Chiaroveggenti? No, solo osservatori. Forse.

 In I racconti del taccuino, la posta del cuore (?)

I misteri esistono. Uno dei misteri su cui mi concentro spesso è l’intuizione o addirittura la preveggenza. Si può essere medici senza rinunciare alla curiosità per ciò che la scienza ancora non ha spiegato.

Ci sono cose che sai. Le sai e basta. Nessuno si è preso la briga di spiegartele e non hai letto documenti segreti o blog occulti: alcune informazioni calano in te come se esistesse una mano che impugna una penna dorata e scrive nel tuo cervello. Qualche volte le ascolti da una voce potente che spacca il silenzio della mente all’improvviso, oppure le vedi in una sequenza così chiara da togliere ogni dubbio. Chi è innamorato della magia ritene che questi siano doni, secondo me sono facoltà che tutti abbiamo e sviluppiamo più o meno durante la vita, ma chi se ne frega adesso dell’interpretazione della scienza: proviamo a uscire liberi, per una volta, lasciando la dea Razionalità in strada a cogliere fiori. Chi invoca razionalità e scienza a priori senza dare spazio al mistero ha le stesse insicurezze di chi si aggrappa al misticismo magico senza accettare il ruolo della ragione.

Allora dicevo che ci sono cose che sai, le intuisci e si scolpiscono nell’inconscio, ruminano in fondo alla gola e disturbano l’evidenza della realtà concreta. Leggere i pensieri degli altri, per esempio, mi è sempre riuscito abbastanza bene, senza che mi andasse di farlo davvero. Perché se ci pensate la distonia tra il comportamento palese (e le parole che escono dalla bocca) e le reali intenzioni, i sentimenti veri, le emozioni genuine può creare molto dolore. Negli anni, soprattutto nei due o tre recenti, ho voluto fingere di non capire ciò che attraversava il cervello e il cuore altrui e non sempre è stata una buona idea: avevo previsto con drammatica esattezza una serie di rivolgimenti lavorativi non ancora terminati per me e per altri (sono quasi finiti per me, per altri stanno iniziando adesso), e finché è stato possibile ho finto di non vedere. Quando una certa cosa è accaduta e nessuno l’avrebbe previsto il mio commento immediato è stato: “Lo so”. “Come, lo so? Non potevi saperlo, è una cosa incredibile!”, ha ribattuto Umberto Veronesi. Poi gli è bastato il mio mezzo sorriso: da troppi anni vivevamo nella stessa stanza perché non avesse colto l’essenziale; per quanto doloroso fosse, il cambiamento che stava accadendo era stato già letto da tempo nella mente degli altri, nel loro atteggiamento, nella loro energia. In particolare in uno di questi “altri” che per me è e resta una specie di enciclopedia chiarissima, spalancata a ogni interpretazione. Lo incontro e, nonostante i suoi tentativi di mimetizzarsi con la carta da parati, brilla vivido di chiarezza al primo sguardo. E non alludo a generica antipatia, è il contrario: è un uomo che mi piace e cui mi lega qualcosa di karmico e credo lo sappia anche lui, ma questo legame si è materializzato in una relazione complicata. In termini umani, a lui è toccato un certo ruolo nei miei confronti e a me tocca un ruolo altrettanto determinante nei suoi. Ho il sospetto che lo ringrazierò, e non manca molto a quella presa di coscienza: la rivoluzione ha bisogno di una mente che faccia scoccare la scintilla e di una pletora di “meri esecutori”. Ai meri esecutori e ai delatori non dedico attenzione, alla mente originaria invece sì. Insomma, in questa e tante altre occasioni sapevo cosa sarebbe accaduto e ho finto di non vedere; lo sapevo anche dal mio comportamento, da ciò che usciva da me senza che riuscissi a controllare parole e azioni. Andavo in una direzione e spesso mi rendevo conto dopo di avere lavorato per quell’esito senza volerlo, cioè senza che dentro di me esistessero davvero alcune motivazioni che rendevo palesi in modo sciocco. Sono stata complice degli eventi, in tutto, e spero che a nessuno di voi salti mai in mente di credere che le azioni altrui siano solo il frutto di bontà o cattiveria esterna: siamo in ogni momento ciò che abbiamo voluto essere, il problema è che non ci rendiamo conto della potenza dell’inconscio finché non lo vediamo agire.

Oh, non che ci voglia un genio per leggere gli altri: osservate l’atteggiamento del corpo, la direzione e costanza dello sguardo, ascoltate il tono della voce nello svolgersi di un discorso, analizzate la scelta delle parole quando ricevete un messaggio e non avrete troppa difficoltà a indovinare molto. A me capita spesso con i messaggi di congratulazioni se ottengo qualche presunto successo professionale: potrei dirvi a colpo sicuro chi mi sta rivolgendo parole sincere, cioè accompagnate da emozioni positive, e chi sta rosicando a raffica e mi sta augurando la fine putrida e marcescente di un cadavere dimenticato in una palude. Oppure mi succede con i colleghi, sia nella scrittura sia in medicina, e vado ancora oltre: in due o tre casi sono certa di conoscere il contenuto di alcuni discorsi inventati ad arte per dare di me questa o quella immagine. Potenza della creatività umana. La questione diventa un po’ triste quando sento l’allontanamento degli amici: amore e amicizia hanno flussi, corsi e ricorsi e potrei descrivervi l’odore, il sapore, la sensazione dei periodi di silenziosa separazione senza la necessità di avere prove che li documentino. La vita è una scuola perfetta: invece di andare a passo deciso dentro il disagio delle sensazioni, aspetto che per le amicizie ritorni il periodo del calore, dell’amore condiviso, della gioia. Strano a dirsi per una come me: ho imparato ad aspettare. In amore ho sempre colto i tradimenti con una precisione notevole attraverso “attivazioni” del cervello che assomigliavano a risvegli: agivo in modo fulmineo e inatteso, mi vedevo compiere azioni come se fossi comandata a distanza da una consapevolezza ignota. E arrivavo alla verità. Credo che sia accaduto a tanti, e la spiegazione più comune è che gli elementi per sapere c’erano ma non sono stati usati finché…

Sarebbe cambiato qualcosa se nelle svolte epocali della vita avessi dato voce prima e in modo sincero alle mie cosiddette sensazioni? Probabilmente no, ma a me stessa avrei forse evitato alcuni turbamenti. E – per andare su altre intuizioni di diverso genere – non avrei evitato, no, la morte di persone il cui destino si era manifestato prima con alcune “visioni” (non so come altro chiamarle): a una di queste persone avevo detto che sentivo che una certa abitudine sarebbe stata nefasta, ma – pure prendendomi molto sul serio (mi conosceva meglio degli altri) – ha ritenuto che il timore di un incidente non giustificasse l’interruzione di una passione così forte. Mi auguro che sia stato profetico anche lui quando mi ha detto che, se proprio doveva accadere, voleva che fosse rapidissimo e indolore. Altre volte “la morte vista addosso a qualcuno” o la certezza di un pericolo sono stati determinanti per diagnosticare una malattia prima che si accorgessero gli esami strumentali: lungi dall’avere merito, so di avere ascoltato l’istinto e agito di conseguenza.

Il punto non è accettare che le premonizioni (se vogliamo chiamarle così) esistano, il punto vero è gestirle. Se si tratta della salute della gente, per esempio, o del pericolo che succeda qualcosa come si può intervenire senza creare terrore, disperazione o illusioni? Soprattutto: è giusto intervenire e quando? E nelle relazioni umane come restare in una relazione che sappiamo essere falsa? Un anno fa avrei scritto cose molto differenti, oggi so che la mia reazione è nuova e molto simile alla spada dell’Arcangelo Michele: ieri sera, per esempio, mi sono scoperta nuda e determinata di fronte a un legame che da sempre ha mostrato la propria imbarazzante doppiezza, e ho reciso l’ipocrisia in modo così fatale da avere sconvolto perfino me stessa. Sentivo la mia bocca parlare e realizzavo dopo ciò che stava accadendo. Meglio così, forse, chissà. Nel caso della salute e del rischio che accadano incidenti navigo a vista e provo a tenere le emozioni troppo forti fuori dal quadro, anche quando si tratta di me.

Se osservo la mia vita con onestà e senza la paura di apparire più bizzarra di quanto sia disposta ad accettare devo ammettere che il mio quotidiano sia un impasto denso di mistero e coincidenze. E per me le coincidenze non esistono. Ho imparato a convivere con questo mistero e a giocare con gli eventi in modo che non impressionino troppo chi mi sta accanto.

Che sia magia o qualche funzione del cervello che ancora dobbiamo comprendere, esiste. E non saranno i fanatici della razionalità a negarne la realtà.

 

 

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