zucche vuote
Ora, capita che questa mattina una filosofa da due soldi mi abbia fatto arrabbiare. E dovrei ringraziarla perché la scossa profonda dei suoi commenti su Facebook ha avuto il grande merito di risvegliarmi da un torpore che potrei definire come “eccesso di equilibrio”. E’ lo squilibrio a creare, e la vampata accecante dell’ira ha spezzato una pace torpida che ritroverò senz’altro ma impediva che ritornassi al blog con argomenti “di pancia, di cuore, di mente”. Posso creare, ora, con l’entusiasmo di una coda di tormenta che accende i sensi e le mani sulla tastiera (è proprio vero che i migliori maestri sono quelli che ci mettono in crisi).
Allora va così: ieri ho pubblicato una fotografia che ritrae un uomo di spalle su un vecchio gozzo che amo moltissimo, una barca lenta di legno che ha il torto di chiamarsi “Menorquin Yacht”. Ecco, la parola yacht crea il caso: una signora che non sa cosa sia un Menorquin e probabilmente ha altri motivi (noti, sono una medium efficace) per avercela con me si scaglia contro la fotografia e sottolinea che io non abbia avuto una “parola” per i poveri. Una parola, per la filosofa sarebbe bastata quella: ai poveri non si danno azioni concrete, si danno parole. E io al margine della fotografia quella parola bastevole non l’avevo proprio messa. E’ vero, non ho aggiunto parole e non ne aggiungo in pubblico nei social network a meno che servano per reclutare gente di buona volontà a sostenere progetti sociali. Non amo chi sbandiera il proprio impegno sociale allo scopo di renderlo noto, e non sarà una filosofa da Web a farmi cambiare idea. Non alludo alla pubblicizzazione implicita o esplicita della professione medica: quella è conseguenza inevitabile dell’essere personaggio anche pubblico, come siamo tutti. Alludo all’impegno sociale, al tirarsi su le maniche metaforiche o reali e lavorare per gli altri, a condividere i propri soldi con chi non ne ha, a donare, donare, donare, a spremersi il cervello per scovare vie concrete per arrivare al mondo ideale. Il mondo ideale per me è un mondo ove tutti possiamo avere ciò che serve per essere felici e stare bene, e non stiamo a scagliarci l’uno contro l’altro in guerre che esprimono solo il disagio globale e non obiezioni reali e motivate. E’ meglio non scattare fotografie su un vecchio gozzo di legno oppure usare ciò che si ha per condividere con gli altri? Meglio avere niente quindi non aiutare o essere consapevoli che ciò che abbiamo è fortuna, vita, caso, e allora dobbiamo e possiamo usare le nostre risorse per fare stare bene anche gli altri? Certo, per evitare commenti inopportuni e giudizi facili dovremmo pubblicare nei social network quanto abbiamo dato agli altri: oggi ho donato tot, ho aiutato quella persona là e l’altra, ho raccolto mille chili di bontà da spalmarvi in faccia perché sappiate quanto sono brava.
Siamo proprio zucche vuote, e a due giorni da Halloween mi pare più evidente che mai. Siamo zucche vuote quando misuriamo la gente sulla quantità apparente di soldi che guadagna o ha in banca (o sotto il cuscino), siamo zucche vuote anzi frullate quando basta una fotografia in un social network messa per amore per scatenare un insulto mascherato da rimprovero che incita a spendere PAROLE per i poveri. I poveri, quel commento in Facebook era molto vicino alle prese di posizione di un noto candidato nazionale che sottolineò di avere un “terremotato povero” in lista. Sorpresa sorpresa, il disagio economico si trasforma in insulto, bandiera, vanto, escamotage elettorale, mezzuccio per ferire o insinuare dubbi? Parole, diamo parole a siamo tutti contenti: le parole si mangiano, si bevono, coprono il corpo quando fa freddo. Le parole e la censura ai momenti di gioia che non vanno ostentati nemmeno se si è nella propria bacheca, quella che assomiglia un po’ a una casa e accoglie chi ha voglia di chiacchierare con noi. Parole da scagliare o zittire. E’ come insinuare che un programma di Crozza faccia spendere molti soldi per tentare di chiudergli la bocca, o no? Biechi, patetici tentativi di usare parole (appunto) per spegnere altre parole, che magari sono efficaci e magari vanno a segno.
Una fotografia per amore che ritrae l’uomo che più stimo al mondo (e che aiuta centinaia di persone ogni giorno) si trasforma nello sproloquio di una filosofa che ai “poveri” chiede di dare parole.
Siamo zucche vuote, e basta. E io sono la zucca più vuota di tutte perché a queste provocazioni reagisco, con la passionalità nota che è anche quella che mi fa scrivere le pagine migliori (secondo i lettori) nei miei romanzi, quella che nella mia evoluzione spirituale è un freno o forse una sfida continua. Sono una zucca molto, molto vuota perché alzare le spalle a tirare avanti senza flettere un sopracciglio è ciò che fanno gli adulti, i cosiddetti “grandi”: io che grande ancora non sono diventata ho il carattere della Pesci ascendente Pesci e se uno stupido attacca una fotografia con il mio amore reagisco come un lottatore per poi rendermi conto che non valeva la pena. Nella pace ritornata anche grazie al respiro e ai tanti commenti di persone ragionevoli, scopro che la vita è una questione di armoniche decisioni: non si può essere amici di tutti, si può sorridere alle posizioni contrarie alle nostre o alle intemperanze proprie o altrui senza che debbano penetrare nella nostra anima. Jodorowsky, mio amato, riderebbe di cuore per questo post e forse, sì, forse è ciò che farò anche io.
Ah, prima di chiudere e salutarvi desidero invitarvi al prossimo evento cui tengo tanto: il 21 novembre alle 18 sarò con “Il male dentro” all‘Istituto Europeo di Oncologia IEO a Milano nell’ambito di BOOKCITY. Con Nicoletta Carbone parleremo del romanzo e dei progetti che IEO ha creato per la qualità della vita delle persone con tumore, la creatività come rinascita. Da anni mi dedico a questa idea ostinata e tenace, sarei proprio tanto felice se tanti volessero partecipare. Il ricavato delle vendite del romanzo è destinato alla Fondazione IEO.
Ciao da una zucca vuota.
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Ciao meraviglioso essere, vedo il tuo ciuffo arruffato che s’impenna e sai cosa ti dico, vai da quell’uomo stupendo che ieri leggeva a bordo del vostro gozzo dagli un bacio e fatti una risata. Ti adoro
Il ciuffo si imbizzarrisce facilmente… L’uomo sogghigna quando mi imbizzarrisco insieme al ciuffo, e di fronte alle manifestazioni di invida alza il sopracciglio e scuote la testa. Forse prima e meglio di me coglie l’umanità, e la ama così come è e ne ignora volutamente le manifestazioni più stupide.
In un confronto si possono conoscere opinioni diverse,sgradevoli ma non cattive.
Purtroppo,qualsiasi occasione e’ buona per chi deve ferire.
Non solo sui social network ma anche;ad una cena,ad una assemblea in una riunione si possono raccogliere espressioni offensive che ci addolorano;ma non possiamo pretendere da una persona quello che non puo’ o non vuole darci,cioe’ il bene.
Ci sono persone che fanno il male per il gusto del male.
Mi sembra che a MIlano le chiamano “teppe”.
Cordiali Saluti
Teppe o altro, effettivamente. Per quanto il sollievo apparente a me sfugga del tutto, c’è chi vive così.
Un’arrabbiatura di “pancia” è meglio di quella tenuta fredda nella testa.La prima ti mette in corpo della frizzante adrenalina,la seconda si vendica col tuo fegato, senza ferire più di tanto le “zucche vuote”. Non capirebbero e questo farebbe ancora più danno a te.
Resta quella che sei MariaGiovanna. (S)quilibrata,passionale,medium,visionaria,chirurga,cognitiva e tutto quello che ti pare. Tu non ostenteresti mai per mortificare o umiliare un debole. Inoltre mi faccio garante io per te di una saggezza antica da te applicata in modo assolutamente naturale e da me constatata anche se per poco. “Le (tue) azioni sono l’unica cosa che (ti) appartenga davvero”. (Buddha)
Un bacio,Mirka
Hai ragione su tutto, Bianca Mirka, quando mi descrivi come sono. E’ così. E l’arrabbiatura di pancia crea, quella fredda distrugge. Mi colpisce sempre il tanto di invidia malcelata o non celata (che poi forse in questo caso è gelosia, non invidia, ma chissà) perché trovo che non abbia senso, sia un giudizio mal posto e mal generato. Ci penso troppo, meglio evitare e dimenticare dopo l’arrabbiatura di pania che sfuma.
Un “Qualcuno” che ancora Insegna disse “NON TI CURAR DI LOR MA GUARDA E PASSA”.
Ciao,Mirka