devo dire per forza qualcosa sul Papa?
Ammetto di avere pensato a uno scherzo. Ero in piedi, la schiena a sfiorare un muro, attenta alle parole e ai volti in una conferenza stampa: si presentava, finalmente, il progetto “Insieme per la salute dei giovani” che mette insieme l’Istituto Europeo di Oncologia, la Croce Rossa Italiana, Comune e ASL di Milano, la Fondazione Rotary Milano per Milano. Con i colleghi dell’ufficio stampa di IEO studiavo i dettagli e le sfumature, e con qualche click sull’iPad ritraevo persone per i miei lanci personali nei social network. Poi, non so a che ora e su quale punto di un ordine del giorno abbastanza approssimativo, Daniele si avvicina e mostra il palmare: vedo la fotografia del Papa. “E’ morto”, penso. Mi è rimasta addosso la sensazione che ogni notizia sensazionale, ogni TG edizione straordinaria annunci la morte del Papa: sarà perché mio padre, il quasi-ateo Abele, a ogni lancio di agenzia inatteso, a ogni musichina di TG fuori orario diceva “Sarà morto il Papa”. E spesso era vero, tranne quando ammazzarono Falcone e Borsellino. C’era sempre di mezzo un Papa che moriva. In conferenza stampa, quindi, ho messo insieme ricordi e abitudini e interpretato l’espressione sgomenta di Daniele (è torinese, quindi il suo sgomento è appena un pallido turbarsi delle prime rughe ai lati della bocca) come la morte di Benedetto XVI.
Più o meno avevo ragione, se interpretiamo la morte come la carta dei Tarocchi. Il cambiamento radicale. Daniele ha allargato la schermata e ho visto le dimissioni del Papa. Qualcuno dice, con ragione, che sono affetta da “pernite”: sono il centro, il perno (appunto) di ogni evento e pensiero e sospiro. La conseguenza logica è stata: “Dovrò dirlo all’Amministratore Delegato?”. Il senso di questa domanda potrà apparirvi oscuro, ma ha una logica (anche se remota): l’Amministratore Delegato in questione era l’oggetto della mia/nostra attenzione in conferenza stampa, era lui che ritraevo per i lanci, lui la bocca che scandiva parole destinate a riempire le colonne dei giornali. Le dimissioni del Papa nel giorno di una conferenza stampa che ti interessa sono una nemesi: a chi interesserà più che tu abbia scoperto la cura per il cancro, pubblicato un romanzo destinato a oscurare Proust, scovato il modo per usare la fusione fredda nei caloriferi di casa? Davanti alle dimissioni di un Papa neanche l’eventuale esilio di Berlusconi a Sant’Elena o un suo voto di castità avrebbero spazio in cronaca. Ho quindi immaginato le contromisure: avvisare subito l’Amministratore Delegato con un sms, in modo che fosse preparato a una conferenza stampa quasi inutile, informarmi circa le ragioni della decisione del Santo Padre, emigrare in un Paese senza obbligo di estradizione. Per invocare aiuto il primo sms è andato a un collega, Carlo, appoggiato alla parete di fronte alla mia:
– Si dimette il Papa
– Lo so, ma non chiedermi di sostituirlo. Non ho tempo.
Il primo test non mi ha aiutato. A questo punto, iPad in mano e notizie che rimbalzavano nel Web, ho modificato il destinatario e mirato alla direttore del marketing, seduta accanto all’Amministratore Delegato (il fatto che lo scriva con le iniziali maiuscole dovrebbe rendere l’idea della fantozziana sensazione di quei momenti). Un gesto e l’annuncio delle sante dimissioni era nel suo iPhone. L’ho vista cambiare duecentotrè espressioni in un minuto, poi mostrare il telefono all’Amministratore Delegato. Sapete forse che mi capitano precognizioni e letture dell’aura, idee penetrate chissà come nella mia consapevolezza: ebbene, sono certa di avere correttamente interpretato i lampi negli occhi dell’Amministratore Delegato.
– Io lo sapevo, la Luini è una mitomane. Mi avevano avvisato, ma non ci volevo credere.
– Ecco un’altra delle sue invenzioni, possibile che per la comunicazione abbiamo solo questa qui?
– Luini, se è un tentativo di metterti al riparo dalla mia incazzatura in caso di assenza della mia faccia sui giornali scordati la mia pietà.
– Lo dicevo: alla lunga gli scrittori sbroccano. Devo chiamare uno psichiatra.
Non sono sicura di avere indovinato l’ordine, ma questi pensieri ci sono stati. E non posso dare torto al cervello che li ha originati, se consideriamo che solo un’altra volta nella storia della Chiesa un Papa ha rassegnato le dimissioni (per finire incarcerato, ma l’alternativa era morire) la statistica non era favorevole a una dimissione papale durante la conferenza stampa di IEO e partner.
Questa mattina, quindi, la rassegna stampa positiva anche al nostro progetto mi ha inorgoglita e rassicurata. Ma le dimissioni del Papa restano. Ho speso dieci euro nei quotidiani, aggiungendo l’Osservatore Romano e Avvenire alla mia abituale spesa in edicola, spulciando articoli che sanno niente e ipotizzano troppo, ascoltato il silenzio dentro di me per capire cosa penso.
– Tu che credi in Dio, cosa pensi delle dimissioni del Papa?
Umberto Veronesi, appoggiato allo stipite dell’unica porta che separa le nostre scrivanie, ha posto la domanda. E offerto il suo parere, che come spesso accade mi ha stupito e spinto a riflettere ancora di più. Dimettersi è secolarizzare la Chiesa, che ha una funzione religiosa. La religione è religione, e tale dovrebbe restare. Le dimissioni riportano, riducono, trasformano la religione in altro, le tolgono il tratto assoluto e trascendente di cui ha la necessità per continuare a essere religione. Quindi il gesto del Papa ha peso doppio, triplo, e responsabilità ancora maggiore rispetto al tanto già immaginato. Confesso di avere rimuginato a lungo su queste parole. Il primo e instintivo giudizio uscito spontaneamente dalla mia testa è stato: “Se ha deciso, ha fatto bene. Ha esercitato il libero arbitrio”. Che poi esistano duemila motivi possibili e forse non si tratti di libero arbitrio (dimissioni con una bella spinta, qualche volta accade anche se non si tratta del Papa) è concetto aggiuntivo doveroso ma foriero di confusione e nessun aiuto. Il Papa può dimettersi? Ne ha il diritto? Sì, credo proprio che ce l’abbia. La mia visione della Chiesa è un insieme di persone (Dio è in ogni persona) costituito a gruppo con regole e economia, non superiore ad altri gruppi. Riconosco Dio, non riconosco l’esistenza di una Chiesa se per “esistenza” si intende la natura divina. Uomini e donne tra uomini e donne, che fanno il bene e il male (è relativo) senza un milligrammo in più di divinità rispetto ad altri. Quindi, in un contesto del genere, dimettersi se ne esiste motivo è un diritto innegabile.
Ha più coraggio chi resta e affronta un compito gravoso, tremendo per un’età avanzata o chi accetta di dire al mondo “non ce la posso fare”? Non credo sia questione di coraggio. Coerenza, forse. E nel breve discorso in latino del Papa ho trovato una coerenza confinata al contesto che, dando per scontata la buona fede delle ragioni addotte, mi convince. Non che debba convincere me, ma risuona positiva nelle mie riflessioni. Se non ce la fai, molli e lasci spazio. Qualcuno, poi, dice che ci renderemo conto presto dei motivi veri per queste dimissioni. Sarà, ma oggi l’unico discorso possibile, se discorso deve esserci, riguarda le dimissioni in se stesse e non una dietrologia che arriva facile, troppo facile. Nessuno conosce i motivi (ammesso che siano diversi dall’età avanzata e le forze che mancano), è evidentissimo. Un gesto estremo deve per forza avere una base nascosta, di complotto e pericolo, indicibile? Deve nascondere una malattia mortale, una demenza galoppante, un dramma umano da dissimulare a stento? Non credo. Continuo a preferire un Papa che se ne va se decide di farlo a un dittatore imbalsamato e spacciato per arzillo leader di un popolo. Se ci incontreremo di nuovo qui con le novità, e se i motivi segreti, inimmaginabili, orrendi delle dimissioni del Papa diventeranno chiare potremo riaprire il discorso.
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Ho letto con il sorriso la prima parte e con molto in teresse la seconda che mi ha lasciato spunti di riflessione importanti. Come sempre riesci a mettere le parole nell’ordine giusto, a dargli un significato che non si può fraintendere.
Grazie
Grazie, Lucia. Ieri sera al Teatro Nuovo una donna ha comprato “Siate liberi” e ha chiesto una dedica. Mi sono vista, inaspettatamente, aprire la dedica con “nel giorno storico delle dimissioni di un Papa…” e ho capito che, nonostante la mia abitudine a tanto, a ogni possibile manifestazione dell’imprevedibile o quasi, stavo subendo il peso di un evento storico. E non sono sicura di avere la percezione di un evento storico: come lo si definisce? Come lo si distingue dagli altri? Potremo dire “io c’ero”, ma alla fine a chi lo diremo? Comunque ho capito che rifiutare snobisticamente di affrontare l’argomento quando dentro avevo alcune riflessioni non era degno della scelta di apertura e comunicazione che mi è sempre sembrata necessaria.
Sono d’accordissimo con te.Se esiste il “libero arbitrio” (e per la Chiesa c’è e vale come il Mistero di Dio o dell’Incarnazione di Cristo Gesù),questo vale anche per un Papam motivi “veri” suoi e solo a lui veramente chiari.Brava e un grande abbraccio.Mirka
Un grande abbraccio a te!