c’è poca luce

 In Blog, I racconti del taccuino, la posta del cuore (?), Racconti brevissimi

Arriva a trovarmi ogni quindici giorni, più o meno. Se non la vedo entrare e chiedere di me controllo la sua cartella clinica nel computer, e se mi preoccupo la chiamo o le mando un messaggio al cellulare. Di solito, però, non ho bisogno di cercarla: la sua voce squilla contro le pareti della direzione scientifica e i suoi abbracci mi raggiungono nei giorni di libertà dai controlli e dalle terapie. Un bling del telefono: “Dottoressa Giovanna, penso a lei, un grande abbraccio”. Ha i capelli corti, tinti di un rosso vivace e improbabile: le dona, quel rosso, insieme alla luce pazzesca che le inonda gli occhi la rende riconoscibile anche a distanza. Cammina vivace, il corpo abbondante e tonico come se non sapesse dormire. Difficile intuire che una malattia tenti di fermarla.

– Ho incontrato la tua signora.

B. dice così, e so che allude a Grazia.  Ormai tutti la conoscono, la considerano una parte dei corridoi, di questo pianeta alieno su cui un libro non basta, e non bastano le pagine che ho scritto e ripensato e masticato ancora, poi lavato e asciugato e scritto un’altra volta. Se penso a persone come Grazia capisco che nessuna parola sarà sufficiente.

Ha una storia come tante. Ma le storie non sono mai come tante, sono uniche. La sua, per esempio. So che è amata, lo vedo perché con lei c’è sempre qualcuno: no, intendiamoci, qui viene da sola, ma allude poi ai figli, agli amici che la ospitano, a gente che da lei riceve amore e le dona un posto in casa, una cena, una compagnia consolatoria nei tempi delle cure per le metastasi. L’unica persona che non c’è è il marito, che se ne è andato da alcuni anni: quando mi fermo a pensare alle donne che vedo e alle loro storie di amore faccio fatica a contare quelle che sono rimaste sole dopo o durante il cancro, come se la malattia arrivasse anche per spazzare via la muffa. Mariti e compagni, fidanzati evaporati nel confronto con una mammografia con una macchia dove non dovrebbe esserci altro che trasparenza, frantumati da una quadrantectomia o una mastectomia o dalla terapia ormonale che per un po’ diminuisce il desiderio di fare l’amore.  Sono compagni buttati fuori, anche: non hanno indovinato il tono, non sono stati capaci di comprendere che sussurrare “Ma dai, non è niente” non è la migliore delle soluzioni possibili. “Ma dai, non è niente”: quante volte ho notato lacrime piccole e rimosse al lato delle palpebre perché confutare il “non è niente” è troppo difficile, ma accettarlo impossibile?

Comunque. Ritorniamo a lei. Grazia legge più libri di quanti ne contenga una biblioteca comunale, segue gli eventi culturali del mio istituto e le presentazioni letterarie che io stessa organizzo da noi. La trovo seduta placida, il sorriso impossibile da cancellare dal viso, anche quando presento i miei, i miei libri, e non sono in istituto. Arrivo, controllo la sala e l’uditorio e la vedo. Là, in una fila non troppo avanti ma neanche indietro, seduta laterale. Casomai le arrivasse l’attacco di tosse, se sta laterale può uscire e bere un bicchiere di acqua per calmare i polmoni sfrugugliati dalle chemio e dalle cellule tumorali.

Una volta mi è capitato di incontrarla a un evento di Eric, il guru della Riconnessione.

– Dottoressa, anche lei qui?

Era felice, ci siamo sedute vicine e le ho spiegato che credo all’Energia. Non so cosa sia, ma ci credo.  E mi dispiace che non tutti gli ospedali si siano ancora decisi ad accettarla come supporto e integrazione alle cure.

Mi cerca quando ha paura. Non che lo dica chiaro, non confessa di avere paura, ma pone domande e dagli occhi capisco. Le succede che il cancro faccia finta di arretrare, si nasconda nelle pieghe degli organi e in un marcatore che va giù donando sollievo, poi però una nuova TAC, una PET, un’ecografia del fegato raccontano che è spuntato fuori di nuovo, e si misurano le lesioni, si confrontano con il passato, si cambia la terapia perché faccia più effetto.

Questa mattina nel mio studio c’è poca luce. Il cielo è latte grigio fuori dalle finestre, dall’unica lampadina accesa cade un riflesso giallo tenue. La prima bottiglia di acqua è quasi vuota sulla scrivania, i giornali aspettano che le mie dita si stacchino dalla tastiera. Ho pensato al libro che esce e a quanto avrei ancora da dire. Non solo pazienti e non solo medici, ma la sanità ai tempi di una crisi, e un’eccellenza scientifica ai tempi di una rivoluzione ai vertici. Ci sarà occasione, qui e altrove. Basteranno dieci passi, poi, per uscire nei corridoi e incontrare la vita.

Mai ci fu tanta vita come nel luogo dove si rischia di perderne un pezzo ogni giorno. Vedrò Grazia, credo, e lei vedrà queste parole in un blog. Firmerei la tregua con le sue cellule tumorali, se avessi la penna giusta. Con un inchiostro la cui luce rifulga in blu.

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Showing 3 comments
  • lucia
    Rispondi

    Ehi dottore, un attimo fa ho commentato un tuo post in cui si parla di sorriso e ho scritto che potrei essere eterna, ma adesso non riesco a smettere di piangere. Ti voglio bene

    • MariaGiovanna Luini
      Rispondi

      Anche io ti voglio bene. E ti ringrazio in modo speciale per i commenti che lasci qui nel blog. Amo il blog perché è una comunicazione vera e non richiede di essere dentro un social network, mi piacerebbe che tutti i commenti che ricevo nei social network a proposito di questi pezzi fossero messi qui. Più aperto, pubblico, condiviso. Tu lo fai e lo apprezzo tanto. Grazie.

  • Bianca2007
    Rispondi

    Scienza,creativita,umanità.Una triniià per essere una indivisibile dimensione che arricchisce mentre regala spazio per immaginare i miracoli degli uomini quando operano su un cammino evolutivo.Un grande abbraccio anche da parte mia.Mirka

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