il corpo soffice dei sogni
La fotografia non ha relazione con il post, il titolo non ha relazione con la fotografia e con le parole del post. Così deve essere, qualche volta. Una strada si divide in dieci sentieri e trenta viottoli, due pianure e un piccolo fiume. E non hanno una conseguenza cioè una riunione successiva: vanno avanti e creano, e basta. Il mio blog amatissimo procede a rilento perché le presentazioni del romanzo si moltiplicano e i biglietti ferroviari anche. E’ un tempo straordinario e dinamico, incontro tanta gente e dagli incontri nascono altri incontri, e pensieri, e lettere, e letture. Il panorama cambia, mutano amici e conoscenze.
Mi capita di leggere notizie di amici ora lontani grazie ai social network, ritrovo volti oppure mi rendo conto di non avere più armonie da condividere con alcuni. Nel recente scorrere dei mesi ho scoperto di rispettare, se non anche amare, le mie profonde zone di ombra: il buio, inteso come temporaneo non esprimersi della luce. Ho sempre ritenuto di essere una persona “buona”, scopro oggi di essere un insieme complesso di rabbia a lungo rimossa e sentimenti che – certo – possono essere buoni ma anche no. Nel nome di una bontà che le suore a scuola sottolineavano come requisito essenziale per salvarsi dall’ira divina (come un Dio che è Amore potesse provare ira non è mai stato spiegato) ho mandato giù, odiato, seppellito, cremato un insieme eterogeneo di emozioni e istinti che invece avrebbero dovuto vivere. Perché se vivono e hanno spazio per mostrarsi fanno male male e plasmano, insieme alla bontà, un quadro assai interessante.
No, non sono una persona buona. Sono generosa, ironica, mutevole, passionale, irascibile, furba, creativa, insicura oppure sicurissima, gioviale, ritrosa, a tratti asociale, gelosa, innamorata, aggressiva, competitiva, tollerante, curiosa. E mille altre cose, proprio come voi che state leggendo.
Sono indulgente, credo. Con me prima che con gli altri. Per quanto tempo ho concesso agli altri di usare la mia sopra citata e presunta “bontà”? A lungo, molto a lungo. E non smetterò di farlo perché in fondo non mi dispiace ed è scattato un meccanismo salvavita che mai avrei creduto di possedere. Sono più attenta: a chi mi è accanto sul serio, a chi non abusa, ai miei diritti e alle mie ambizioni. Sì, ho detto ambizioni. Forse sono arrivata a conoscere me stessa più di quanto abbia mai sperato possibile. Per esempio: non credetemi se dico che non importa se non seguite la mia scrittura, siete liberi di non farlo. Che siate liberi è vero, che io rispetti la vostra libertà è altrettanto vero. Ma nel mio cuore esiste una differenza evidente tra “chi mi segue” e chi no. Perché la scrittura è essere me, non potete dire di conoscermi se non conoscete ciò che scrivo. Prima fingevo che non fosse così, ora non ho problemi a dirlo. A questa evoluzione ha contribuito l’età, ma c’è dentro il dono degli amici, dei nemici, degli amori, dei nemici (cosa è esattamente un nemico?), dei colleghi, del lutto, della paura, del sesso, del desiderio… Inutile andare avanti, avete capito.
L’estate scorsa mi è successo di andare a Sciacca per una presentazione. Mio zio Alberto stava molto male, dovevo prendere l’aereo (il mio rapporto con questo mezzo di trasporto vi è noto), era un periodo di intenso stress. A Sciacca, luogo stupendo, ho trovato una piccola piazza piena di gente interessante arrivata apposta per la presentazione. Peccato mancassero i libri. C’era solo la mia copia: una copia per N lettori. Si chiama “momento quantico”: ecco, quello è stato uno dei miei momenti quantici. Dopo un incontro meraviglioso – ma davvero – con la gente di Sciacca sono ritornata a Milano, mio zio è morto il giorno successivo e io sono diventata un po’ più io. Ho iniziato a notare che il mio cervello registrava chi manifestava la propria partecipazione al dolore per la morte dello zio e chi no (e con quale mezzo ciò avveniva), e i miei gesti e le parole selezionavano le persone. Mi sono scoperta implacabile. Mi riavvicinavo a chi non avevo mai perso (la famiglia, per esempio) e sancivo la rottura con chi mi ero portata dietro senza volere comprenderne la falsità. Vicino, lontano, vicino, lontano. Sul mio palcoscenico cambiavano gli attori e continuano a cambiare ora. Un momento quantico, appunto: mancavano i libri a Sciacca, mio zio moriva e c’era chi non si faceva sentire o sbrigava le condoglianze male, e buonanotte. Piccole, minute inezie. Che sono andate a spaccare l’esile riserva di pazienza “buona” (ah, la bontà) che strenua difendevo nel nome di un’idea di me stessa ormai fuori senso. Erano mesi, anni che il momento quantico aspettava solo di manifestarsi.
Poi ad agosto è morta mia suocera. Una donnina di novantacinque anni che adoravo. E mi adorava. Non voglio spiegare e non sarei forse capace, ma la sua personalità ha instillato in me gocce definitive di forza. L’ho sentito subito, non era andata via del tutto: in me era calata una parte di lei. Momento quantico più magica presenza di suocera… Fate voi.
Parole, parole e pensieri. Cosa siamo, se non carne soffice di sogni e pensiero?
Le parole del romanzo nuovo, la prima stesura è appena terminata e ora il file dorme in attesa che lo riapra.
Le parole de “Il male dentro“, che ancora viaggia e vive: pare vicino a un’ulteriore ristampa. Alla soddisfazione della scrittrice si unisce la commozione per le decine di lettere che sono arrivate e ancora arrivano. Sono commenti e pensieri dei lettori, mani ignote ma vicinissime mi raccontano cosa abbiano provato sfogliando le pagine del romanzo. E ci sono i commenti nelle librerie online: su, giù, su, giù. E’ meraviglioso che tanti occhi abbiano voluto scrutare e lasciare traccia di sé. I romanzi che viaggiano sono catalizzatori di esperienza. Di evoluzione. Ho la sensazione di seguire “Il male dentro”: il libro viaggia e io gli corro dietro, stringo mani ascoltando storie e scopro bellezza.
Quante vite ho potuto scoprire grazie ai miei libri? Sono ormai centinaia. Niente è più interessante della vita.