Non telefonatemi se non è urgente, grazie

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Scrivo questa riflessione alle 14.08 di un giovedì. E’ un giorno che avevo immaginato denso di scrittura e libri, di articoli necessari da perfezionare e storie da inventare. La doccia, questa mattina, mi ha ripulito il campo energetico e la mente (oltre al corpo fisico) per preparare l’esperienza erotica, razionale, folle, ordinatissima della scrittura.

Quando scrivo Eros ruggisce, canta, si incendia. Ho sempre pensato che la mia energia di fondo, la vibrazione principale, fosse l’erotismo: a qualsiasi età il mio desiderio erotico è andato di pari passo con una frenetica voglia di creare. Ho sempre avuto un Eros contagioso, perché creare è questo: contaminare la mente e il cuore altrui. Nei Tarocchi di Marsiglia con l’interpretazione di Jodorowsky adoro leggere i giochi sull’eros perché sono gli stessi della creatività. Con quale energia creiamo i nostri capolavori, la nostra vita, il probabile futuro se non con l’energia erotica?

Insomma da ieri, all’uscita dal mio studio in via Plinio, assaporavo questo eremitaggio di scrittura come una delle più perfette pratiche di erotismo. Poi. Beh, poi esistono il telefono e la posta elettronica e c’è la ritrosia a nascondermi al mondo.

Faccio male: l’ho capito mentre arrancavo tentando di rincorrere i presunti doveri amministrativi, burocratici, assurdi e pelosi che un milione di chiamate inutili ha riversato sulle mie spalle incapaci di schivarle. Non alludo alle telefonate personali e nemmeno a quelle dei pazienti: sbriciola la pazienza l’invasione dei call center, che non mi muovono a compassione anche se gestiti da persone sottopagate (sottopagare qualcuno per costringerlo a trasformarsi in stalker dovrebbe essere considerato azione penalmente punibile e eticamente da stigmatizzare), e di coloro che ritengono prioritario tirarmi giù dalla sedia per l’urgenza di avere la copia di un contratto telefonico, un documento di identità, la decisione sull’acconto tasse, la descrizione minuziosa per la dogana di un innocuo ordine di dentifricio e burro idratante per il corpo.

Così sono riuscita a scrivere un articolo per il blog “Mente e corpo” nel sito Assedio Bianco (comparirà tra qualche giorno) e sono arrivata all’ora del pranzo senza avere prodotto altro: per me è assurdo. Non ho la frenesia della milanese, anche perché sono brianzola e casomai sarebbe una frenesia della provincia di Lecco, ma quando apro i cancelli dell’energia erotica e creativa devo lasciarla uscire e se qualcosa blocca il flusso la compressione crea la rabbia.

Se ho bisogno di scrivere e la vita si mette in mezzo l’impasto di colori che mi respira dentro si fa scuro, se ho voglia di fare l’amore e per mille ragioni non posso faccio fatica ad abbozzare fingendo che non sia importante. E’ importante, sì, lo è anche per chi pensa che non sia vero.

C’è da dire che il periodo recente mette alla prova in modo serio la tenuta dei miei nervi. E’ un periodo di rinnovamento, evoluzione e dolore. E’ un periodo di occhiate languide lanciate al prossimo futuro, a un desiderio nuovo di prendermi cura del corpo e della mente, a un’apertura a chi e cosa vorrà arrivare. Non sempre viviamo aperti, non sempre spalanchiamo i chakra e le braccia perché sentiamo che abbiamo lasciato indietro il vecchio per fare spazio al nuovo. Come sempre, bellezza che toglie il fiato si mescola a tragiche perdite o a confusione che turba le notti. Funziona così, è parte del gioco dell’incarnazione che ho scelto.

Il punto è che una scrittrice dovrebbe spegnere il telefono e resistere alla tentazione di controllare troppo spesso la posta elettronica: è una lezione che ancora devo imparare. L’iperconnessione non aiuta me e non aiuta gli altri perché già a metà della mattina le mie risposte alle telefonate inopportune erano grugniti, latrati, mugolii senza piacere. L’energia vitale, creativa, sessuale si perde se non ce ne prendiamo cura: lo ricordo spesso alle donne che lamentano cali del desiderio o immobilità creativa, tocca che oggi lo ricordi a me stessa.

Non so più contare le donne che ho incontrato grazie alla professione medica (e all’essere scrittrice), ma il discorso sull’Eros è più che mai attuale: quando si spegne non è mai uno spegnersi reale, è una compressione e una mancata delicatezza nell’amare se stessi. E’ mettere un muro di cemento su una pentola a pressione illudendosi che il calo sia reale: prima o poi si verificherà l’esplosione, e se il muro di cemento sarà troppo pesante, cioè efficace, allora la pentola esploderà di lato.

Non ho voglia di esplodere in alto, in basso o di lato: voglio vivere e spero che abbiate il medesimo desiderio. Nessuna emozione andrebbe compressa: si ferma nel campo energetico e crea malattia nel corpo fisico. Lasciarla libera di vivere, evolvere e, se è il caso, morire è la scelta migliore.

Ecco perché, all’ennesima chiamata con una richiesta di mera e procrastinabile burocrazia, ho detto al malcapitato interlocutore che sapere usare il cellulare è questione di educazione ed etica (come so essere antipatica io nessuno può) e, chiusa la comunicazione, ho urlato a squarciagola per due, tre minuti. Ho dato fondo alla voce, alla rabbia, all’energia nera che reprimere troppo aveva accumulato in me. Urlavo, urlavo, urlavo: cosa, è meglio che non si sappia.

Ora non mi resta che cercare i gatti: si sono nascosti da qualche parte, poveretti, e voglio che ritornino qui con me alla scrivania.

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