e sono i miei piccoli, piccoli problemi
Gli stivaletti comodi con il tacco piccolo, un toc toc sul pavimento pulito e i libri in braccio. Fogli, una busta bianca con il logo dell’ospedale, iPad e Moleskine bianco. Bianco perché fa luce. Bianco perché questi corridoi lo chiedono.
Un passo e un altro, indecisa. Potrei affrontare la pioggia scarsa e la lana leggera di una mantella ottimista indossata senza osservare il cielo fuori, questa mattina prima della sala operatoria. Potrei usare l’abbonamento come ogni giorno, rincorrere l’autobus e ritornare nel mio quartiere oltre il carcere seduta a mezzo con decine di persone. Mi piace farlo, amo guardarli tutti e immaginare cosa facciano, dove vivano, cosa pensino. Perché – ed è questo il ragionamento che mi distrae – di alcune persone io so leggere i pensieri. Anzi, non li leggo: li conosco e basta, ne avverto le fluttuazioni, ne condivido le emozioni. Accade senza che lo voglia, proprio come è successo con le diagnosi indovinate perché vivide, impresse nella carne anche se tentavo di sfuggire. Esistono certezze che piombano nella mia testa e mi possiedono, e sono sempre verità che forse non avrei inseguito. So, per esempio, che c’è un uomo importante che addossa a me un’antipatia non mia. Posso toccare il ribaltamento dei suoi sentimenti, posso assaggiarli e averne il sapore in ogni piccola sfumatura. Lo so, e basta. Proprio lui mi viene in mente oltre la porta girevole, con il foglietto bianco della chiamata del taxi che – pigra – mi sono decisa a fare. Penso a lui e a nessuna prova per la mia certezza: bevo i suoi umori cambiati nei miei confronti e niente potrebbe distogliermi dalla mia quieta, pacifica consapevolezza. Da qualche giorno mi è ostile, e non ho bisogno che qualcosa o qualcuno me lo provi. E’ così.
– Chiama un taxi.
La coda dell’occhio. L’anatomia definirebbe “canto esterno dell’occhio sinistro” il luogo del mio apparato sensoriale che si attiva e nota una donna in un cappotto grigio, e un uomo accanto a lei. Armeggia con il telefono, chiama e fornisce l’indirizzo dell’ospedale. Non conosce il numero civico, mi viene voglia di suggerirlo ma capisco che la centrale non ne ha bisogno. L’oncologico, lo sanno tutti. Venti secondi o trenta, la donna ringrazia a chiude. I capelli biondi raccolti a coda, si sposta e non resiste: si specchia nella vetrata lucida che le è accanto. E io noto che è incinta. L’ottavo mese, più o meno. Il sorriso accenna e sfiora la curva del suo cappotto, immagino una stanza e qualcuno ricoverato: deve essere qui per una visita a un parente, ora riprende il taxi e se ne va. Un donna con una gravidanza così evidente, così bella, non può avere altro scopo sotto questa pioggia a un’ora più simile alla cena che a una gita. E’ venuta per trovare un parente, forse un amico o amica, ora ritorna a casa e si stende sul divano, scioglie la coda di capelli biondi e si riposa. Ma il telefono squilla, e la sua mano fa click.
– Pronto, mamma? Eh, come è andata…
Si allontana, non abbastanza.
– Non mi possono operare. No, il seno è infiammato. Quindi posso partorire con calma poi mi faranno una cura per togliere l’infiammazione e se si riduce mi opereranno. Anche i linfonodi sono infiammati, insomma proprio non si può operare. Faranno tutto dopo, adesso no. Non possono operarmi. No, non ho garanzia che non abbia già intaccato altre cose in giro.
Chi hai visto, chi ti ha visitato? Vieni qui, parliamo, forse non è così. Non me ne voglio andare, lasciami restare qui con te. La gravidanza e il bambino, partorire con calma senza terapie per il tumore. Capisci cosa significa, vero? Aspetta, non allontanarti. Vieni qui e aspettiamo il tuo taxi insieme.
Taccio. Lei ripete alla madre, ancora. Ha un’infiammazione al seno, non le possono togliere il tumore. Aspettare. Aspettare. Quella gravidanza sarà al nono mese, adesso che ci penso e la guardo bene.
Ho in braccio un Moleskine bianco. I tacchi piccoli degli stivaletti comodi sono fermi. Quando sono uscita pensavo a un uomo cui sono diventata antipatica, al mio lavoro, alla cena che dovrò inventare e a una riunione cui ho partecipato nei minuti lunghi. A dirla tutta, di quell’uomo prima mi interessava un po’, ma – visto adesso – può pensare ciò che vuole. Venga qui ad ascoltare la donna bionda con la coda e il cappotto grigio, dell’antipatia discuteremo dopo. Se resterà la voglia.
I capelli biondi a coda. Il cappotto grigio.
Un taxi. E’ il mio. Un passo e ancora uno. Potrà partorire con calma. E io so cosa significa. Con calma.
Buio.
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J’adore
J’adore!
Molto bello questo racconto,MariaGiovanna.Potrei persino riconoscermi.Incredibile ma è così.Bacio,Mirka
Che meraviglia. Il tono e lo spessore della condivisione del male, la compassione: cumpatior, soffro con te, non a causa tua. Stai dando tanto, grazie.
“Con calma”, non esiste calma.
Lucia
Quando esiste, inquieta.
…e sono i miei piccoli piccoli problemi a non permettere di vanificare il “grande”. Grande MariaGiovann! Un bacio,Mirka
E’ bellissimo. Perchè sono state cancellate alcune righe?
Ciao Laura, non sono cancellate. Sono pensieri non detti.