GOCCE DI VETIVER E LE PAROLE DELLA FINE DELL’AMORE

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Nelle parole che dicono la fine esistono gradi di dolcezza e abissi di insensibilità. Da anni raccolgo nelle schede della memoria frasi ricevute e dette, rubate e ascoltate da amici e conoscenti, orecchiate nelle altrui telefonate in treno e mi sono convinta che la sostanza della fine di una relazione sia sempre la stessa, ma la forma crei una differenza. Perché i momenti estremi, definitivi di un amore sono come la morte fisica: se hai il tempo di dire qualcosa ti si ricorda anche per ciò che sei stata capace di inventare.

Con la mia amica Lorenza rievoco spesso una dichiarazione sepolta nella notte dei tempi: “Sei stata solo una piccola parentesi”. Così si chiuse una relazione tanti, tanti anni fa, e le parole raggranellate con raccapriccio da chi era lasciato sono diventate immortali: chi le pronunciò ha un busto marmoreo metaforico quale esempio di scempiaggine e scarsa sensibilità. Ci si scherza su, si ride, si addita il malcapitato che di meglio non seppe fare. Ma si può spaziare: abbiamo un altro messaggio da record mondiale e forse è peggio della piccola parentesi. “Mi fai schifo”: che ci si creda o no, qualcuno è riuscito a concludere una storia così. Che, volendo ragionarci su, non è un modo intelligente di farsi ricordare: qualunque cosa tu voglia fare dopo resterai sempre colei o colui che non ha saputo reggere la pressione della tristezza e della rabbia di un amore diventato altro. Mi-fai-schifo: non puoi recuperare eleganza, non esiste modo. Esiste solo il perdono reciproco, niente altro, ma è come se avessi sbriciolato la tua immagine con una picconata. Potreste dirmi che chissenefrega: chi lascia non vuole immagini liriche dietro di sé. Non è mai vero: ci teniamo eccome, a essere ricordati bene.

Buttare via un ricordo è un peccato. Quelle meravigliose, strazianti frasi tipo: “Sarai sempre nel mio cuore, ti amerò un po’ qualunque sia il mio percorso da adesso in poi”. Oppure: “Grazie per tutto ciò che abbiamo vissuto insieme”. Ah, che poesia e che eleganza. Falsità? Forse. Ma non ditemi che “mi fai schifo” sia reale: è meno vero di una bugia colossale detta per un piccolo amore residuo che fa salvare l’onore.

Ho incontrato una donna che, sghignazzando, mi ha raccontato che l’ultima sua storia d’amore si è chiusa con un: “Ci sentiamo più in là”. Ero in dubbio: avrei voluto adottare la formula per il mio prossimo romanzo, ma qualcuno avrebbe potuto pensare che fosse un finale interlocutorio, aperto. Invece no: è stata proprio una fine, solo che è mancato il coraggio di decretarla. Perché in effetti si tratta di coraggio e onestà in una materia che sarebbe tanto semplice: l’amore nasce, evolve e può diventare altro. Là dove esiste libertà, dove la consapevolezza fa vivere l’amore come dovrebbe essere non ci sarebbe bisogno di allontanare l’altro con metodi brutali che rivelano la debolezza e non certo la forza di chi sta andando via. E’ debole chi alza la voce.

La mia nuova amica sorride mentre scrivo. “E’ il momento per due gocce di Vetiver”: è il mio profumo, le piace che lo metta quando chiacchieriamo. “Una volta ho lasciato dicendo che il problema era mio, non riuscivo più a reggere una relazione importante”. Le offro un biscotto con tanto cioccolato sopra: decideremo poi se sia stata una buona idea oppure no. Intanto due gocce di Vetiver. Interrompere una relazione d’amore è un sacrosanto diritto e la sostanza è sempre uguale, ma la forma può donare luce oppure ombra, può essere recuperata dopo per costruire dolcezza e reciproche benedizioni o no. A pensarci bene l’unica via dovrebbe essere: “Ti ho amato, grazie di tutto. Ti ricorderò sempre. Perdonami, io ti perdono”. Perché nella fine dell’amore non c’è colpa: la colpa è solo nelle parole che si usano per provocare dolore e nelle promesse incaute che tutti abbiamo fatto senza considerare che avremmo potuto cambiare parere.

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