e felice, buttare giù appunti e pagine. Ho dato la solita occhiata all’Huffington Post e scovato un articolo sull’errore medico, ripensato all’avventura di “Crimini bianchi” e a quanto abbia imparato da allora. Ho imparato che gli errori dei medici sono nutrimento per i media e per la rabbia della gente, quella rabbia generica che bisogna tirare fuori per forza, senza finalizzarla o permetterle di esercitare il diritto-dovere di una critica. La medicina è tuttora il più grande mistero di ciò che tutti credono di conoscere. Un paragone calzante tra errore medico ed errore in aeronautica è la base di alcuni corsi che io stessa ho frequentato (e che, guarda caso, proiettano puntate di “Crimini bianchi” come esempi di ottima realizzazione creativa sugli errori in sanità): una catena di eventi porta all’errore, se non si tiene questo nella mente si sbaglia giudizio. E non si lavora per migliorare. E’ capitato a tutti i medici, l’errore. Anche a me. Più di una volta. Succede in qualsiasi professione e anche in medicina, ed è sciocco e semplicistico credere che siano solo i pazienti a soffrirne. Sono stata paziente, più volte, e una di queste volte, nel 2000, un tecnico di radiologia e un medico dell’ospedale di Cassago Brianza non si sono accorti di una gravissima frattura di alcune vertebre in seguito a un incidente mentre ero volontaria su un’ambulanza. Addirittura, in quella notte tragica ma fortunata (le fratture, per un miracolo, non hanno provocato una paralisi), qualcuno tentò di dimostrarmi che il mio dolore era un’esagerazione, una simulazione.
– Alzati, su, alzati e non frignare. Cammina, dai.
Se avessi dato retta a quell’uomo forse non avrei più camminato. Preferii tenermi l’etichetta di fifona e restai ferma, nell’attesa che un’altra ambulanza, in sostituzione di quella disintegrata nel’incidente, mi portasse all’ospedale di Merate. Sbagliarono, quella notte, e sbagliarono grosso. Però un chirurgo in pronto soccorso suturò le mie ferite in viso con maestria, fece il proprio meglio per la ferita sulla coscia destra (oggi mi basta non guardarla, e comunque l’ho accettata) e mi trattò con gentilezza.
– Ti è andata bene. Sono chirurgo plastico, sai.
Aveva ragione. Sul mio volto l’incidente non si vede più. La coscia è un’altra storia, ma non è colpa di chi ha suturato.
Nell’ottobre del 2000 conobbi l’errore medico, lo ricevetti. In seguito, poi, sbagliai a mia volta. Errori piccoli oppure più grandi, sempre vissuti con il ricordo indelebile e l’autocritica, e la voglia di comprendere e non ricadere. Accettai di lavorare per “Crimini bianchi” con Giorgia Mariani e Dante Palladino e contribuii alla stesura della maggioranza delle sceneggiature. Poi la fiction andò male. Perché? Chi la rivede oggi in dvd scopre che era costruita bene, non criminalizzava affatto i medici (il titolo era fuorviante) anzi provava ad analizzare cosa accade nell’errore vero o presunto. Cosa accade quando un paziente accusa falsamente un medico, anche. Perché non fu seguita dal pubblico? Le spiegazioni sono tante e complesse, ci fu anche una programmazione tendenziosa da parte della Rete che la mandava in onda, ma non posso evitare di credere che sia tanto più comodo protestare, ululare contro l’errore medico facendo scena sui giornali e in TV piuttosto che fermarsi e analizzare, riflettere, collaborare per affrontare il problema.
Sapete cosa succede quando un medico suggerisce a un paziente di segnalare un presunto errore all’organo ospedaliero competente?
– No, ora ci penso, ma no… Lasciamo stare, dai. Non vorrei che…
Non vorrei cosa? Che qualcuno se la prendesse con te? Poi però su internet, gigantesca vetrina acritica, compare di tutto. Che la diffamazione è niente, a leggere bene.
Ai tempi di “Crimini bianchi” tanti medici non fecero una grande figura. Boicottarono addirittura con la diffida ai pazienti di seguire la fiction. Per alcune settimane ebbi la sensazione di vivere altrove, in un mondo che non era più il mio. In effetti non era il mio ma lo scoprii dopo, quando mi decisi finalmente a fare lo scrittore senza temere le conseguenze.
L’errore medico, chissà perché dalle nuvole sono arrivata qui. E’ stato l’articolo sull’Huff Post. E forse è la pioggia. Scopro ora, goccia dopo goccia a rimbalzare sul balcone, che ho perdonato e compreso gli errori di Cassago Brianza la notte del mio incidente stradale, sto perdonando me stessa (piano, ci vuole tempo) per gli errori che io stessa ho commesso e amo le nuvole, e i disegni perfetti nel cielo.
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Tutti sbagliamo,MariaGiovanna,anche lo stesso Dio creando la SUA creatura e maledicendola poi per il reato di ribellione. Ma venne una Donna,permise, accogliendo e altro e,tutto ebbe il suo “senso.Di creazione,di sbaglio,di redenzione,l’umiltà del cuore a riconoscerlo nella bontà che rende simili (quasi) a Lui.
Ma oggi piove e noi ringraziamo Dio,consapevoli che,forse,domani sarà cambiato in sole.Un sole freddo che bagnerà le ossa.Ciononostante noi ringrazieremo ugualmente il Dio.
Eri a Lavagna ieri? Che bello! Il mare. Io in compagnia di mia madre,nella campagna (bella) avvolta dalla prima nebbia mentre il sole buttava fuori la testa.
Interessante la foto.Brava anche in questo lampo.
Un bacio e un’abbraccio,Mirka