si fa presto a dire cultura
Occasione per questo post è una nuova collaborazione che mi incuriosisce e stuzzica la fantasia: avrò un blog sul sito Cultora che comparirà come per incanto nel Web il primo dicembre. Non è la prima proposta di collaborazione a un blog (ne ho altre attive, più o meno vivaci), ma ciò che mi ha colpito è stata la premessa: non esistono restrizioni di formato e argomento, basta che si parli di cultura.
Dovere sapere che gli anni recenti hanno definitivamente portato in luce il mio bisogno di indipendenza mentale, intellettuale, fisica. Si è visto e si vede nel lavoro da medico, si intuisce con una chiarezza impossibile da fraintendere nel lavoro di scrittura. In amore poi non vi sto a dire… E’ sufficiente che un portale mi indichi l’argomento che “devo” trattare e proponga un editing a ciò che scrivo perché mi defili alla velocità del bosone (che poi non so neanche quale sia e se esista, tale velocità). Cultora mi ha conquistato per la LIBERTA’: libertà espressiva e di scelta dei contenuti, libertà di sproloquiare o grugnire in modo sintetico, libertà di usare un formato che mi rende contenta. In più, ho sorriso molto quando ho letto che l’unico vincolo è il contenuto culturale. Ho provato a immaginare cosa avrebbero fatto i miei colleghi scrittori titolari come me di un blog su quel sito: cosa hanno provato quando hanno letto che dovranno parlare di cultura? Cosa intendono per cultura? E cosa intendo io?
Perché mi piacerebbe – ma è impossibile – che fossimo tutti d’accordo su cosa sia la cultura e, di conseguenza, cosa significhi tenere un blog culturale. Di fronte alla parola cultura credo che alla maggioranza di voi arrivino agli occhi della mente i libri: cultura quindi libri. Sì, non esiste dubbio: tanti libri fanno cultura. Forse tutti i libri, non credete? Perfino quelli che ci fanno storcere il naso perché inutili (secondo noi) e pubblicati solo perché l’autore/autrice ha un nome famoso possono contribuire a un certo genere di cultura. In fondo la parola cultura, se non meglio specificata, può essere usata con tante accezioni.
Cultura come nozionismo e capacità di citare a memoria? So che ora state sogghignando: ho detto tante, troppe volte che secondo me chi ha bisogno di citare per mostrare quanti libri ha letto manca di un pezzo fondamentale della cultura, cioè la rielaborazione dei contenuti in modo che riemergano dal silenzio come propri, non uguali alla fonte originaria. Mi fanno un po’ paura, lo ammetto, le persone che aprono bocca per sciorinare il proprio patrimonio culturale, cioè una specie di elenco bibliografico come quello che si stila in fondo agli articoli scientifici o ai saggi divulgativi (è la parte che detesto quando scrivo un articolo o un saggio): come fanno a trovare moglie o marito questi tomi enciclopedici ambulanti? Che poi – concordo con voi – la vita è bella anche senza moglie o marito, ma i “citatori” di professione non hanno capito bene cosa significhi accrescere la propria cultura. Almeno secondo me. E la colpa spesso è della scuola, dei professori che sparano voti intergalattici ai secchioni che si incollano in testa le citazioni e la data di nascita e morte dei filosofi e affossano invece chi tenta di dare una forma reale, individuale al magma denso delle nozioni.
Ma c’è anche il senso dell’accrescimento di una consapevolezza. La cultura è un valore aggiunto intimo, mentale, psicologico. E’ una modalità di comportamento e un’emozione, una fase del nostro sentire. La cultura regala una capacità segreta e incrollabile di decidere per sé e non farsi fregare dal primo venditore di parole vuote. Proprio per questo non può essere catalogata, non può avere una sola declinazione e meno che mai potrebbe ingabbiarsi in una società che – grazie al cielo – è sempre più multietnica. Ecco, mi piacerebbe e mi piacerà discutere di cultura per spaccare le menti di chi ancora crede che noi “italiani” (leggete: gente con la pelle chiara e due o tre generazioni di parenti nate qui) siamo titolari del diritto ad abitare in Italia con tutti gli onori (quali?) e gli oneri (tanti), e chi invece è arrivato dopo e magari ha una religione diversa da quella del Vaticano e la pelle di uno o due punti di colore più scura o gialla o rossa debba definirsi “ospite”. Avete notato che una frase scema e frequente nei social network è “già che li ospitiamo almeno si comportino bene?”. Ragazzi, vi svelo un segreto: siamo nel 2014 (quasi 2015) e il concetto di ospite come lo vivete voi si è estinto da almeno cent’anni. Se in altri Paesi avessero ragionato così tanti italiano sarebbero stati rimbalzati dall’estero per direttissima. Cari miei, no che non sono ospiti: se sono arrivati e si stabiliscono qui la cosa più furba che possiamo fare è accoglierli e permettere loro di migliorarci, di insegnarci cose che non conosciamo, di permeare quel po’ di retrogrado e sterile che ancora manteniamo come retaggio ereditario per portarci avanti, alla libertà vera. Quella di avere mille occhi e mille orecchie, tante mani da stringere e un’anima da fare evolvere al meglio.
E cultura in fondo è anche leggerezza. E’ volare, volare, volare. Niente come la cultura può portarci in alto e liberarci dai pesi e dalle catene. A patto che non sia la cultura delle caste pseudoletterarie che si conoscono tutte tra loro e non estendono a te gli inviti massonici con cui aprono i festival di letteratura (si ubriacano fino a notte alle feste dei vari editori, ma è tutto molto, molto colto credetemi), a patto che non si tratti degli scambi tra scrittori che si elogiano e recensiscono tra loro “e dei lettori chi se ne frega”. Avete presente chi scrive complicato apposta per non farsi capire e crede che questa sia l’eccellenza? Macché, non fatevi intimidire. Sono sempre più convinta che la cultura vera sia l’approccio di Carver (e non solo suo): se il lettore non mi capisce il problema è mio, ho sbagliato qualcosa. E’ molto più difficile scrivere chiaro e facile in modo universale, lì sta l’abilità reale! Lo stile è ciò che rende evidente e piacevole, quasi un orgasmo di lettura, ogni possibile contenuto.
Il mio blog su Cultora terrà conto di ciò che sono e ciò che credo di sapere e sottolineerà tanti miei dubbi. Perché con i dubbi si fa cultura, con le certezze quasi mai.