il mio coming out

 In Blog, I racconti del taccuino, la posta del cuore (?)

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Tranquilli, non si parla di sesso. Per il coming out sulle cosiddette “preferenze sessuali” non spendo un post e comunque è già stato fatto da tempo: chi non l’ha colto si dolga per la propria distrazione e rilegga (o legga) i miei libri, ebook e post vari. Basterebbe andare a rivedere il personaggio di Anna ne “Il male dentro” (Cairo publishing 2013), se proprio interessa. Il coming out di oggi nasce da alcuni stimoli giunti (non a caso, forse) nel giorno che celebra coloro che impropriamente si definiscono morti. I defunti, gli scomparsi (tremendo annunciare una morte dicendo che qualcuno è “mancato” o “scomparso”, ipocrisia becera), i trapassati. Le anime che qualche volta – e non so perché – decidono di parlarmi.
Ho una natura pedante quando spiego e racconto, concedetemi di iniziare con una distinzione che nel prosieguo può diventare utile. La lingua inglese, la più efficace per rendere l’idea, parla di psychic e di medium: in termini pratici e semplificando molto, psychic è chi coglie suggestioni dal campo energetico altrui e medium è chi riceve messaggi (quindi, ancora, suggestioni) da entità che vivono in dimensioni differenti. Siamo tutti psychic e medium, volendo: ne abbiamo le capacità potenziali e possiamo riconoscerle e svilupparle. Però c’è chi nasce con alcuni canali aperti in modo spontaneo e si ritrova a cogliere spesso elementi di vario tipo dai campi energetici con cui entra in relazione, e chi riceve messaggi da entità incorporee con facilità maggiore rispetto agli altri. A me è accaduto di avere entrambi i doni, e se mi chiedete il motivo non so rispondere: ho avuto ascendenti in famiglia con le medesime capacità, quasi sempre non riconosciute razionalmente, ma non ho la minima idea di come funzioni la propensione maggiore o minore a riconoscere chiaroveggenza, chiaroudienza, facoltà medianiche, intuito da guaritore eccetera.

Ero bambina e la morte mi attraeva: niente tendenze suicide, era un’attrazione affascinata e atterrita, da tenere gli occhi spalancati e fissi e ritornarci dentro ogni notte, ogni pomeriggio da sola. Dove andavano i morti e perché quando un corpo si spegneva per me era quasi automatico fare un lungo discorso mentale di commiato? Perché quei morti sembravano chiamarmi? Perché la morte era argomento dominante di curiosità e riflessione quotidiana in una bambina di quattro, cinque anni? Non mi sono mai posta domande come queste, ho vissuto con naturalezza una bizzarra fascinazione in tutta l’infanzia e durante l’adolescenza, e mi sembrava normale che a tredici anni conversassi con il mio amico Giorgio (partito dal corpo a quell’età) sentendo la sua presenza reale accanto.

Ero circondata da medici e da una famiglia agnostica e razionale, avevo assorbito l’abitudine di attribuire alla psiche ogni fenomeno inusuale che – letto nell’ottica dei traumi – perdeva l’aura di mistero. Parallelamente si sviluppava in me la medesima capacità di mio padre: succedeva che bastasse uno sguardo fugace per intuire la presenza della malattia e del rischio di morte nelle persone, anche quando avevano esami clinici perfetti e nessun disturbo o sintomo apparente. In età adulta le diagnosi che mi sono capitate in modo misterioso hanno riguardato pazienti, amori e anche me stessa (la precancerosi che per un anno ho “saputo” esistere finché l’occhio magico di Mario Sideri la colse).

Quando ho deciso di studiare medicina l’ho fatto per dedicarmi ai pazienti con il cancro, e avvicinandomi a loro ho notato che in modo spontaneo mi dedicavo con minuziosa, ossessiva costanza a chi non guariva. Più la morte si avvicinava, più la mia presenza si faceva continua. Sono diventata radioterapista, poi chirurgo con un Master in chirurgia senologica, e per alcuni anni la razionalità ha dominato il campo schiacciando dubbi, istinto e domande: del resto ero diventata (con mia felicità) l’assistente medico personale di Umberto Veronesi in Direzione Scientifica IEO realizzando un sogno enorme, cioè appunto lavorare con Veronesi, e non potevo permettere ai guizzi di follia di distrarmi dalla carriera che amavo.

Il fatto è che l’istinto ti riacchiappa sempre, anche quando credi di correre più veloce. Negare se stessi è come pretendere di provare piacere nel luogo, nel momento e con la persona sbagliata: al massimo puoi fingere, puoi illuderti per un po’, poi crolli. E sono crollata. Vi risparmio racconti che annoierebbero e troverete in ogni caso qua e là nei miei prossimi libri, e arrivo al 2014: in quell’anno mi sono frantumata. Chi leggerà il prossimo romanzo potrà intuire tanto – pure con l’invenzione della fiction – e sapere quanto improvviso e traumatico sia stato il mio prendere coscienza che la morte dell’anima non esiste. “Sono sconcertato perché la morte non esiste”: uso le parole di Mario, il mio amico che ora vive di là, per descrivere ciò che penso. Il corpo muore, ma non è tutto: l’anima resta e qualche volta è capace di farsi vedere e sentire. Qualche volta è capace di interagire con la nostra materia in modo tangibile. Se non vi piace chiamarla anima usate “campo energetico”: siamo corpo fisico e corpo energetico, quando il corpo fisico si spegne il corpo energetico non smette di avere consapevolezza, luce e vita. Dal cataclisma personale e lavorativo del 2014 sono uscita con un risveglio, e così piena di prove ed esperienze incredibili da arrivare oggi a questo coming out.

Non so perché e non so se e quanto durerà, ma ho accettato di essere psychic e medium. Non significa che abbia abbandonato la medicina e la scienza: perché dovrei farlo? Quando sono senologa, sono proprio senologa: non mi sogno di andare fuori dai binari della scienza (esercito scienza e coscienza, esattamente come si dovrebbe fare). Il cervello è un organo perfetto, contiene tantissime informazioni e ne usiamo una minima parte. Il cuore, poi, sa amare con l’istinto ma anche con la razionalità.

Ho scoperto che si può essere medico amorevole e competente (scusate, me lo sto dicendo da sola e questo è bruttissimo: facciamo che io alluda ad altri medici che, come me, abbiano deciso di usare mente e cuore aperti) anche se si è in grado di interagire con il campo energetico altrui intuendo diagnosi e provando a essere canale di guarigione non convenzionale, e altrettanto se si ha l’onore di interagire con entità che non hanno più un corpo. Porre domande, ascoltare le risposte (in vario modo), essere canali e mezzi per la comunicazione tra vivi e viventi (faccio fatica a parlare di morti perché non lo sono; uso il termine solo per semplificare). Insomma, chi parla con i morti può fare il medico e non solo lo scrittore: se non altro ha la percezione di un Amore che va oltre, molto oltre la nostra limitata esperienza umana. E l’Amore è una cura.
Si può curare qualcuno anche favorendone il contatto con chi non è più nel corpo fisico, oppure stabilendo un’interazione con il suo campo energetico in una sessione di Reconnective Healing.

Come funzionano alcune facoltà che tutti abbiamo e qualcuno usa in modo più spiccato? Non lo so: ho alcune idee in proposito ma non ne parlo qui. Diciamo che serve leggerezza, e che tanti atteggiamenti enfatici e quasi “religiosi” non hanno senso. Ma esiste una solida regola, secondo me: che queste capacità siano un dono. Mi riferisco in particolare alle esperienze misteriose e stupende di contatto con chi è “morto”: essere medium, cogliere presenza e messaggi e favorire la relazione positiva tra chi è rimasto e chi è volato altrove non può essere un lavoro con una retribuzione. Non si chiedono soldi per queste cose, secondo me. Un dono è un dono. La questione dei trattamenti di pranoterapia, Reconnective Healing e Reiki (e analoghi: la differenza spesso è solo un nome) è un po’ diversa, ma anche in questo caso il concetto di gratuità e/o di prezzo basso dovrebbe essere sacro.

Ecco il mio coming out. Non ho idea se questa esperienza sarà duratura, ma la vivo con rispetto e grandissima sorpresa. E con la meraviglia di constatare quanto sia immenso, totale e incondizionato l’Amore là dove tutti andremo. Non dovremmo proprio avere paura.

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