rintocchi: un prologo

 In I racconti del taccuino, la posta del cuore (?), Racconti, Racconti Brevi

Gnosa

La memoria ha percorsi sotterranei come rivoli di fiumi che a tratti sembrano morire: scompaiono nelle lande aride delle placche neuronali e riaffiorano solo dopo, quando hai rinunciato a cercarli. E i ricordi ti aggrediscono senza preavviso, assumono colori e forme che mai avresti atteso perché negli anni hai guadagnato qualche punto di vista in più.
E’ successo questa mattina, con un rintocco di campana immaginario a ridestare l’attenzione su uno dei tanti eventi che – senza capire – ho catalogato nella cartella “ignoto” dei miei emisferi cerebrali: viaggiavo su una strada tutta curve quando sullo schermo della fantasia sono comparse due motociclette identiche. Una si specchiava immobile nella mia consapevolezza, pavoneggiandosi in una fotografia di repertorio in un quotidiano online di una provincia lombarda, l’altra usciva dagli archivi nascosti della memoria: l’ho vista quattro anni fa, era parcheggiata sulla corsia di emergenza dell’autostrada Milano – Bergamo al bivio dell’uscita Cavenago. Cosa fa una moto parcheggiata in corsia di emergenza proprio in corrispondenza di un’uscita? La domanda sarebbe lecita se non ci fosse un altro elemento assai curioso: accanto alla moto appoggiata sul cavalletto ricordo di avere visto un lenzuolo bianco. E il lenzuolo bianco copriva un corpo. Il cadavere di un uomo.

La storia è questa: quattro anni fa percorrevo l’autostrada deserta (era domenica, nel primo pomeriggio) e ho incontrato un cadavere coperto da un lenzuolo al fianco di una moto parcheggiata in corsia di emergenza. Sono certa di averli visti, non mi sono fermata e non so perché: credo che il mio cervello, impreparato a un ragionamento solido sulla scena assurda colta in pochi istanti, abbia serenamente concluso che un morto non ha bisogno di un medico. Chi l’avesse coperto lasciandolo lì da solo nella corsia di emergenza non era dato sapere. Per settimane cercai notizie sul misterioso incidente, ma della moto e del morto non trovai menzione così non ci pensai più, salvo ritornarci con curiosità a ogni passaggio per quel punto in autostrada.

Andiamo all’altra moto, fotografata da un giornalista che andò di corsa – anche se un po’ annoiato – a documentare l’ennesimo incidente su una strada stretta e impervia circondata da un bosco: è arancione e nera, una moto da tamarro, con l’immagine di un toro inferocito a rendere l’insieme più cattivo. Nella fotografia sembra pronta a ripartire: sta aspettando che il suo proprietario monti in sella, giri la chiave togliendo il cavalletto e spinga il motore a ruggire. Ma l’attesa è vana perché il proprietario giace una decina di metri più sotto, e gli uomini affaccendati intorno e visibili in altre fotografie stanno tentando di recuperarlo in un sacco nero appeso a una carrucola. E’ un altro cadavere, questa volta circondato da soccorritori.

Cosa ho da dire su queste due motociclette affiorate oggi alla memoria? Beh, che sono identiche e non mi ero mai accorta. Quattro anni fa devo avere visto qualcosa che non c’era: una moto arancione e nera da tamarro piazzata nell’ultimo posto logico su un’autostrada, e accanto il suo conducente (morto) coperto da un lenzuolo che nessuno aveva steso. Sogno, delirio, illusione, scherzo dei sensi: chi lo sa. Un anno e mezzo fa ho visto l’altra moto e questa volta non ho immaginato niente: moto da tamarro, gente che si affannava intorno, sacco nero, cadavere. Erano veri, si potevano annusare e toccare; si poteva piangere per il corpo nel sacco.
Le due moto erano identiche, e nemmeno tanto comuni. E non so più da dove inizi questa storia.

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