racconto di vita… da un’amputazione di romanzo – assaggio

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–       Avete speso molti soldi per le nuove attrezzature del centro di radioterapia, cosa chiedete in cambio al vostro personale?

–       Che si comporti come sempre, cioè lavori al massimo e si aggiorni e non dimentichi mai la centralità del paziente. Ma siamo certi che l’investimento sia destinato a dare ottimi risultati, con beneficio per le persone che soffrono.

Francesca sorrise, Silvia inspirò a fondo quando la registrazione fu ferma e la giornalista troppo magra e con la pronuncia impostata si rilassò e lanciò un commento soddisfatto a Agazzi.

–       Accidenti, che caldo. Non sapevo che la luci della televisione facessero sudare così.

–       Altroché.

–       Capita spesso che vengano i giornalisti?

–       Sì. La medicina è argomento che tira, l’oncologia fa una paura matta ma se parli di prevenzione tutti ti ascoltano. Occhio a Agazzi, scommettiamo che viene da te?

Agazzi si alzò, finse di sgranchire le gambe e approfittò per dedicarle un sorriso. Come Francesca aveva previsto, si avvicinò.

–       Allora, dottoressa Airoldi, è soddisfatta della mia performance o ha qualcosa da dire?

–       Perfetto, assolutamente perfetto.

–       Lo direbbe in ogni caso. Comunque sembra andata bene. E lei, cara dottoressa Giustini?

Ottimo, perfetto, concordava con Francesca; si aspettava che anche con lei sfoderasse battute acide, invece notò che le credeva. Agazzi aveva lo sguardo inequivocabile dell’uomo che giudica una donna solo per le potenzialità a letto. Non amava Francesca, era evidente, ed era ricambiato: a vicenda si temevano e criticavano, la pace armata labile e falsa era scritta nei loro scambi e nel tono metallico delle voci.

–       Va bene, ritornerò a lavorare. Grazie, dottoressa Airoldi, per il supporto, anche se l’avrei gestita comunque da solo.

–       Non ho dubbi. Lieta di essere stata utile.

–       Dottoressa Giustini, se ha voglia di raccontarmi come se la cava da Solda la mia porta è aperta. Oppure preferisce la compagnia di Francesca Airoldi?

L’allusione fu tanto palese da suscitare una smorfia nell’uomo che a passi rapidi li raggiungeva. Francesca deviò lo sguardo.

–       Bene, adesso abbiamo il professore. Il radioterapista migliore del mondo! Tempestivo, il discorso stava scivolando verso chine poco scientifiche. Il nostro meraviglioso Roberto, benvenuto! Il grande capo ha terminato lo show.

Francesca ringraziò ancora Agazzi, che le dedicò una stretta di mano cortese e rapida e se ne andò.

–       Silvia, hai conosciuto Roberto Sestini, vero?

–       Certo, finora ci siamo frequentati poco ma è stato gentile: appena l’università mi ha assegnata a questo istituto mi ha proposto una visita in radioterapia e ha spiegato i dettagli in modo chiarissimo. I radioterapisti di solito sono alieni, soprattutto per chi fa chirurgia: ricevere questo invito è stata una sorpresa. Confesso di non avere mai badato alla sua materia, invece ho scoperto che è affascinante. Radiazioni da maneggiare con una precisione millimetrica, addirittura radiochirurgia. Usare i raggi come una lama per operare la gente: ne avevo sentito parlare ma mai avevo visto quelle macchine in azione.

–       Eh, il nostro Sestini è speciale.

–       Calma, ragazze. Non esageriamo. Come tutti i torinesi reggo malissimo l’adulazione. Dottoressa Silvia, diamoci del tu, va bene? Mi permetto di proporre un approccio confidenziale dall’alto della mia classe 1952. Francesca, dimmi qualcosa di queste interviste, ho visto arrivare il tuo messaggio email e mi sono vestito bene per non farti sfigurare in televisione ma non ho idea di cosa devo dire.

–       Devi dire che abbiamo aperto un nuovo favoloso centro con tecnologia avanzata.

–       Beh, allora solo la verità. E’ un sollievo, qualche volta siamo costretti a mentire.

–       La verità può nascondersi dentro una bugia. Dipende da come gliele racconti, caro il mio Sestini.

–       Francesca, sono vecchio per la filosofia. Piuttosto come sei riuscita a fare incazzare Agazzi? Ho fatto in tempo ad ascoltare l’ultimo spezzone della vostra brillante conversazione.

–       Chi lo sa. Non è che si incazza, mi detesta e basta. Voleva restare solo con Silvia e ha trovato il modo per lanciare una frecciata.

–       Sì, mi è parso che ironizzasse sulle solite cose.

–       Cioè i miei gusti sessuali. Non mi interessa. Sa pensare solo al sesso, ne fa troppo poco.

La giornalista entrò nel loro campo visivo. Salutò Sestini e gli mostrò la scaletta, propose una pausa di mezz’ora per una serie di modifiche da apportare al materiale girato. Francesca provò a protestare, ma Sestini risolse l’accenno di crisi.

–       Andiamo da me. Così la nostra specializzanda in chirurgia ripassa un po’ di radioterapia.

Camminarono lenti fino alla scala mobile, scesero aggrappati al corrimano nero commentando la relazione difficile tra Francesca e Agazzi, poi imboccarono il corridoio lungo senza finestre con le lampade nascoste che dal pavimento irroravano la luce gialla. Quanta gente sfioravano nella loro passeggiata noncurante? Lasciò che le voci di Francesca e Sestini si perdessero in un sottofondo incomprensibile, voleva abbandonarsi alla danza lieve di una meditazione assente. Un impasto di energia e fluidi, magma caldo e odoroso di malattia, speranza, paura, mezzo di contrasto radioattivo, reagente per stampare le immagini, scoppi di pianto e gesti nervosi di dita sudate. Notò Antonia entrare in radiologia, sorrisi e un paio di scarpe rosse, e pantaloni attillati, mosse la testa per salutare e ne respirò l’esuberanza e il trucco perfetto sugli occhi enormi: aveva la parrucca, lunghi capelli castani scendevano ai seni e sembravano appena districati da un pettine sottile.

–       Il solito controllo, Francesca. Più l’ecografia dell’addome che mi hai chiesto.

–       Brava, poi vengo a vedere.

Poi vengo a vedere. Sarebbe andata, manteneva le promesse. Le manteneva perfino con i morti, le voci dicevano che si prendesse cura dei figli di una paziente vinta dalla malattia un paio di anni prima. Non era un argomento che le piacesse affrontare: lo sapevano gli altri, a lei non veniva in mente di parlarne.

Sestini rallentava, non riuscì a concentrarsi per cogliere lo scambio di battute con due infermiere. Preparò un sorriso vacuo, il torpore la rilassava e tenere la bocca chiusa le regalava il senso di una solitudine ristoratrice.

–       La cena del direttore scientifico, l’avevo dimenticata!

La voce di Francesca le scivolò addosso. Una cena, ogni anno il direttore scientifico la organizzava e invitava tutti. Non aveva ancora deciso se partecipare o meno, le attenzione dei colleghi qualche volta erano faticose. Però adorava perdersi in due o tre bicchieri di vino e ballare senza freni, con un vestito corto e i seni nascosti appena: poteva toccare, assaggiare, annusare il desiderio degli uomini che le si facevano intorno.

Con il pensiero ritornò a Antonia: era da sola? Non aveva notato la madre o il fratello, forse aveva chiesto che la aspettassero nella hall. Gli esami del sangue non erano buoni (li aveva visti), i marcatori tumorali erano alti e l’anemia non accennava a migliorare.

La medicina nucleare a destra, l’apertura anonima e i cartelli neri con i caratteri Airoldi: PET 1, PET 2, scintigrafia, ciclotrone… La segreteria era incuneata all’ingresso, a camminare rapidi si rischiava di perderla. Un vetro spesso, trasparente ma quasi bianco se osservato da lontano, separava i pazienti da chi lavorava per loro. Più avanti le porte degli studi dei direttori: radiologia, medicina nucleare, radioterapia. Tutti professori all’università, con le segretarie che impazzivano quando dovevano trovarli per una chiamata urgente o un caso da discutere perché troppo complesso per assistenti e vicedirettori. Avanti, il reparto di radioterapia.

–       Eccoci. Salve, sono ritornato. Non si illuda, l’intervista è stata solo rimandata di mezz’ora quindi non prendo appuntamenti per trenta minuti. Faccio fare un giro alle mie colleghe.

Sestini si era rivolto a un tecnico che, vedendolo arrivare, si era lanciato su di lui con enormi fogli disegnati e un righello stretto in mano.

–       Ho capito, il piano di cura della Giollini. Lo guardo dopo, il trattamento inizia lunedì prossimo.

–       Ma no professore, è stato anticipato a domani.

–       Domani? E perché?

–       Forse questa Giollini conosce qualcuno dei tuoi e si è fatta anticipare.

–       Col cazzo, Francesca. Qui raccomandazioni non ne esistono. Perché intervieni sempre? Guarda che richiamo il tuo amico Agazzi e ti faccio mordere dai suoi cani. Allora, perché inizia domani?

–       Rischia la sezione del midollo, è peggiorata.

–       Ah. Va bene, mettimi sul tavolo il piano. Appena finisco l’intervista lo controllo.

Si rivolse a lei.

–       La Giollini ha metastasi alle vertebre cervicali, quando l’ho vista erano asintomatiche. Nessun disturbo, si è accorta perché Solda le ha fatto fare la scintigrafia ossea per scrupolo. Scintigrafia positiva, poi risonanza magnetica vertebrale e indicazione a radioterapia. Una sarda, tosta. Bella signora.

–       Vertebre cervicali, accidenti. Come fa a trattarle?

–       Ma non ci diamo del tu?

–       Ah, giusto. Come fai a trattarle?

–       Non è complicato se hai la nostra tecnologia. E le metastasi da tumore al seno rispondono bene, soprattutto alle ossa. Certo devo stare attento, colpire solo il corpo delle vertebre e fare sì che la radiazione arrivi dove voglio io. Il midollo non deve ricevere una dose dannosa. Ma in fondo la radioterapia è proprio questo: un gioco di mira e bersaglio, di conoscenza dei meccanismi che regolano il comportamento delle radiazioni. Se sai come si comportano quando entrano nel corpo, quando deviano e quando no, quando frenano o vengono assorbite e quando invece passano dritte, riesci a fartele amiche per maneggiarle e curare le malattie.

Gli acceleratori lineari creavano l’energia, i fasci di fotoni o elettroni (la differenza stava nell’energia: i fotoni avevano energia più alta quindi sapevano arrivare in profondità, per esempio dentro il torace o l’addome, gli elettroni andavano bene per sedi più superficiali perché penetravano meno) erano studiati per raggiungere la parte del corpo da curare evitando gli organi sani. Il piano di cura che il tecnico aveva tentato di mostrare a Sestini era un esempio: le immagini della TAC o della risonanza magnetica del paziente si ricostruivano a computer, poi si ipotizzavano, disegnandoli, i fasci di radioterapia. Quattro, sei, dodici fasci di radiazioni che entravano nel corpo da direzioni differenti e avevano un unico bersaglio: la malattia, e solo quella. Per modellare i fasci si usava il piombo.

–       Tempo fa fabbricavano veri a propri ostacoli di piombo, li tagliavamo con la forma che serviva e li piazzavamo sul tragitto dei fotoni o degli elettroni. Dove c’è piombo l’energia non passa. Poi gli acceleratori sono stati perfezionati con i cosiddetti collimatori: dentro l’acceleratore stesso un marchingegno fatto di tante lamelle di piombo può riprodurre, sulla base del nostro disegno a computer, qualsiasi forma per bloccare parti dei fasci di radiazione. Addio lavoro da artigiani dei nostri tecnici, che un po’ si divertivano a costruire piombi, e benvenuta tecnologia.

Una pesante porta elettronica si chiuse, e accanto il cartello “bunker 1”. Sestini indicò una console e un monitor. Dentro il bunker, sdraiato su un lettino, un uomo: le braccia alzate sopra la testa, il torace immobilizzato da una specie di scatola. Con un cenno salutarono una donna, divisa verde da tecnico, che impostò alcuni parametri al computer e calcò sull’interfono con le dita.

–       Giuseppe, siamo pronti. Fermo adesso. Pochi secondi.

Premette un altro pulsante e si sentì un beep ritmico, acuto, mentre su un secondo monitor fluttuavano numeri.

–       Giuseppe ha un tumore dell’esofago cervicale. A pochi centimetri dalla glottide, un casino. Non è operabile, il tumore ha già coinvolto le corde vocali. Del resto gli stanno proprio davanti. Stratebeek è stato in gamba: appena l’ha visto l’ha giudicato inoperabile ma è riuscito a fargli accettare la cosa senza togliere speranza. Sta facendo radioterapia, poi inizierà la chemio. Brav’uomo, non si lamenta mai. Secondo me ha capito benissimo che la situazione è difficile, ma vuole tentare. L’unico suo rimpianto è avere fumato tutta la vita: sapeva che era un rischio enorme, anche suo nonno ha avuto il medesimo tumore e suo padre un cancro al pancreas, ma non è riuscito a smettere finché è venuto fuori il tumore. Adesso ha smesso, ma temo che serva a poco…

Aveva una nipote, Gaia, che sperava ritornasse presto a casa. La donna raccontava come se spiegare qualcosa della vita del paziente rendesse accettabili, più umane le macchine enormi, perfette che manovrava.

–       Allora, Silvia, cosa dici delle radiazioni? Ti fanno paura?

Strana domanda, eppure sembrava che a Sestini interessasse davvero. Non le facevano paura finché erano lontane. Non aveva pensato a quale impatto avessero da vicino e osservare un uomo che riceveva fasci di fotoni nel torace circondato da enormi pareti di piombo era inusuale, strano. Non le piacevano le centrali nucleari (qui Sestini ebbe un moto involontario e alzò le spalle sorridendo) ma sapeva quanto fosse preziosa l’energia delle radiazioni. E gli acceleratori lineari erano impressionanti: grossi, precisi e chiusi nei bunker… I pazienti entravano e restavano soli, pesanti porte di piombo li isolavano e le macchine giravano intorno, si fermavano, dondolavano, cambiavano posizione, erano capaci di movimenti inimmaginabili.

–       E’ vero. Questi elefanti sono agilissimi. Possediamo i mezzi per ottenere fasci ultraprecisi, arrivare là dove vogliamo senza perdere efficacia nel tragitto ma anche senza colpire le parti sane. Però in alcuni trattamenti le parti sane non possono essere escluse del tutto, quindi si verificano effetti collaterali. Vedi per esempio i pazienti che ricevono radioterapia sul collo oppure alla prostata: l’infiammazione può causare dolore e disagio. Poi si attenua e migliora, il più delle volte sparisce. Altri effetti collaterali possono talvolta essere permanenti, come la perdita dei capelli se si irradia il cervello. Sono sicuro che tu lo sappia, ma la differenza tra cellule tumorali e sane è che le cellule sane possiedono i meccanismi di riparazione del danno da radiazione, le cellule tumorali invece no. Vedi, Silvia, la radioterapia non è solo un raggio ad alta o altissima energia, è anche una specie di avvelenamento progressivo delle cellule che, danneggiate, muoiono quando tentano di duplicarsi. Il loro DNA viene avvelenato e subisce anche altri danni che sarebbe complicato spiegarti. Il più delle volte le cellule sane riescono a reagire, a riprendersi, le cellule malate invece no.

–       Ottima spiegazione, Roberto.

–       Grazie, Francesca. Come mai non le hai spiegato le stesse cose prima? Le hai dimenticate o hai avuto un cattivo maestro?

Francesca alzò le spalle. La donna seduta alla console dell’acceleratore rise.

–       Magari la dottoressa Silvia non sa.

–       Cosa non so?

–       Cara Silvia, la nostra Francesca Airoldi è una transfuga. Si è laureata con me prima di tradirmi per la chirurgia. E si è anche specializzata in radioterapia, servizio completo. Avrebbe potuto diventare radioterapista, poi è stata fulminata dalla chirurgia. L’iter della sua inquietudine: si è laureata con il massimo dei voti e lode, specializzata in radioterapia, poi in chirurgia generale, adesso palpa il seno alle donne e fa comunicazione. Ah, scrive libri! Mi chiedo quale sarà il prossimo passo. Ballerina di tip tap, flamenco, trapezista? Comunque, per ritornare a cose più scientifiche… Il motivo per cui diamo tutta questa attenzione alla sicurezza è che basta una dose piccola al corpo intero per provocare danni irreversibili e mortali. Insomma, l’effetto negativo della radiazione dipende dalla sua quantità, cioè quale dose si riceve e si accumula nel tempo, e dalla superficie esposta alla dose stessa.

–       Anche uno zic su una superficie grande crea un danno importante.

–       Esatto, hai capito. Benissimo, non ti servo più, me ne vado.

–       Neanche per idea, hai la tua intervista da fare. La giornalista secca secca ti sta aspettando, avrà finito il maquillage e i ritocchini.

Rise molle, li lasciò andare avanti e seguì solo a metà le parti successive del discorso. Di nuovo, come la prima volta che Sestini le aveva mostrato il reparto, l’aveva colpita la strana analogia tra radioterapia e cure con l’energia delle mani. Senza rendersi conto portò una mano alla tasca dove aveva piegato e nascosto malamente un foglio doppio fotocopiato in biblioteca.

“A quanto pare ogni cosa che esiste è composta da onde, cioè vibrazioni. Anche la materia sembra costituita da onde, la frequenza ne determina le caratteristiche. Intendo per frequenza il numero di oscillazioni dell’onda nell’unità di tempo, per esempio ogni minuto. Quindi anche le radiazioni sono insiemi di onde, con diverse peculiarità di frequenza. Quelle che usiamo per il trattamento dei tumori possono essere direzionate e le loro caratteristiche fanno sì che l’effetto si abbia a una determinata profondità. Intendo dire che se scelgo in modo intelligente il tipo di radiazione e il livello di energia creo un raggio che penetra di più o di meno e va a rilasciare la dose terapeutica in aree la cui profondità può essere stabilita grazie alle immagini di TAC o risonanza prese nella fase della simulazione. Per preparare il trattamento prendiamo immagini TAC o di risonanza magnetica e le ricostruiamo in 3D o 4D, le usiamo per simulare la radioterapia e trovare quindi l’approccio migliore per il singolo paziente. Se voglio arrivare per esempio a un punto del torace in una zona del polmone scelgo al computer i fasci (quanti e quali, dove voglio che entrino nel corpo e quali strutture devono assolutamente evitare), la dose per ogni frazione giornaliera di radioterapia, la dose totale e l’energia della radiazione. Nell’ambito della grande famiglia delle radiazioni ce ne sono alcune che possono passare attraverso grossi spessori e materiali molto densi, altre invece si fermano appena oltre la superficie o rimbalzano indietro e si lasciano schermare. Conoscere le caratteristiche della radiazione permette di scegliere quella giusta”.

Gli appunti erano stati scritti da qualcuno che poi li aveva dimenticati. La grafia era rotonda e chiara, senza cancellature. Chissà perché aveva deciso di farne una copia e tenerla in tasca per rileggerla. Un esame di fisica all’università, anche se sepolto nella memoria, aveva insegnato le medesime cose. Ma c’era il suono, e il sapore: le frasi buttate giù per un discorso o per una lezione o un articolo evocavano sensazioni e spingevano a riflettere oltre. Onde e vibrazione, energia. Non era stato Tesla a vagheggiare che esistesse almeno un’altra forma di energia a disposizione di tutti nell’Universo? O erano leggende che nessuno badava a confutare? Siamo certi di conoscere tutte le radiazioni, proprio tutte?

Sestini spiegava qualcosa sulla radioterapia intraoperatoria, cioè il trattamento che si faceva con un acceleratore mobile che l’istituto teneva nelle sale operatorie. Stefano le chiedeva di aiutarlo negli interventi con la radioterapia intraoperatoria, era un’esperienza affascinante. Aveva domande che si accumulavano.

Ora Sestini menzionava i protoni e le particelle pesanti, diceva che la caratteristica migliore era che non disperdevano la loro energia nel tragitto, attraversavano la materia quando li si accelerava e giungevano proprio là dove era utile, e solo là la loro energia si esprimeva. Solo che per accelerarli erano necessari apparecchi molto grandi, i protoni dovevano girare in una grande stanza prima di andare a colpire il bersaglio.

Radiazioni… Esisteva un nesso con il mistero di altre energie che alcuni ritenevano vere e altri liquidavano con un sorrisetto di compatimento?

Francesca le aveva raccontato che il suo parrucchiere (“hair stylist”, in quella città si chiamava così) l’aveva presa in giro quando avevano chiacchierato di Riconnessione. Eppure era buddhista, praticava yoga e meditava. Ma essere buddhista non significava ampliare le proprie idee, Carollo ne era l’esempio. No, secondo il parrucchiere per Francesca andare oltre la scienza avrebbe dovuto essere una violazione impensabile. Era una scienziata, mai avrebbe dovuto scavalcare il confine delle illusioni New Age.

–       Non posso sconfinare, soprattutto con le persone che investono fiducia nella mia capacità di medico. Come se un medico non avesse il diritto di porsi dubbi e risolverli. Esiste una frattura tra la scienza e il resto, ciò che viene definito medicina alternativa. Se solo si parlasse di medicina integrata, se le schiere reciprocamente armate abbassassero il livello di pregiudizio e aggressività… E’ impossibile che uno scienziato non si chieda almeno una volta se è tutto lì, se le conoscenze sono finite e non possono essere allargate, magari smentite per arrivare ad altro. E’ che la scienza medica ha addosso gli occhi di chi ne ha bisogno, non può permettersi di seminare il panico e la sfiducia aprendo le porte ai dubbi. Sai cosa mi stupisce? Che ci sia gente pronta a credere che Gesù Cristo guarisse usando le mani ma chiusa all’idea che altri possano fare lo stesso, e che sotto le guarigioni esista un principio che possiamo studiare. In fondo la leggenda dice che il Reiki sia nato così: qualcuno ha voluto capire come fosse possibile guarire la gente imponendo le mani. Studia e studia, a qualcosa il signor Usui è arrivato.

Il corpo massiccio di Sestini si muoveva poco, Francesca invece era appassionata e inquieta. Sotto il camice indossava una maglia rossa con una scollatura a V che terminava nell’incavo tra i seni, alla riunione del mattino Fabrizio aveva ironizzato che fosse una strategia per stimolarli a essere più ciarlieri e vivaci. Rosa Vaio invece aveva commentato, sorpresa.

–       Dottoressa, con quella maglia così violenta fa tutto un altro effetto!

–       Eh, Rosa, questa mattina volevo portare un po’ di colore.

Shock al rosso, si chiama così. E’ una reazione al colore rosso, una qualsiasi che indichi nevrosi, come nel test di Rorschach. Francesca lo aveva sussurrato mentre Rosa la abbracciava con una lacrima grossa a bagnarle il viso.

–       Oh, scusi, gliel’ho bagnata questa sua maglia.

–       Fa niente, Rosa, cosa sta succedendo? Cosa è questo pianto?

Sapeva bene cosa fosse, ma voleva sentirlo da lei. Non si piange mai per il motivo che l’altro pensa, deve esistere una ragione precisa, un dettaglio che fa la differenza. Non si piange per la malattia, ma per la paura del dolore oppure della morte, per l’abbandono dei figli o del compagno, per una parte del corpo amputata, perché non si potrà più sciare o sfilare su una passerella o andare al corso di danza del ventre. C’è un motivo per la paura, e per il pianto. Le avevano fatto cenno di restare, ormai anche lei faceva parte del rapporto tra Rosa e Francesca. Il problema era la PET: la malattia non si era fermata, anzi le metastasi erano più grandi e al fegato erano comparse macchie nuove.

–       Per il polmone pazienza, ma è il fegato. Il fegato proprio mi spaventa, cosa mi succederà?

Il motivo specifico, le metastasi al fegato. Nel suo immaginario il tumore nel fegato indicava che c’era poco tempo e sarebbe morta. Spiegò che un medico, anni prima, l’aveva rassicurata spiegandole che finché la malattia non prende il fegato va tutto bene, se invece è al fegato non si può più fare niente.

–       Rosa, la situazione è complicata ma ne abbiamo già parlato, il cambio della cura è stato deciso e messo in atto. La fiducia nella terapia non deve mancare. La forza è anche questione di fiducia, lo sai. Noi crediamo che questi farmaci possano aiutarti, ci crediamo sul serio. Il fegato è un organo delicato ma potremo pensare, in futuro e se servirà, all’embolizzazione con termoablazione insieme. E’ una tecnica che usiamo qui, i risultati sono buoni. Ne parleremo a tempo debito, se sarà necessaria. E’ per dirti che ancora ci sono strumenti da usare, ce ne sono ancora.

–       Quindi non sono da sola, non è finito tutto solo perché il fegato è stato preso dal cancro.

–       Quel medico anni fa ha generalizzato, sono cose che si dicono. Chissà cosa aveva in mente, voleva rassicurarti e ha preso come esempio un organo che in te era sano. Ha esagerato.

–       Eh, cose che si dicono. Vorrei vedere lei. Noi siamo lì a bere ogni virgola che dite, teniamo d’occhio le espressioni quando ci visitate. Se sorridete rischiamo di rimanerci male perché ci sottovalutate, se non sorridete ci mettiamo paura. Dire che se il tumore arriva al fegato non c’è più niente da fare è una responsabilità, un medico dovrebbe saperlo.

Avevano salutato Rosa. Nel corridoio dove la luce pioveva grigia per la nevicata che non accennava a smettere erano rimaste in silenzio per un po’, Francesca scuoteva la testa e tormentava la maglia con le unghie.

–       Un giorno dovrò raccogliere e pubblicare le baggianate che diciamo ai pazienti. Se non fosse tragico sarebbe uno stupidario perfetto. E se provassero a immedesimarsi e chiedersi come reagirebbero loro di fronte a certe frasi? Come si fa a dire a qualcuno che se il cancro raggiunge un certo organo è finita? Dirlo a priori, intendo.  A parte il fatto che non è vero, c’è situazione e situazione, ammazzare la speranza con le parole è un atto criminale.

–       Ma forse un po’ è vero.

–       Cosa, che Rosa morirà? Certo che è vero. Salvo incidenti o miracoli, è destinata a morire di cancro. Se ne rende conto, ma non ha voglia di passare la giornata a rifletterci sopra. Ha i figli, i casini con il marito traditore, i debiti da affrontare. Tutta roba che la tiene attaccata alla vita. Prima essere sana era la priorità, adesso strappare giorni per sé è l’argomento centrale. Non chiede più di guarire, chiede di vivere e restare con i suoi figli. Un giorno, un mese in più grazie alle cure e alla sua fiducia in noi sono tanto. A proposito, sai cosa mi ha detto Stratebeek prima di lasciarsi addormentare per l’intervento? Dovessi vivere solo due mesi in più sarebbero stati due mesi per me, e per le cose che ho da fare. Li voglio.

Li voleva. Era evidente. Il pallore albino era ormai giallo tenue, il corpo era lo stesso, un po’ chino avanti. Quando le aveva offerto un caffè al bar aveva chiesto per sé un bicchiere di acqua e l’aveva sorseggiato piano, due o tre smorfie accennate e dissimulate con movimenti vaghi e torsioni del collo. Era sicuro che l’intervento sarebbe andato bene, Elvira Poli aveva le mani più felici della chirurgia generale europea e Salvo Scandurra era un aiuto eccellente.

Quando le voci tacquero ci fu la sospensione del tempo. Roberto Sestini sospirò e fece rumore, poi sorrise. Francesca restò a fissarla, gli occhi semichiusi.

–       Scommetto che non ti sei accorta che siamo arrivati al piano terra, Roberto è stato eccellente nella sua intervista e ti ha chiesto un parere.

–       Uh, scusate… Mi ero accorta ma… Niente, negli ultimi istanti mi sono persa. Solo le battute in chiusura. Ottimo, è venuto proprio bene.

–       Bene, diciamo che hai perso solo le ultime battute. Roberto è stato perfetto, bellissima intervista. Molto meglio di quella di Agazzi.

–       Francesca, ma ce l’hai con lui?

–       No, è lui ad avercela con me.

Sestini si alzò. Si avvicinò alla telecamera, indicò l’obiettivo.

–       E’ vero che sembriamo tutti più grassi qui dentro?

–       E’ vero. Ma non credo tu abbia questo problema.

–       Sei gentile. Come i piemontesi, falsi e cortesi. Io prima degli altri. Peso centotré chili, sono alto ma sono troppi lo stesso. Va bene, posso andarmene?

Francesca si esibì in una contorsione che quasi le scoprì il seno.

–       Vai, vai, Roberto. Noi riposiamo cinque minuti e attacchiamo con una nuova avventura in ambulatorio.

Lo seguì con gli occhi. Era l’uomo delle radiazioni. Se l’occasione si fosse presentata gli avrebbe chiesto tante cose. Intanto era curiosa di sapere come fosse andato l’intervento di Luc Stratebeek.

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Showing 7 comments
  • Lorenza Caravelli

    Una pillola cosi’, di assaggio, mi mette addosso la frenesia di leggere! Non vedo l’ora di avere in mano questo romanzo, e manca ancora un mese!

  • lucia

    Se ho capito bene è una parte del romanzo che è stata, diciamo tagliata. Beh allora non vedo l’ora di leggere ciò che hai mantenuto. Ho scritto una frase un po’ sconclusionata, è che sono stanchissima, ho letto perchè mi piace leggere e mi piace leggerti, ma per i commenti è meglio “ripassare da qui” domani. Baci

    • MariaGiovanna Luini

      E’ una parte tagliata. Ho accettato l’eliminazione anche se a malincuore. Una differente visione sul lettore, che secondo me e’ molto più preparato e colto di quanto pensino alcuni editori.

  • Bianca 2007

    Sembra di viverla quest’atmosfera di medici,di malattie,di corsie.
    Un caro caro abbraccio,MariaGiovanna,brava non solo come medico.Mirka

  • lucia

    E’ un pezzo così reale e immediato che mi vien da dire – peccato averlo tagliato -. Manca un mese alla pubblicazione e questo assaggio rende ancora più trepidante l’attesa
    P.s. se ci sono altri tagli……io li leggo volentieri
    Baci

    • MariaGiovanna Luini

      Esistono altri tagli e li mettero’ qui nel blog.

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