Il sentiero verso il prossimo libro
C’è un tempo di lentezza fervida, corrosivo di pensieri e idee che nascono senza poi restare. E’ il tempo della fine di un libro e della nascita in abbozzo informe, implume, senza carne, del prossimo lavoro: deve essere la sensazione di una cellula staminale, quando ancora non ha deciso in quale tessuto fisico differenziarsi e può fare tutto, può creare un dente o un osso o una fibra del cuore che se non funziona sei morto, e magari se le gira può inventarsi un tumore che terminerà anche la sua vita. Per restare nella medicina, le idee di questo tempo diventano amartomi: sono masse che contengono tutto, impasti di capelli unghie epitelio mucose occhi frenuli linguali testicoli vagine e qualunque altra cosa il corpo sappia fare. Poi. Piano oppure veloce si fiuta l’inizio del sentiero.
E’ così per me, adesso. Consegnato a Mondadori il manoscritto (mi piace chiamarlo così e vagamente gli somiglia) del Grande Lucernario, lancio in aria idee e come un giocoliere pigro aspetto che mi ricadano nelle mani aperte. Intanto vivo.
Dalla parete della stanza dove scrivo, medito, mi connetto all’Anima, gioco, racconto e collezioni mazzi di Tarocchi Toro Seduto (Toro-si-siede o Bisonte Seduto) scruta i moti impulsivi o quieti della mia mente e tiene su di me pupille antiche di saggezza. Dove andrò, ora? Sarà il romanzo (già scritto e sofferto e amato e ricostruito dalle ceneri) o uno dei saggi che ho concordato con un Editore del cuore? Sarà libertà e gioia, sarà verità o menzogna mai forgiata a vita?
Qualunque libro nasca, sarà Luce. “La luce che brilla sui tetti” e “Il Grande Lucernario” hanno titoli che suggeriscono, dicono anzi, che il buio non è altro che un momento fugace in cui la Luce si è dimenticata di esistere. Ma nessuna dimenticanza dura troppo tempo.