rediviva, mai doma
Oggi ho parlato con un uomo tenuto prigioniero. Uno che non avrebbe la necessità di lasciarsi imprigionare. E ho capito che se si sente prigioniero lui può capitare a tutti. Per questo rido felice di ogni vincolo ora sciolto.
Rieccomi a voi, amici. Nella luce di un settembre, nelle pieghe di una vita sempre interessante, sempre in evoluzione e qualche volta da strizzarsi le ciglia con la punta delle dita, eccomi al mio blog con le parole e i pensieri e le emozioni. Questo blog così seguito (grazie di cuore a tutti), così sbirciato e così partecipe anche là dove si finge di ignorarlo. Non ho mai avuto dubbi: le mie parole, così come le parole di chiunque abbia accesso all’attenzione dei lettori, sono sempre state comode o scomode in base agli occhi che le leggevano e certo questo spazio così popolare – anche oltre le mie stesse aspettative – ha suscitato qualche sospiro e due o tre singulti di invidia insieme ai tentativi palesi di rendermi afona. Il problema è che per zittire non devi mai alzare la voce o imporre punizioni: per zittire devi farti amare, e non tutti hanno questa sottile intelligenza.
Che periodaccio, amati lettori e viandanti del Web. Non che sia mancata la bellezza, anzi: c’è bellezza in ogni singolo giorno, perfino quando hai le lacrime o la rabbia o l’incertezza perché gli eventi si sono incastrati uno sull’altro. Bellezza perché si è vivi, bellezza di esistere e avere ancora il fiato per parlare. Un fiato più potente di prima, per la verità, perché la parte migliore di ciò che è accaduto è che la libertà – prima in interessante abbozzo – ora è caduta nelle mie mani come fanno i giocattoli nuovi e inattesi. E’ lì che mi guarda e sorride, due o tre sberleffi perché non la attendevo così, tanto presto, e perché devo ancora prendere le misure per usarla, ma il sorriso mi incoraggia a sperare. Un periodaccio perché il mondo si è ribaltato con la morte di Mario (non ripeto lo spiegone, chi non sa legga i post precedenti) e ha avuto un relativo scossone con le vicende IEO di cui si è parlato troppo e male. Periodaccio anche per un paio di altri aspetti che non cito qui perché riguardano persone che amo e hanno il diritto alla tutela della privacy, periodaccio perché a un certo punto qualche buontempone che voleva forzare la mano a qualcuno perché prendesse una certa decisione ha chiamato la prima giornalista inesperta e ha messo su un teatrino che alla fine ha fatto bene a nessuno.
In fondo, a rifletterci con la calma di una scrivania immersa nella natura autunnale, la persona che meglio e con più luce si salva sono proprio io. Perché niente è come la libertà, e scrivere su una tastiera con questo respiro largo e senza l’ombra di chi – leggendo – potrebbe farsi venire la calura al volto e il sudore alle mani è una gioia impagabile.
E sono libera. Mai come oggi sono stata libera. Libera di parlare, di scrivere, di pensare. Libera di non temere più che i miei passi risuonino troppo acuti nei corridoi dando fastidio a orecchie sensibili ma (temporaneamente) potenti, libera di essere ciò che sono. Bene, male, con o senza originalità, sono. Ho avuto la gioia di un sostegno enorme da parte di amici, conoscenti, decine e decine di pazienti: quel sostegno è stato ed è il motore della rinascita che – di nuovo – mi porta a osservare il mondo attraverso le stesse pupille ma con i neuroni che hanno cambiato registro, e il cuore che batte a un ritmo più musicale. Più volte mi sono chiesta perché nelle comunicazioni più difficili non si scelga la via che ha la probabilità inferiore di creare dolore: se ci pensiamo bene, dire una cosa con tatto o senza può avere conseguenze etiche, legali, di scrittura (narrativa e non) molto profonde anche a lungo termine. Ma pochi pensano a questo, ahiloro, e non starò a preoccuparmi per libere scelte che non sono stata io a prendere. Dovrebbero tutti, forse, pensare alla delicatezza delle parole: chi lavora con i pazienti oncologici intuisce subito che la comunicazione abbia un ruolo importante nella reazione di chi la riceve, ma forse non tutti comprendono sul serio quante e quali conseguenze possa avere. Un aspetto inquietante della comunicazione che crea guai è che dieci, quindici volte più persone avrebbero avuto l’opportunità di salvare il mondo con un discorso empatico fatto bene, ma le occasioni sono sfumate e i giorni hanno accumulato solo peggiori scorie e più acute incomprensioni. Le parole uccidono, il silenzio anche. Inutile caldeggiare corsi di intelligenza emotiva e organizzazione del tempo e delle relazioni se non si coglie la mano tesa quando c’è.
Benvenuti ancora e di nuovo, amici. La mia vita ora si divide tra le visite ai pazienti e la scrittura – comunicazione. Le visite sono in IEO e in via Plinio (più un’altra sede che vi dirò presto): in IEO sono senologa e in via Plinio applico la medicina integrata (olistica) energetica (Reiki, Pranic Healing, theReconnection) e la floriterapia. Ci saranno presto altre visite in almeno un’altra sede, sempre con la medicina integrata: vi dirò subito dove trovarmi. La scrittura vive e continua, è il tempo giusto per il romanzo nuovo mentre si perfeziona il saggio che ho scritto con Umberto Veronesi in uscita nel 2015. Intanto viaggio, viaggio, viaggio con “Oltre il dolore” (Cairo) e sempre con “Il male dentro”. Sono qua e là anche con “Le età della donna”, il libro che ho donato ai pazienti di IEO attraverso il sostegno alla Fondazione IEO.
La vita è così. Una ricerca di senso che arriva a una destinazione solo quando si constata che quella destinazione non è altro che Amore. Quanta energia usata male, quanti sforzi inutili nella cecità assoluta: basterebbe aprire gli occhi e scoprire che siamo perfetti così, e se non siamo capaci di amarci reciprocamente è solo per una stortura educativa e per la paura fottuta di essere ultimi là dove in realtà non esiste ultimo e non esiste primo. Ma andiamo a tentoni, vagabondiamo in un affanno inutile finché qualcosa ci insegna sul serio, finché la luce spacca il muro buio della mente che mangia se stessa.
E se avremo altre puntate di questa o quella saga cui, volente o nolente, ho partecipato sarete i primi a saperlo. Nell’attesa della storia raccontata bene, grande e impietosa con tutti i personaggi e interpreti (anche i timorosi nascosti dietro la tenda). Esistono eventi ed emozioni che possono spiegare al mondo cosa sia l’illusione e cosa sia la paura, e la scrittura ha il dovere (la missione) di gettare luce nei cuori. Libera di parlare, ora, no?
Grande Mariagiovanna! Vero. Se la libertà interiore dà la fermezza di dire con semplicità il vero,l’empatia può dare il senso dell’unione con la gioia e nel dolore,il senso che affratella e,forse, anche il senso ultimo di vivere per continuare a tessere un invisibile tempo tangibile. Il tuo libro (il male dentro) cattura per la realtà dura e al tempo stesso così sfumata per le infinite differenze nell’affrontare il dolore. Verrà un giorno che ne scriverò. E sarà nel più scavato dei piaceri. Mirka
grazie cara Amica
Posso annusare la tua serenità. Ne sono felice davvero. Non mi è ancora chiaro quali siano le vicende che ti hanno vista protagonista.
C’è modo di colmare la lacuna? 🙂
Un abbraccio
La serenità è ciò che rinasce quando si scopre che la Vita ha logiche e leggi assai diverse da quelle che alcuni hanno preteso, invano, di conoscere.
La lacuna sarà colmata quando una storia sarà scritta, e ciò avverrà in un tempo che ancora deve arrivare con le dovute e piacevoli licenze poetiche, oppure può essere colmata in modo tendenzioso e falso, con versioni che cambiano in base al momento e al luogo, con la pletora di pettegolezzi e frivole, inutili maldicenze che sono sorti intorno a due o tre eventi. La lacuna su Mario invece è molto più importante per me: rileggi i miei post precedenti e vedrai che alludo a Mario Sideri.
Non intendo essere misteriosa o vaga, semplicemente credo che il passato sia chiuso e non più significativo. Conta ciò che siamo ora. Oltretutto davvero penso che alcuni eventi, alcune relazioni, tanti personaggi siano meravigliosamente adatti alla narrativa quindi basta aspettare…
Conta ciò che siamo ora. Dovrebbe leggerti l’universo mondo.
Chissà perché è così difficile staccarsi dalle immagini, dagli stereotipi, dai rancori, dal dolore, dai legami, dalle relazioni e dai pensieri del passato. Dalle abitudini! Se solo riuscissimo a visualizzare l’ombra nera che – a priori – il passato getta sul presente quanto saremmo più liberi e felici. E creativi, anche.
La vicenda di Mario ce l’ho ben chiara. Alludevo ad altro e mai ti avrei chiesto una risposta pubblica. Ri-abbraccio
Chissà perché quando leggo ciò che scrivi, immediatamente ti vedo. Quel che penso te lo dirò presto, di persona accompagnato da un abbraccio affettuoso.
un abbraccio anche adesso, allora!