alla posta di Opera e altre Ital-iche amenità
Oggi avevo una missione dispendiosa ma necessaria: pagare la Tares di mio marito e la mia e due o tre multe piovute a casa nel mese di novembre. Armata di bollettini precompilati e di lettera raccomandata con cui intendevo chiudere un contratto telefonico che non mi serve più ho raggiunto fiduciosa e leggera la Posta di Opera. Le cittadine hanno il vantaggio della cooperazione, della simpatica familiarità tra gli abitanti e gli impiegati del Comune, della Posta, della scuola: così credevo, almeno.
Scrollando dal cappotto litri di pioggia dopo una corsa trafelata al termine dell’ambulatorio ho varcato la soglia della Posta verso la metà del pomeriggio: notando una decina di persone sulle sedie di fronte agli sportelli ho studiato la pulsantiera e selezionato “servizi finanziari” per ricevere il numero di fila. Sempre armata di incrollabile fiducia mi sono sistemata su una sedia libera a ridosso di un calorifero e ho intavolato con un simpatico signore una discussione fatta di scarse parole e frequenti sguardi ai tre sportelli attivi dove il lavoro procedeva a rilento. A ogni completamento di una pratica con un cliente corrispondeva una pausa piuttosto lunga, il “dling” dei numeri di fila spiccava raro in un silenzio nervoso.
Una ventina di minuti (nemmeno tanto, a pensarci bene) e toccava a me. Mi sono avvicinata con il mio mazzetto di bollettini e la raccomandata.
– Buongiorno.
– … Mpf…
– Mi scusi, dovrei pagare le tasse e tre altre richieste. Accettate il pagamento con Bancomat?
– Certo.
Lieta per la notizia (è da escludere che io possa avere nel portafogli una quantità di contante sufficiente anche solo per una Tares, figuriamoci per due) ho consegnato bollettini, lettera e Bancomat all’impiegato che, in due secondi scarsi, mi ha restituito la mia tesserina plastificata scuotendo la testa.
– No, accettiamo solo Bancomat senza chip. Quelli che usano la banda magnetica.
– Scherza? Ma sono quelli vecchi. Nessuno ce li ha più.
– Sì, ma accettiamo solo quelli. E i prodotti Bancoposta.
– E come faccio a pagare? Il totale di questi pagamenti è alto, come faccio ad avere tutto quel contante?
– Non so cosa farci, qui l’unico Bancomat è quello senza chip. E può usare i prodotti Bancoposta.
– Non ho un conto Bancoposta e non intendo averlo. Ho diritto comunque al vostro servizio.
– Peccato. Sa, non accettiamo altre carte di credito e Bancomat per incentivare l’acquisto di prodotti Bancoposta.
Incredula, provo a spiegargli che comprendo le loro esigenze di marketing ma sono utente come tutti gli altri, della Posta si ha bisogno e non è una velleità. Sto pagando le tasse, come può rimandarmi indietro? Oltretutto se qualcuno si presentasse carico di contante dovrebbe insospettirsi invece di accettarlo senza battere ciglio. O no?
– Non posso farci niente. Dovrebbe andare al Bancomat fuori, a una banca, e prelevare.
– Suggerimento geniale. A parte il fatto che per venire qui ho già strappato un’ora al mio lavoro all’oncologico, sa che esiste un tetto massimo per il prelievo giornaliero? Ha visto quanto fa pagare il comune di Opera solo con la Tares?
– Eh, preleva due volte in giorni diversi e poi ritorna.
Certo, dopo una corsa a chiusura di ambulatorio sotto la pioggia e un’attesa appollaiata su calorifero ora potrei programmare un paio di gite al Bancomat e, in un terzo giorno, un’ulteriore scampagnata alla Posta di Opera con una busta piena di contante da devolvere in Tares e multe varie. Proprio un ottimo servizio, niente da dire.
L’impiegato mi rispiega, perché forse non ho capito, che gli utenti non possono usare carta di credito e Bancomat moderno così sono invogliati all’acquisto di prodotti Bancoposta. A questo punto pago la raccomandata e uno dei bollettini con tutto il contante che ho nel portafogli e me ne vado. Senza pagare la Tares.
Mentre in banca spiego alla divertita cassiera il motivo per il cambio dell’assegno penso a quante favole, quanta malafede, quanta tragica utopia governino le notizie che riceviamo e le cosiddette “manovre”. Ma di cosa parlano quando ci raccontano che per combattere l’evasione fiscale una tra le più geniali soluzioni sia usare carta di credito e Bancomat e limitare l’uso del contante? Chiaro che possa essere una soluzione, ma nessuno ci crede! Ci credo io perché il mio stipendio è tutto là, sul conto in banca, ma chi porta in tasca il “nero” non si lascia convincere facilmente. Anche perché la differenza tra me e un evasore è che a me non è concesso usare i servizi della Posta, all’evasore con il nero in tasca sì.
Forse con la tecnologia tutto andrà meglio. Peccato che per usufruire dei servizi della Posta su internet io abbia richiesto da ANNI (sì, anni, non mesi) il duplicato della password di accesso senza ottenere aiuto. Ah, e a proposito di informatica e soldi: avete mai provato a farvi rimborsare un biglietto ferroviario su Italo? Se ce l’avete fatta chiedo per voi un applauso a scena aperta: da giorni provo, da sola e anche con l’aiuto del call center, a farmi rimborsare un biglietto Milano-Salerno e ritorno ma – non si sa come – ogni volta che si arriva all’atto generoso del rimborso dei miei soldi il sistema informatico di Italo si guasta.
Dimenticavo: una delle multe che oggi avrei voluto pagare neanche è mia. Tempo fa qualcuno sottoscrisse una richiesta di finanziamento per un piccolo veicolo elettrico dalle parti di Anzio e usò la mia carta di identità pescata non so dove a garanzia. Ovviamente non pagò il finanziamento, io fui segnalata come cattiva pagatrice e dovetti sporgere denuncia. Dimostrata la mia totale estraneità ai fatti, risulto tuttora cattiva pagatrice (ho mandato fax, compilato moduli eccetera ma niente) e il tizio ad Anzio è stato multato mentre girava con il veicolo elettrico acquistato con la truffa: la multa è arrivata a me ma i vigili di Anzio hanno detto che non possono toglierla perché dovrei spedire loro la denuncia a quel tizio. E tu mandagliela, so che mi state dicendo questo. Certo, lo farei volentieri se il mio avvocato non mi avesse detto che, inviando la denuncia ai vigili, violerei la privacy del truffatore.
Vedi a volte la vita…
Kafka sarebbe orgoglioso dell’Italia
Siamo troppo anche per Kafka.
Questi articoli mi piacciono molto,perche’ mi rendo conto di non essere il solo che sta lottando contro i mulini a vento della burocrazia e non solo.
L’ultima riga,conferma che nel nostro paese c’e’ poca attenzione verso i doveri di chi commette il reato rispetto ai diritti della vittima dello stesso.
Cordiali Saluti
Penso ci sia un’attenzione ipocrita che trascura però i diritti più elementari della gente.
Se vivi in Italia, metà della vita la si passa a star dietro alla burocrazia, assurdo!