Racconti, vita e omofobia latente o palese
Qualche giorno fa ho pubblicato qui uno dei tanti (passati, presenti e futuri) pezzi di scrittura in cui l’amore raccontato non è eterosessuale: non credo sia una sorpresa, e se lo è significa che il mio percorso creativo non è così evidente o chiaro. Scrivo ciò che voglio, scrivo perché osservo, vivo, ricevo e voglio dare. Scrivo e abbatto le barriere dentro di me, sperando che ciò incrini le eventuali barriere altrui. Soprattutto: scrivo ciò che sono, sempre, per esempio la totale assenza di interesse per le “differenze” nell’essenza altrui. Ogni persona non è diversa, è unica e speciale.
Quando pubblico qualcosa di “saffico” (termine che – ve lo dico – detesto perché ha in sé un “intendere e nascondere” che non mi è proprio) è come se alcuni lettori trattenessero il fiato per qualche istante prima di esprimere gradimento oppure no: non è solo questione temporale, ma di atteggiamenti e sfumature nel commento che arriva. Difficile che mi sfuggano i pensieri dietro, le emozioni che muovono i gesti.
E mi trovo a dare ragione alla mia amica Paola Concia: di solito amo farlo, in questo caso mi dispiace. Sì, non avrei voluto darle ragione. Non credo sia necessario presentare Paola, quindi non lo farò: merito principalmente suo se l’Italia è riuscita faticosamente a raggiungere i diritti civili per tutti. Sulla cosiddetta “questione omosessuale” abbiamo sempre discusso: per me non esiste argomento, si vive ciò che si è e basta. Non c’è bisogno di rimarcare o lottare: il mondo accetta ciò che riteniamo normale. E l’essenza identitaria è normale a priori, sempre. Paola, che ha molto pagato e paga di persona per battaglie che ha portato avanti spesso da sola, mi ha rimproverato di non vedere, di non volere rendermi conto: l’omofobia esiste ed è un oggettivo problema anche oggi. Chiede responsabilità ed educazione sociale (beh, su questo sono sempre stata d’accordo).
Ecco. Paola Concia ha ragione. Lo dico sorridendo, convinta. Avevo torto a dare fiducia al mondo senza pormi il dubbio della diffidenza. L’omofobia esiste e si maschera con parole, frasi, atteggiamenti che vorrebbero alludere a una mente aperta, a semplici critiche che “niente hanno a che vedere con”. Hanno a che vedere invece, moltissimo. Allora questo post nasce dalla mia risata di cuore di fronte ad alcune reazioni pubbliche e private al mio ultimo racconto nel blog e dalla testardaggine che negli anni mi ha accompagnato. Ho deciso, amiche e amici, che non solo non smetterò di raccontare ma anzi andrò dentro a gamba tesa. Perché non posso credere che le persone, tutte le persone, le anime che amo così tanto da prendermi cura dei loro corpi come medico, possano fare così male a se stesse da volersi fingere limitate, ignoranti e omofobe.
L’omofobia è razzismo, limite, intelligenza inibita. L’omofobia è non avere capito niente di ciò che siamo.
Vi amo, sul serio. Per questo non mi fermo qui.