L’incenso brucia, e noi no
-Se penso a quando ti ho conosciuta.
Lauretta muove i piedi e osserva le scarpe: ormai ha capito che non scherzo quando le dico che può allungarsi sul tavolino di legno rozzo davanti al divano; le gambe infinite, magre, si stendono placide appoggiate sul ripiano appena dopo il suo arrivo in casa.
-Voglio dire: eri un vulcano. Oh dio, lo sei ancora. Ma. Insomma, hai capito.
Sì, annuisco. Ho capito. Significa che dieci o dodici anni fa ero molto più incontrollabile di oggi: le mie passioni, in su o in giù, erano vette e abissi che non sapevano limiti e non ammettevano venti contrari. Ho creato danni e scambiato quantità notevoli di eros, a pensarci adesso.
-La passione c’è.
-Lo so, ti conosco. Per quanto si possa conoscere qualcuno. Non so neanche se conosco me per un decimillesimo di essenza vera. Ce l’hai, la passione, ed è sessanta volte quella di una donna pari età, ma la gestisci bene. E sei pacata, molto più di prima.
-Mi pare troppo.
-Dici? No, pacata va bene. Dobbiamo intenderci: pacata per te è un risultato enorme, non concepivi altro che il fuoco. Positivo o negativo, era un incendio devastante che non risparmiava niente. Oggi bruci, ma sei anche aria e voli. E acqua, e rinfreschi. Pensa che riesci a essere legno, prima di bruciare: a volte ti cerco per sentirmi salda a terra, per ricordarmi che non sto andando in pezzi.
-Ma dai, questa proprio no!
-Invece sì. Sei saggia, molto.
Taccio: sto cercando di intuire se e quanto stia scherzando per ridere al momento giusto e non farmi cogliere in una serietà fuori luogo. Mi fissa.
-Chiaro, no?
-Ma stai.
-Scherzando? No, per niente.
E’ piombata da me senza preavviso: non abita a Milano quindi le improvvisate non fanno parte del nostro copione. Le ho aperto in accappatoio, e le è andata bene: venti minuti prima sarei stata nuda e cosparsa di olio di cocco per un rito sciamanico che ripeto ogni sabato.
-Oh, arrivo giusta. Ottima accoglienza!
Ha commentato così quando ha notato che chiudevo l’accappatoio con l’espressione sorpresa di una che, immaginando di scacciare un errabondo scocciatore, si trova di fronte un dono fuori stagione, tempo, età.
-Sei sola?
-Sì.
La risposta le è piaciuta: entra e lancia lo zaino in un angolo. Racconta, nei secondi che usa per spogliarsi quasi di tutto (senza togliere le scarpe), che è riuscita a liberarsi da mezzo impegno che aveva prima di una riunione e dopo un meeting noiosissimo all’hotel tale all’angolo talaltro. E’ qui da ieri sera ma non mi ha avvertito perché credeva che non ci sarebbe stata la possibilità. Sorrido: quando mette avanti scuse che non servono è una bambina che si difende prima ancora di essere sgridata. Non è obbligata ad avvertirmi se è in città: non me lo aspetto e non esiste motivo perché lo faccia. Però qualcosa, un tarlo atavico, le rosicchia la certezza. Sa che la accolgo quando arriva, e per me va bene così: i suoi sensi di colpa sono istanti fittizi di ripensamento, stupori che non riesce ad analizzare fino in fondo. Trova la mia porta aperta e le braccia larghe ad accoglierla, e non ha bisogno di mettere su scemenze che non sono altro che borbottii di una mente complicata.
La amo così: amo tutte e tutti così, ora. Ma è impossibile da spiegare.
-Sono felice di vederti!
-Anch’io, tanto.
-Come puoi?
-Cioè?
-Come puoi essere felice di vedere me e chissà quante altre persone che arrivano e vanno e magari non ti chiamano per settimane?
-Mesi.
-Ecco, mesi. Come fai a.
Semplicemente non ho bisogno di una continuità, mi sono liberata dalle dipendenze e dalle aspettative e ho capito cosa siamo: mangio muta queste risposte, fraintenderebbe. Le parole creano mostri e interpretazioni, sono inutili. Allargo il sorriso.
-In questa incarnazione crediamo di essere separati, tutti, ma non lo siamo. Che problema c’è?
-Eh, addio. Modalità Buddha on.
Mi prende in giro ma ci pensa. Con lei ho scelto di restare leggera, molto leggera: energia e spiritualità le si infilano dentro ma devono essere impalpabili. Dosi omeopatiche buttate lì senza peso. Altrimenti prova dolore.
-Metto su l’incenso. Ne ho uno alla rosa, fantastico. Lo prendo a Chiaravalle.
-Buono, sì. Che bella idea!
Mentre inala il fumo bianco e ride ricomincia a raccontare: ha nuovi amici, nuovi entusiasmi. Ridacchio e alzo le spalle glissando quando mi chiede pareri che non ha mai ascoltato e previsioni che probabilmente saranno corrette ma non accoglierebbe come vere. Deve vivere l’esperienza che sta annusando, morderla e lasciarla sfumare. Inarrestabile e convinta di essere sulle soglie di una rivoluzione epica, partirà e seguirà questi entusiasmi: si innamora e disamora nel giro di mesi, è la sua anima a chiederlo.
Parla, inala il fumo dell’incenso. A un certo punto si blocca.
-No, sul serio. Perché sei sempre tu la persona da cui ritorno?
-E che ne so? Mi fa piacere e basta.
Rimugina, si alza, fa mezzo giro sui tacchi quattordici. Poi toglie le scarpe e si rannicchia accanto a me.
-Forse ho pensato che sia una specie di amore.