la lettera a un’amica
Questa mattina ho scritto a un’amica. Sono uno scrittore avaro di lettere, chissà perché. Eppure le ho sempre amate, mi immergo con la passione del cuore, dell’anima, delle viscere quando afferro la penna e tiro fuori parole con l’inchiostro blu. Il fatto è che una lettera deve essere spontanea: posso accumularne il senso e il bisogno per settimane e mesi prima di tirarla fuori, ci sono lettere il cui sapore gira tuttora nella mia gola senza che siano nate.
Non sono un’amica che sappia corrispondere con regolarità, a ogni messaggio non segue immediata risposta. Qualcuno impara a comprendere e accetta, altri no.
Però questa lettera, la lettera del primo mattino, è esplosa dalle mie dita ed era il momento. L’amica che la riceverà rimarrà in silenzio, forse, un silenzio commosso o attonito o stupito. In fondo non importa, era il mio bisogno di tirare fuori un’emozione sospesa. Proprio oggi ho scritto un pezzo per il mio blog su L’Assedio Bianco, ho parlato della relazione tra il dolore rimosso, nascosto, dimenticato e la malattia. Il dolore accade, il dolore strazia e non risparmia nessuno. Il dolore che ogni giorno vorrei alleviare negli altri e cerco – con un percorso che scarnifica e strappa la pelle – di alleviare a me.
Ho scritto alla mia amica e le ho detto che tanti mesi fa ho visto il suo volto a un funerale, ho notato il suo dolore ma non sono riuscita ad abbracciarla perché la medesima tragedia aveva spaccato il cuore anche a me. C’erano i frammenti della mia anima che svolazzavano liberi e disperati tutto intorno, niente era coerente e agganciato all’istante. Ero volata via, disintegrandomi in un torrente con i sassi e l’acqua e gli alberi.
Di quel giorno ricordo tutto avendo dimenticato chi fossi e come mi chiamassi. A dire la verità, oggi non mi chiamo più come mi chiamavo prima del 28 giugno e quanto al mio essere sono ormai sicura che i frammenti fulminati in cielo stiano ricadendo a formare altro. Il volto della mia amica a pochi centimetri dal mio è un’immagine nelle immagini, prima che la botola si aprisse e mi trascinasse giù. E le ho chiesto scusa, oggi. Non ne esisteva motivo, almeno per lei, ma io sapevo: quel giorno tanti mesi fa le ho negato un abbraccio che avrebbe fatto bene anche a me, ero entrata in un limbo che solo in questi giorni inizia ad arretrare. Arretra senza che il dolore abbia mollato di un millimetro, ma questa è la vita.
Insomma, ho portato con me per mesi la sensazione di avere negato l’amore a un’amica che soffriva tanto. E oggi le ho chiesto scusa.
Una lettera può aspettare, a volte, ma l’amore no.