Piccola storia di un medico e di una donna triste

 In Blog, Il Grande Lucernario

Mi guarda, non sa se ridere senza gioia o accettare di piangere. Muovo il palmo di una mano: è un gesto appena percettibile verso di lei, sposta l’aria in un refolo di sollievo.

  • E’ che non so come fare.
  • Non è lei che dovrebbe fare.
  • Uno psichiatra, forse.
  • Già.
  • Come faccio? Non si convincerà mai. Stanotte cercava in internet i nuovi vaccini contro il tumore.
  • Non ha senso, non per lei.
  • Lo spieghi a lui.

Stiamo parlando di suo fratello: non è mio paziente, sto visitando lei perché è stata lei a chiedermi l’incontro mesi fa; da allora ritorna regolarmente, sempre più magra e preoccupata. Dice che parlare con me la riconforta e il tocco delle mani durante la visita le dona pace: forse ha solo bisogno di una tregua, uno spazio proprio ove respirare libera.

Ventisette anni fa è stata operata per un tumore al seno, ha ricevuto chemioterapia e una cura ormonale: da allora si sottopone ai controlli annuali e la malattia non è mai ritornata. Ma è come se vivesse con le cellule tumorali alle soglie di casa, a bussare minacciose per ricordarle che forse la aggrediranno: non è una sua fantasia, è la paura ossessiva del fratello a renderle presenti. Perché Luca (nome che invento insieme ad alcuni elementi diversi dal vero per mascherare le identità di questa storia reale) è affondato in un gorgo di ossessione che lo spinge a temere con ogni sua fibra, ogni pensiero, ogni goccia di energia che prima o poi la perderà: da ventisette anni, giorno dopo giorno. Si documenta su ogni progresso vero presunto della ricerca, conosce i minuziosi risvolti degli stili di vita preventivi e la costringe a essere magra, ancora più magra: uno scheletro si ammala meno, le calorie fanno male e il tessuto adiposo è veleno.

La prima volta che l’ho visto ho pensato che fosse un distinto signore milanese dell’alta borghesia: abiti costosi, scarpe perfette, modi da gentiluomo. Il pallore e lo sguardo avrebbero potuto appartenere a qualunque lavoratore indefesso del business cittadino. Ho risposto alla raffica di domande sulle probabilità di recidiva del tumore della sorella e sorriso placida al tremore leggero delle sue mani quando ho confermato – millesima dopo un elenco lungo di colleghi – che niente in più si può fare per ridurre il rischio della sorella. Poi si è limitato ad accompagnarla e rimanere fuori, salutando gentile con un piccolo inchino.

  • Adesso cucina lui, da mesi. Vuole che il mio cibo sia salutare.
  • A lei fa piacere?
  • Non so dirglielo: ormai accetto tutto pur di vederlo sereno.

Racconta che Luca si è separato a causa della sua ossessione: la moglie non tollerava più che usasse ogni minuto, ogni ora, ogni giorno per studiare il cancro e i suoi rimedi. Per salvare una sorella viva, già sana da anni.

  • Ha dolore al piede?
  • Sono caduta.
  • Come mai?
  • Vuole che faccia esercizio fisico ogni settimana, almeno quattro volte.
  • Ottima idea. E’ vero che fa bene. Riduce il rischio di malattia cardiovascolare e di tumore al seno. E migliora l’umore: le fa produrre serotonina.
  • Infatti mi serve, ma preferirei che non mi seguisse cronometrandomi e registrando le mie prestazioni sul suo computer. Quando nota una variazione chiama il nostro medico di famiglia.
  • Variazione tipo cosa?
  • Beh, per esempio nel sonno. Ha messo nel mio letto un aggeggio che la mattina gli invia nel cellulare quanto ho dormito e come. Il respiro, la frequenza del cuore. Così può verificare tutto. Sa, i benefici della prevenzione.
  • Questa è ossessione, e non previene niente.

Questa ultima frase resta nella mia mente: non la pronuncio, anche se entrambe pensiamo la stessa cosa. Ci guardiamo. A un certo punto non posso fare altro che sporgermi sulla scrivania e accarezzarle la mano, e finalmente scoppia a piangere.

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