Le vie della cura: nessuno fa il lavoro per te
“Aiutami”: ricevo questa richiesta almeno dieci volte ogni giorno, e non sempre arriva da persone che stanno chiedendo una cura medica o chirurgica per una malattia fisica. Anzi: l’invocazione accorata è tipica di chi si dibatte in una crisi personale e crede di non essere capace di imboccare la strada per uscirne, vive ogni istante il disagio ma sembra non raccapezzarsi per indovinare dove stiano le soluzioni. “Voglio uscirne, voglio guarire, ma non so come si fa”: chi sta soffrendo perché il quadro della vita è cambiato (lutto, tormento d’amore, tumulto lavorativo, senso di sconfitta, scissione di fronte a decisioni che non si sanno prendere) si sente cieco e privo di orientamento di fronte a dolori noti, memorie pesanti e destino impossibile da scorgere. “Se è andata così prima, andrà sempre nello stesso modo”, “Io sono fatta così”. Catene psicologiche che sminuiscono l’intelligenza, l’istinto, le potenzialità. Le definisco catene non solo perché fanno sentire impotenti e legati, ma perché troppo spesso si verifica un processo di “affezionamento”: si è disponibili a lavorare su tutto ma non sulle cause specifiche per il disagio. E’ come se amassimo ciò che ci imprigiona, anche se quasi mai siamo disposti ad ammetterlo. Un’ipotesi è che ci faccia paura avvicinarci al vero nucleo, e continuiamo allora a vagare intorno provando a mettere cerotti qua e là senza affrontare il “mostro”. Oppure ci affezioniamo al noto e non vogliamo tuffarci nell’ignoto. Nella maggioranza dei casi, con mia sorpresa, alle richieste di aiuto non corrisponde il medesimo pathos quando si tratta di impegnarsi per partecipare in prima persona alle vie di cura. I colloqui, gli incontri, le riflessioni, le meditazioni, i giochi, le emozioni tirate fuori sono spinte importanti per la nascita delle idee che formano, poi, la consapevolezza: peccato che questa consapevolezza solo raramente porti a una modifica del comportamento nel fluire dei giorni e delle scelte. Esiste un angolo buio che è pigrizia, ma anche profonda paura: quasi mai si mette mano a ciò che è diventato parte delle reazioni, del comportamento, delle abitudini. Eppure proprio lì si nasconde il Guaritore che portiamo dentro: è nella quiete silenziosa di ciò che non vogliamo osservare e risvegliare. Sotto la paura, sotto il dolore, sotto la comodità molle di azioni e reazioni sempre uguali giace il fuoco liquido e purissimo dei meccanismo inconscio della guarigione. Rompere il copione stabile della vita è la fonte della cura, e saremmo pienamente in grado di farlo. Cambiare rotta, lasciare indietro le relazioni tossiche e i comportamenti compulsivi, amarci davvero. Sappiamo dove andare e cosa fare, cosa sia meglio per noi, ma non agiamo per rendere concreta la consapevolezza e proprio per questo sprofondiamo nella distonia tra ciò che saremmo nati per diventare e ciò che siamo realmente. Ecco la malattia, ecco il disequilibrio, ecco ansia e depressione. Mille e mille volte mi sento dire che finalmente la consapevolezza è arrivata, due o tre volte al massimo vedo applicare gli insegnamenti che ne derivano. Le vie della cura si interrompono per paura, nella convinzione che ciò che è sempre stato sempre dovrà essere, e non importa se in questo modo stiamo tradendo noi stessi.